Non ho le competenze per poter definire in modo scientifico (nel senso delle scienze politiche) cosa sia la democrazia: diciamo che io, come la maggior parte di voi, la democrazia la vivo, o la subisco, ma non la studio. Tuttavia sono ragionevolmente certo del fatto che nessuno scienziato politico contesterebbe, almeno non apertamente, l’idea che un presupposto della democrazia sia la corretta informazione dei cittadini, del demos. Se il demos deve governare, è quanto meno opportuno che lo faccia con una minima cognizione di causa, e questo tanto più quanto più si invoca la democrazia diretta.
Mi sono reso conto che per motivi imperscrutabili questo principio viene messo in discussione da molti commentatori di questo blog, i quali non hanno colto la gravità estrema dell’operazione di scorretta informazione, casualmente in senso pro-Troika, denunciata dai miei due ultimi interventi. Fa evidentemente parte della democrazia anche il desiderare di vivere da servi, e lo schernire chi come me ha altre ambizioni: sono opinioni, e nessuno contesta il diritto di esprimerle!
La mia principale obiezione al progetto europeo verte proprio su questo aspetto politico.
Il dibattito in ambito economico, infatti, nonostante le opinioni di alcuni colleghi disinformati, collusi, o poco scrupolosi, è chiuso da tempo, perché non è mai stato aperto: non c’è un economista serio, di statura internazionale, che abbia mai visto nell’euro sostanziali opportunità per i Paesi partecipanti. Invito i miei adorati trollonzi, fonte inesauribile di ilarità, a citare qua sotto quelli che eventualmente trovassero (citare significa indicare autore, anno di pubblicazione, titolo dell’articolo, nome della rivista scientifica, numero del fascicolo, e numero di pagina…). Il percorso di integrazione europea ha un significato politico, non economico, e purtroppo in esso è evidente e dichiarato il tentativo di allontanare dai singoli demos europei, dalle singole polis, scelte politiche cruciali, per delegarle a una istanza sovranazionale necessariamente lontana dai cittadini. Nella costruzione europea l’economia ha un ruolo strumentale: è lo strumento di pressione usato per perseguire scopi politici privi di una base di consenso democratico. Ripeto: lo scopo del progetto è evidente e dichiarato, e quindi chi si schiera e si è schierato a sua difesa non ha alcuna scusa: è oggettivamente animato da uno spirito antidemocratico (anche se è un padre nobile della sinistra, per inciso).
Punto.
Non ci sono complotti.
Andate, vi prego, a leggere Mario Monti nella sua “Intervista sull’Italia in Europa” (1998). A Federico Rampini che gli chiede “Perché la Commissione europea ha accettato di diventare il capro espiatorio su cui scaricare l’impopolarità dei sacrifici?”, Monti risponde “Perché, tutto sommato, alle istituzioni europee interessava che i Paesi facessero politiche di risanamento. E hanno accettato l’onere dell’impopolarità essendo più lontane, più al riparo, dal processo elettorale. Solo che questo un po’ per volta ha reso grigia e poi nera l’immagine dell’Europa presso i cittadini”.
Ora, qui ci sono due riflessioni da fare.
La prima riguarda il merito. Uno potrebbe anche dire: “Be’, però è vero, dobbiamo fare le “riforme”, quindi, in fondo, che male c’è?”. Questo è quanto certamente vorrebbero che pensaste i giornalisti che taroccano i numeri per indurvi a credere che la Troika sia il male minore. Le “riforme” sono una parola che si porta molto, un capospalla di qualsiasi guardaroba politico, tanto che alla fine si tende a darne per scontato il significato, un po’ come è scontato che ognuno di noi abbia nell’armadio un completo grigio o blu. Ma le famose riforme, come stiamo capendo a nostre spese, si riducono a provvedimenti per rendere più “flessibile” e quindi meno costoso il lavoro, il che produce due effetti perversi, uno dal lato dell’offerta, e uno dal lato della domanda. Dal lato dell’offerta, abbattendo il costo del lavoro le “riforme” incentivano processi produttivi a alta intensità di lavoro (cioè a minore intensità di capitale) e quindi deprimono la produttività: ci portano insomma verso il Bangladesh, non verso la Germania. Il rallentamento della produttività in Italia è collegato chiaramente a una alterazione del rapporto capitale lavoro, come vedete in questo grafico:

tratto da questo lavoro. Il rapporto capitale/lavoro (k/n) e la produttività media del lavoro (y/n) smettono di crescere più o meno in sincrono quando inizia la stagione delle riforme (dal 1997, col pacchetto Treu). Lo dice anche Robert Gordon nei prestigiosissimi Nber Working Paper: “We find that by reducing employment protection legislation… countries cause productivity growth to decline” (a pag. 29), ovvero: “riducendo le norme a protezione dei lavoratori i paesi causano un declino della crescita della produttività”. Dal lato della domanda, comprimendo il reddito distribuito ai lavoratori, le “riforme” distruggono il mercato interno. Il singolo imprenditore è molto contento di pagare di meno i suoi operai, fino a che non capisce che siccome anche tutti i suoi colleghi imprenditori si stanno regolando così, nessuno ha più i soldi per comprare i suoi prodotti (i dipendenti nella vita sono anche consumatori). Ma a quel punto è troppo tardi…
La seconda riflessione riguarda il metodo. Se anche le “riforme” non fossero, come sono, dannose per la produttività, sarebbe comunque inconcepibile che un uomo politico esplicitamente dicesse che bisogna realizzarle allontanando questa decisione dal processo elettorale. Notate che a questo politico abbiamo fatto governare l’Italia coi bei risultati visti (e siccome la storia si ripete come farsa, adesso abbiamo un suo ministro che si propone di salvarci dai danni che ha cooperato a fare!).
Il vero deficit dei Paesi europei non è né quello pubblico (che con la crisi non c’entra nulla), né quello estero (che con la crisi c’entra, ma solo sul piano economico): il vero, insanabile, deficit è quello democratico. L’europeista doc, se non è del tutto un fesso, lo ammetterà, e vi farà più o meno questo discorso: “Be’, sì, adesso l’Europa è antidemocratica, ma ora ci pensiamo noi: portiamo la democrazia in Europa, rafforziamo il Parlamento europeo, e tutto andrà bene”.
Come evidenziano due giovani studiosi, Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli, questa soluzione è altrettanto demagogica e antidemocratica. Il rafforzamento delle istituzioni europee in realtà indebolirebbe il controllo democratico sulle decisioni, per una serie di motivi più o meno ovvi, che vanno dal fatto che una politica “sovranazionale” se la può permettere solo chi parla una lingua “sovranazionale” (le barriere linguistiche impedirebbero agli strati meno protetti della popolazione di avere voce in capitolo), al fatto che le istituzioni sovranazionali sono particolarmente soggette al rischio di cattura da parte di interessi oligarchici (Andrea Baranes fa una bella lista di commissari europei “casualmente” provenienti da, o destinati ai, consigli di amministrazione di grosse multinazionali: vi ricordo che i commissari non li eleggete voi, ma in pratica fanno le leggi europee e le applicano – un aspetto del disegno europeo che ai più sfugge…).
Sintesi: chi vuole portare la democrazia in Europa, sostanzialmente vuole toglierla da casa vostra. Io, quelli che la vedono così, li chiamo, un po’ sbrigativamente, fascisti. Qualcuno si offende, ma io, abbassandomi al loro livello, me ne frego!
Del Savio e Mameli fanno anche delle proposte concrete per realizzare un’integrazione europea realmente democratica, che preveda un rafforzamento del controllo popolare, ad esempio attraverso un maggior ricorso alla democrazia diretta.
E qui si torna a capo: ha senso chiedere più democrazia diretta in un sistema nel quale di fatto vige la libertà di disinformare? Questo dibattito, in Italia, è già stato svolto, in particolare con riferimento al famoso “referendum sull’euro” proposto dal M5S. Un referendum che non si può fare, che, nella mia modesta opinione, era solo una squallida mossa tattica di Grillo (peraltro, ormai accantonata), ecc. Tutte cose che sappiamo (tutti, tranne i giornalisti poco scrupolosi che mi hanno additato come grillino: vedi alla voce “libertà di disinformazione”). Quando facevamo presente l’assurdità di ricorrere alla democrazia diretta su un tema sul quale la disinformazione è così pervasiva, ci veniva detto: “Be’, però questa è un’occasione per informare i cittadini!”
Ora, a me piace vedere il buono nelle persone (per esempio, nonostante il dr. Giannini non abbia fatto nulla per rettificare i dati errati, sono convinto che il suo errore non sia stato intenzionale…). Allora, facciamo così: mettiamo che il M5S sia realmente intenzionato a informare i cittadini. Casualmente un suo parlamentare, l’On. Roberto Fico, presiede la “Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi”. Gli ho inviato le due raccomandate che avete visto nei post precedenti, convinto di fargli un regalo: quale occasione migliore, per un parlamentare realmente interessato alla corretta informazione, di dare una dimostrazione concreta di questo interesse richiedendo una rettifica di dati errati? Basta poco, che ce vò…
Aspettiamo fiduciosi…
Alberto Bagnai
Senatore Lega, professore associato di Politica economica all'Uni. G.D’Annunzio di Pescara
Zonaeuro - 5 Febbraio 2015
Troika e disinformazione: quelli che ‘portiamo la democrazia in Europa’
Non ho le competenze per poter definire in modo scientifico (nel senso delle scienze politiche) cosa sia la democrazia: diciamo che io, come la maggior parte di voi, la democrazia la vivo, o la subisco, ma non la studio. Tuttavia sono ragionevolmente certo del fatto che nessuno scienziato politico contesterebbe, almeno non apertamente, l’idea che un presupposto della democrazia sia la corretta informazione dei cittadini, del demos. Se il demos deve governare, è quanto meno opportuno che lo faccia con una minima cognizione di causa, e questo tanto più quanto più si invoca la democrazia diretta.
Mi sono reso conto che per motivi imperscrutabili questo principio viene messo in discussione da molti commentatori di questo blog, i quali non hanno colto la gravità estrema dell’operazione di scorretta informazione, casualmente in senso pro-Troika, denunciata dai miei due ultimi interventi. Fa evidentemente parte della democrazia anche il desiderare di vivere da servi, e lo schernire chi come me ha altre ambizioni: sono opinioni, e nessuno contesta il diritto di esprimerle!
La mia principale obiezione al progetto europeo verte proprio su questo aspetto politico.
Il dibattito in ambito economico, infatti, nonostante le opinioni di alcuni colleghi disinformati, collusi, o poco scrupolosi, è chiuso da tempo, perché non è mai stato aperto: non c’è un economista serio, di statura internazionale, che abbia mai visto nell’euro sostanziali opportunità per i Paesi partecipanti. Invito i miei adorati trollonzi, fonte inesauribile di ilarità, a citare qua sotto quelli che eventualmente trovassero (citare significa indicare autore, anno di pubblicazione, titolo dell’articolo, nome della rivista scientifica, numero del fascicolo, e numero di pagina…). Il percorso di integrazione europea ha un significato politico, non economico, e purtroppo in esso è evidente e dichiarato il tentativo di allontanare dai singoli demos europei, dalle singole polis, scelte politiche cruciali, per delegarle a una istanza sovranazionale necessariamente lontana dai cittadini. Nella costruzione europea l’economia ha un ruolo strumentale: è lo strumento di pressione usato per perseguire scopi politici privi di una base di consenso democratico. Ripeto: lo scopo del progetto è evidente e dichiarato, e quindi chi si schiera e si è schierato a sua difesa non ha alcuna scusa: è oggettivamente animato da uno spirito antidemocratico (anche se è un padre nobile della sinistra, per inciso).
Punto.
Non ci sono complotti.
Andate, vi prego, a leggere Mario Monti nella sua “Intervista sull’Italia in Europa” (1998). A Federico Rampini che gli chiede “Perché la Commissione europea ha accettato di diventare il capro espiatorio su cui scaricare l’impopolarità dei sacrifici?”, Monti risponde “Perché, tutto sommato, alle istituzioni europee interessava che i Paesi facessero politiche di risanamento. E hanno accettato l’onere dell’impopolarità essendo più lontane, più al riparo, dal processo elettorale. Solo che questo un po’ per volta ha reso grigia e poi nera l’immagine dell’Europa presso i cittadini”.
Ora, qui ci sono due riflessioni da fare.
La prima riguarda il merito. Uno potrebbe anche dire: “Be’, però è vero, dobbiamo fare le “riforme”, quindi, in fondo, che male c’è?”. Questo è quanto certamente vorrebbero che pensaste i giornalisti che taroccano i numeri per indurvi a credere che la Troika sia il male minore. Le “riforme” sono una parola che si porta molto, un capospalla di qualsiasi guardaroba politico, tanto che alla fine si tende a darne per scontato il significato, un po’ come è scontato che ognuno di noi abbia nell’armadio un completo grigio o blu. Ma le famose riforme, come stiamo capendo a nostre spese, si riducono a provvedimenti per rendere più “flessibile” e quindi meno costoso il lavoro, il che produce due effetti perversi, uno dal lato dell’offerta, e uno dal lato della domanda. Dal lato dell’offerta, abbattendo il costo del lavoro le “riforme” incentivano processi produttivi a alta intensità di lavoro (cioè a minore intensità di capitale) e quindi deprimono la produttività: ci portano insomma verso il Bangladesh, non verso la Germania. Il rallentamento della produttività in Italia è collegato chiaramente a una alterazione del rapporto capitale lavoro, come vedete in questo grafico:
tratto da questo lavoro. Il rapporto capitale/lavoro (k/n) e la produttività media del lavoro (y/n) smettono di crescere più o meno in sincrono quando inizia la stagione delle riforme (dal 1997, col pacchetto Treu). Lo dice anche Robert Gordon nei prestigiosissimi Nber Working Paper: “We find that by reducing employment protection legislation… countries cause productivity growth to decline” (a pag. 29), ovvero: “riducendo le norme a protezione dei lavoratori i paesi causano un declino della crescita della produttività”. Dal lato della domanda, comprimendo il reddito distribuito ai lavoratori, le “riforme” distruggono il mercato interno. Il singolo imprenditore è molto contento di pagare di meno i suoi operai, fino a che non capisce che siccome anche tutti i suoi colleghi imprenditori si stanno regolando così, nessuno ha più i soldi per comprare i suoi prodotti (i dipendenti nella vita sono anche consumatori). Ma a quel punto è troppo tardi…
La seconda riflessione riguarda il metodo. Se anche le “riforme” non fossero, come sono, dannose per la produttività, sarebbe comunque inconcepibile che un uomo politico esplicitamente dicesse che bisogna realizzarle allontanando questa decisione dal processo elettorale. Notate che a questo politico abbiamo fatto governare l’Italia coi bei risultati visti (e siccome la storia si ripete come farsa, adesso abbiamo un suo ministro che si propone di salvarci dai danni che ha cooperato a fare!).
Il vero deficit dei Paesi europei non è né quello pubblico (che con la crisi non c’entra nulla), né quello estero (che con la crisi c’entra, ma solo sul piano economico): il vero, insanabile, deficit è quello democratico. L’europeista doc, se non è del tutto un fesso, lo ammetterà, e vi farà più o meno questo discorso: “Be’, sì, adesso l’Europa è antidemocratica, ma ora ci pensiamo noi: portiamo la democrazia in Europa, rafforziamo il Parlamento europeo, e tutto andrà bene”.
Come evidenziano due giovani studiosi, Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli, questa soluzione è altrettanto demagogica e antidemocratica. Il rafforzamento delle istituzioni europee in realtà indebolirebbe il controllo democratico sulle decisioni, per una serie di motivi più o meno ovvi, che vanno dal fatto che una politica “sovranazionale” se la può permettere solo chi parla una lingua “sovranazionale” (le barriere linguistiche impedirebbero agli strati meno protetti della popolazione di avere voce in capitolo), al fatto che le istituzioni sovranazionali sono particolarmente soggette al rischio di cattura da parte di interessi oligarchici (Andrea Baranes fa una bella lista di commissari europei “casualmente” provenienti da, o destinati ai, consigli di amministrazione di grosse multinazionali: vi ricordo che i commissari non li eleggete voi, ma in pratica fanno le leggi europee e le applicano – un aspetto del disegno europeo che ai più sfugge…).
Sintesi: chi vuole portare la democrazia in Europa, sostanzialmente vuole toglierla da casa vostra. Io, quelli che la vedono così, li chiamo, un po’ sbrigativamente, fascisti. Qualcuno si offende, ma io, abbassandomi al loro livello, me ne frego!
Del Savio e Mameli fanno anche delle proposte concrete per realizzare un’integrazione europea realmente democratica, che preveda un rafforzamento del controllo popolare, ad esempio attraverso un maggior ricorso alla democrazia diretta.
E qui si torna a capo: ha senso chiedere più democrazia diretta in un sistema nel quale di fatto vige la libertà di disinformare? Questo dibattito, in Italia, è già stato svolto, in particolare con riferimento al famoso “referendum sull’euro” proposto dal M5S. Un referendum che non si può fare, che, nella mia modesta opinione, era solo una squallida mossa tattica di Grillo (peraltro, ormai accantonata), ecc. Tutte cose che sappiamo (tutti, tranne i giornalisti poco scrupolosi che mi hanno additato come grillino: vedi alla voce “libertà di disinformazione”). Quando facevamo presente l’assurdità di ricorrere alla democrazia diretta su un tema sul quale la disinformazione è così pervasiva, ci veniva detto: “Be’, però questa è un’occasione per informare i cittadini!”
Ora, a me piace vedere il buono nelle persone (per esempio, nonostante il dr. Giannini non abbia fatto nulla per rettificare i dati errati, sono convinto che il suo errore non sia stato intenzionale…). Allora, facciamo così: mettiamo che il M5S sia realmente intenzionato a informare i cittadini. Casualmente un suo parlamentare, l’On. Roberto Fico, presiede la “Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi”. Gli ho inviato le due raccomandate che avete visto nei post precedenti, convinto di fargli un regalo: quale occasione migliore, per un parlamentare realmente interessato alla corretta informazione, di dare una dimostrazione concreta di questo interesse richiedendo una rettifica di dati errati? Basta poco, che ce vò…
Aspettiamo fiduciosi…
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Palermo, 19 feb. (Adnkronos) - Non è morta per essere caduta dal balcone, come si era appreso in un primo momento, la donna di 80 anni deceduta all'ospedale di Marsala (Trapani). Lo rendono noto i Carabinieri di Marsala (Trapani). La Procura, diretta da Fernando Asaro, ha emesso un provvedimento di fermo di indiziato di delitto nei confronti del figlio 51enne per il reato di omicidio preterintenzionale, commesso ai danni della madre convivente. "Il provvedimento, eseguito dai Carabinieri della Compagnia di Marsala, scaturisce dalle risultanze delle indagini svolte dai militari dell’Arma e coordinate dalla Procura di Marsala, in ragione del decesso della donna, ricoverata da circa tre giorni presso l’ospedale Paolo Borsellino di Marsala per un asserito avvelenamento da farmaci", spiegano i Carabinieri.
"La ricostruzione dei fatti ha permesso di comprendere che la donna sarebbe morta quale delle gravi lesioni riportate a seguito delle percosse subite dal figlio nei giorni antecedenti dal ricovero- dice l'Arma- Il provvedimento, terminato con la traduzione del 51enne presso il carcere di Trapani, sarà oggetto di convalida dal GIP del Tribunale di Marsala nei prossimi giorni. Le indagini preliminari sono in corso".
Palermo, 19 feb. (Adnkronos) - Una donna è morta precipitando dal balcone di casa. E' successo a Marsala, nel trapanese. I carabinieri hanno fermato il figlio con l'accusa di avere spinto la madre dal balcone, in via Oberdan. L'accusa è di omicidio. Sarà adesso il gip a pronunciarsi sul fermo del figlio. L'inchiesta è coordinata dal Procuratore di Marsala Fernando Asaro.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "C’è una sola parola per le espressioni usate dal Presidente americano nei confronti di Zelensky. Vergogna. Profonda. Totale. Assoluta. Passeranno questi tempi bui, tornerà l’America. Sempre dalla parte dell’Ucraina". Lo scrive il senatore Pd, Filippo Sensi, sui social.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - “Trump ha detto, tra le altre cose, che Zelensky è un dittatore che ha voluto lui la guerra. Non una parola critica su Putin, che ha pianificato una invasione su larga scala dell’Ucraina libera e democratica, e sul fatto che la sua guerra di invasione totale sia fallita, nonostante la sproporzione delle forze in campo e nonostante gli aiuti militari da parte occidentale siano stati inviati con pesanti restrizioni. Da Trump non una parola di distinzione tra aggredito e aggressore, tra diritto internazionale e arbitrio, tra democrazia e tirannia”. Lo dichiara il deputato di +Europa Benedetto Della Vedova.
“Ci dovremo abituare al continuo tentativo di Trump di ribaltare la realtà. Ma ciò a cui non possiamo abituarci è il fatto che in Italia ci sia chi plauda alla prepotenza di Trump, condita di retorica antieuropea, anzichè condannarla. Ieri Salvini, oggi Conte. A quanto capisco, fosse per Conte, che non può intestarsi la leadership dell’opposizione, oggi l’intera Ucraina sarebbe una provincia russa, esattamente come lo è diventata la Bielorussia, e Putin sarebbe pronto a schiacciare sotto il suo tallone tirannico altri paesi, anche dell’Unione, in nome della ritorno della grande Russia. Tanto, a noi cosa importa?”, conclude.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - Una parlamentare Pd di lungo corso esce dall'aula esclamando: "Se non ci fosse Nordio, qualcuno lo dovrebbe inventare. Guarda, io voterei no alla mozione di sfiducia martedì...". E poi rivolta ai colleghi: "Ma avete visto le facce di quelli di Fdi? Sono sbiancati". Quello che è successo in aula oggi alla Camera al question time è che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha risposto alla domanda di Pd e Iv sulla quale, ieri, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi, Alfredo Mantovano, aveva spiegato che non era possibile rispondere in aula in quanto informazione 'classificata'. Insomma, roba da Copasir. Non da riunione dell'aula, trasmessa in diretta.
Un corto circuito di fronte a cui le opposizioni incalzano parlando di "governo allo sbando", di "situazione fuori controllo". "Ma nelle mani di chi siamo? Siamo nelle mani di nessuno. Ieri con un atto gravissimo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano ha secretato, oggi lei ministro Nordio viene in aula e spiattella tutto. Ma non vi siete parlati?", sbotta in aula Davide Faraone di Iv.
La domanda in questione era se la polizia penitenziaria avesse o meno in uso lo spyware di Paragon. E il ministro Nordio - "a braccio", sottolineano dal Pd - ha risposto che no, "la polizia penitenziaria non ha mai usato quel sistema". Commenta Matteo Renzi: "Oggi Nordio ha messo molto in difficoltà Mantovano: ecco perché Mantovano non voleva che Nordio rispondesse in Aula", scrive sui social. Resta il fatto, aggiunge il leader di Iv, che sono state spiati cittadini - tra cui il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, e Luca Casarini - sono stati "intercettati in modo illegale: chi è stato?", chiede Renzi annunciando di voler andare fino in fondo alla vicenda: "Noi chiederemo accesso agli atti sulle spese per intercettazione di tutte le Procure della Repubblica. E non ci fermiamo".
Elly Schlein chiama in causa la premier Giorgia Meloni che "ormai si è data alla latitanza": dopo la vicenda Almasri, "ora il governo tenta di squagliarsela anche sul caso Paragon". Sottolinea la segretaria del Pd: "Sappiamo che giornalisti e attivisti italiani sono stati spiati con il spyware Graphite, utilizzato esclusivamente da organi dello stato. È preciso dovere del governo fare chiarezza e dirci chi spiava queste persone e per quale motivo. Cosa sta nascondendo il governo Meloni? Il Paese si merita risposte e il luogo dove fornirle è il Parlamento".
Anche Riccardo Magi si rivolge a Meloni: "Sul caso Paragon il Governo è in cortocircuito totale. Ieri le informazioni erano secretate, oggi Nordio cambia idea e risponde. Nel frattempo, resta il mistero totale su chi ha utilizzato lo spyware di Paragon per intercettare persino i giornalisti. Giorgia Meloni non ha più alibi: deve venire con urgenza in Parlamento e spiegare se in questa vicenda c'è un coinvolgimento di apparati dello Stato e quali, eventualmente, quelli coinvolti". Mentre Andrea Orlando fa notare un'altra voce 'mancante': "Perché in tutte queste ore il responsabile della struttura del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che ha la responsabilità sulla polizia penitenziaria, non ha ancora detto una parola? Immaginiamo che se domani mattina la Polizia di Stato o i Carabinieri avessero intercettato in maniera illegale, o se ci fosse questo sospetto, il Comandante generale dei Carabinieri o il Capo della Polizia direbbero che è vero o che non è vero o che stanno indagando".
Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, poi, aggiungono anche un altro tassello. "Abbiamo un sacco di interrogativi e il governo continua a non rispondere. E ci siamo posti anche questa domanda: la sera prima che Casarini" scoprisse lo spyware nel suo telefono, "io ero a cena con Luca Casarini e c'erano anche altri parlamentari della Repubblica: mi hanno osservato? Mi hanno spiato?".
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - Si avvicina l’appuntamento con l’Italian Investment Council by Remind, la piattaforma di dialogo che riunisce istituzioni nazionali, internazionali e Locali, insieme a imprenditori, manager, esperti e professionisti, per affrontare le sfide e cogliere le opportunità di sviluppo per la Nazione. L’incontro, organizzato da Remind (Associazione delle Buone Pratiche dei Settori Produttivi), si terrà il prossimo 25 febbraio a Palazzo Ferrajoli e vedrà la partecipazione di figure di rilievo del panorama istituzionale, economico, industriale con l’obiettivo di delineare strategie efficaci per la crescita sostenibile dell’Italia, un’agenda di rilievo per lo sviluppo della Nazione.
L’iniziativa si propone come uno spazio di confronto tra pubblico e privato, volto a promuovere politiche industriali sugli investimenti e a valorizzare le buone pratiche italiane in Europa e nel mondo. L’IIC verrà aperto dai saluti istituzionali di Antonio Tajani, Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, mentre tra i keynote speaker e i relatori attesi figurano Antonella Sberna, Vicepresidente del Parlamento Europeo, Gelsomina Vigliotti, Vicepresidente della Banca Europea degli Investimenti, Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Maria Teresa Bellucci, Viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Vannia Gava, Viceministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Edoardo Rixi, Lucia Albano Sottosegretario dell’Economia e delle Finanze, Viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Alessandro Morelli, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – DIPE, Nicola Procaccini Parlamentare Europeo, Renato Loiero, Consigliere per le Politiche di Bilancio del Presidente del Consiglio, Paolo Grasso, Capo di Gabinetto del Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, Serafino Sorrenti Chief Information Officer Presidenza del Consiglio, Ferruccio Ferranti, Presidente Mediocredito Centrale, Stefano Pontecorvo, Presidente Leonardo e Vincenzo Sanasi d’Arpe, Alessandro Moricca Amministratore Unico Pagopa, Amministratore Delegato Consap, Giuseppe Romano Coordinatore Zes Unica, Simona Camerano Responsabile Scenari Economici Cdp, Virgilio Pomponi Vice Capo di Gabinetto Ministero dell’Economia e delle Finanze, Fabrizio Curcio Commissario Straordinario per la Ricostruzione Emilia Romagna, Toscana e Marche, Lamberto Giannini Prefetto di Roma, Pierluigi Biondi Sindaco l’Aquila, Alessandro Dagnino Assessore all’Economia Regione Sicilia, Marco Nardini Cfo Corporate Service GreenIt, Salvatore Corroppolo Direttore Affari Generali Dipartimento Pnrr del Mase e Don Antonio Coluccia.
Nel corso dell'iniziativa ci sarà un keynote speech di Dario Lo Bosco Presidente Rfi - Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane sull’innovazione e la sostenibilità delle infrastrutture e della mobilità.
I temi in discussione spazieranno dalle politiche europee per la crescita economica, alla sicurezza e difesa come pilastri dello sviluppo territoriale, fino alle nuove sfide legate alla transizione energetica, all’innovazione tecnologica ai trasporti sostenibili. Un elemento centrale dell’Italian Investment Council sarà il rafforzamento della collaborazione tra settore pubblico e privato, fondamentale per sviluppare strategie di investimento efficaci e sostenibili. In questa prospettiva, le buone pratiche dei settori produttivi rappresentano un modello di riferimento per la crescita economica dell’Italia con un focus di approfondimento sugli scenari economici da parte di Marco Daviddi (Ey), le testimonianze imprenditoriali sulla rinascita del mezzogiorno a cura di Fabrizio Marchetti (B21) e Gabriele Scicolone (Artelia Italia) e sull’immobiliare allargato con un intervento di Massimiliano Pierini (Rx Italy) e di Luca Dal Fabbro (Iren).
L’evento vedrà la partecipazione di esperti e leader del mondo imprenditoriale, tra cui, Bruno Rovelli (Blackrock Italia) Ivano Ilardo (Yard Reaas), Paolo Vari (Ideare), Francesco Burrelli (Anaci), Giulio Gravina (Italpol), Massimo Ponzellini (Centro Studi Giuseppe Bono), Emiliano Boschetto (eFm), Marta Borri (Galeotti), Michele Stella (Polis Sgr), Giorgio Pieralli (Zurich Group) che porteranno la loro esperienza su innovazione, competitività e sostenibilità nei rispettivi ambiti. Il dialogo tra istituzioni e imprese consentirà di individuare percorsi condivisi per rendere l’Italia più attrattiva per gli investitori, valorizzando al contempo le eccellenze nazionali.
Sottolineando l’importanza di creare un ambiente favorevole agli investimenti, il presidente di Remind e promotore dell’Italian Investment Council, Paolo Crisafi, ha dichiarato: “L’Italia ha un potenziale straordinario che deve essere tutelato e promosso. Stiamo collaborando, Istituzioni e Settori Produttivi, affinché la nostra Nazione diventi sempre più attrattiva per gli investitori, senza però snaturare la nostra identità economica e culturale. L’obiettivo è coniugare sviluppo e tradizione, facendo leva sulle eccellenze del Made in Italy per rilanciare la nostra economia in un’ottica di crescita sostenibile e duratura.”
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "L'approccio imperiale di Donald Trump al negoziato per la pace in Ucraina - che prevederebbe che il 50% delle risorse e delle infrastrutture di Kiev vada agli Stati Uniti, oltre al diritto di prelazione per l’acquisto di minerali esportabili e per la concessione di tutte le future licenze - pone in secondo piano la libertà e la democrazia per l'Ucraina e con esse l'esigenza di sicurezza dell'Europa intera. A noi pare inaccettabile: stiamo con Kiev per i valori che il Presidente Mattarella ha ricordato e per cui è stato attaccato dal Cremlino”. Lo afferma il segretario di +Europa, Riccardo Magi.
“Il vicepremier Salvini, invece che occuparsi di treni, ha fatto sapere che sta con l’invasore russo. A questo punto, non sarebbe il caso che Meloni venisse in Parlamento a rendere nota la sua posizione sul piano Trump, aggiornare le Camere sugli ultimi sviluppi, dando vita a un dibattito parlamentare sulla questione ucraina, fondamentale per il futuro dell’Italia e dell’Europa? Almeno daremmo il segnale di essere ancora in una democrazia parlamentare, cosa non scontata nemmeno più in Europa”, conclude Magi.