Tutto fermo, le lobby ringraziano. Mentre le proposte per regolamentare l’intreccio tra interessi pubblici e privati arrancano tra Camera e Senato. Colpa anche di un’agenda parlamentare che sembra organizzata per eludere il problema. Anche perché di disegni di legge, presentati dal 2013 ad oggi per risolvere l’annosa questione, se ne contano almeno undici. Tutti impantanati negli ingranaggi delle commissioni e con scarse possibilità di vedere la luce entro la fine della legislatura. Nonostante il tema sia delicato, come dimostrano le recenti polemiche: dalle pressioni della lobby degli armamenti, denunciate dal capogruppo Pd in commissione Difesa di Montecitorio, Gian Piero Scanu, alla partecipazione come docenti di alti burocrati ministeriali al corso per aspiranti lobbisti poi annullato dopo l’articolo de ilfattoquotidiano.it.
ITALIA MAGLIA NERA – Malgrado nella maggior parte degli Stati, europei e non, l’azione delle lobby sia regolata da leggi stringenti, il Parlamento italiano continua a rinviare la questione. Permettendo di fatto a chi tutela gli interessi delle grandi aziende e delle multinazionali di continuare ad agire indisturbato, senza controlli né trasparenza, nei corridoi del Palazzo. La prima proposta presentata nella Legislatura in corso, datata 7 maggio 2013, porta la firma del presidente del Gruppo Misto Pino Pisicchio. Assegnata alla commissione Affari costituzionali di Montecitorio, però, non è mai stata esaminata. «Nonostante abbia più volte posto la questione alla conferenza dei capigruppo e la presidente Laura Boldrini sia pronta ad alzare il livello di attenzione sul tema», afferma Pisicchio, «riuscire a far incardinare la mia proposta è stato molto complicato». Nello specifico il ddl propone l’istituzione, presso gli uffici di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama, la presidenza del Consiglio e i consigli provinciali, regionali e comunali, di registri pubblici dell’«attività di relazione istituzionale» (cioè, quella svolta da chi agisce per conto di soggetti terzi quali associazioni, enti e società). In caso di omessa iscrizione, scatta una sanzione amministrativa che va da 5mila a 50mila euro. Mentre se non verranno depositate le due relazioni semestrali sull’attività svolta previste dal testo (da consegnare ogni anno entro il 30 giugno e il 31 dicembre), la multa oscilla fra i 2.500 e i 25mila euro.
PUGNO DI FERRO – E’ proprio nella disciplina sanzionatoria che le varie proposte di legge differiscono di più tra loro. Quella presentata il 5 agosto 2013 dai senatori del Pd Luigi Manconi e Pietro Ichino, attualmente all’esame della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, prevede in caso di «omesso o incompleto» resoconto annuale una multa da 700 a 10mila euro. Se la violazione dovesse ripetersi per “tre volte nel corso di due anni solari”, l’ufficio per l’osservazione e assistenza alle attività di rappresentanza degli interessi può decidere la cancellazione dal registro (anche in caso di grave violazione del codice deontologico previsto dal ddl). Secondo i due esponenti dem, per avanzare proposte e suggerimenti ai “decisori pubblici”, i lobbisti devono iscriversi ad un apposito registro tenuto presso la commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (istituita nel 2009). Dovendo così rendere noti i nomi dei propri clienti, le questioni oggetto della loro attività e l’identità dei soggetti che abbiano finanziato, per un importo superiore a tremila euro, l’attività di rappresentanza di interessi nel corso dell’anno. Ben più severa è, invece, la proposta, pure quella bloccata in commissione, della loro collega di partito, Laura Puppato. Prevede sanzioni che oscillano fra i 10mila e i 300mila euro per i non iscritti all’albo che svolgono “attività di rappresentanza di interessi nei confronti dei decisori pubblici”, e fra i 5mila e i 150mila euro per coloro che forniscono informazioni false nella relazione annuale (da inviare entro il 30 settembre all’Autorità anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone) nella quale va dato conto del lavoro svolto. La reiterazione dell’inosservanza dei doveri è sanzionata con la cancellazione dall’elenco e il soggetto non potrà riscriversi prima di cinque anni. Un giro di vite che la Puppato ha trasformato in iniziativa legislativa sulla spinta dell’esperienza personale. «Lo scorso anno sono stata avvicinata da un lobbista che sapeva esattamente il contenuto della discussione avuta con i colleghi pochi minuti prima in commissione – racconta la senatrice del Pd –. Il suo scopo era quello di convincermi a cambiare la mia intenzione di voto sull’argomento in trattazione. Diciamo che lo scambio di battute fra me e lui non è stato dei più cordiali». E non basta. Dalla senatrice Puppato arriva anche un’altra inquietante denuncia: “Sfruttando il loro status che gli permette di entrare liberamente dentro Camera e Senato, molti ex parlamentari portano avanti un’attività di lobbing tanto sfacciata quanto illegittima”. Ma come mai anche la sua proposta è ancora ferma al palo? «Le commissioni sono sommerse dai provvedimenti urgenti dell’esecutivo – conclude la Puppato – che finiscono con il lasciare indietro questioni comunque importanti come questa».
RELAZIONI PERICOLOSE – Dall’ex 5 Stelle Luis Orellana e dall’autonomista Lorenzo Battista, arriva uno dei disegni di legge più restrittivi. Detta innanzitutto una rigorosa disciplina delle incompatibilità, vietando l’iscrizione al Registro dei lobbisti ai membri del parlamento e del governo, ai commissari delle autorità indipendenti, ai vertici, ai consiglieri e ai consulenti di diretta collaborazione del Presidente del Consiglio, dei ministri, dei vice ministri, dei sottosegretari e ai vertici degli enti statali. Accesso interdetto anche ai titolari di incarichi nella pubblica amministrazione, ai titolari di incarichi in qualità di esperti di comprovata esperienza attribuiti dalla Pa, ai giornalisti pubblicisti e professionisti e a chi riveste funzioni di amministrazione e direzione in società a partecipazione pubblica totale o di controllo. La violazione del codice di condotta è punita, a seconda della gravità, con la censura, la sospensione e la cancellazione. Il rappresentante di interessi cancellato non può più essere riscritto. Chi esercita attività di lobbying in assenza di iscrizione al Registro rischia una multa da 20mila a 200mila euro. Del Gal è invece Antonio Milo, primo firmatario del disegno di legge sottoscritto, tra gli altri, anche dal capogruppo al Senato di Forza Italia, Paolo Romani. Rispetto a quella dei colleghi Orellana e Battista, le maglie si allargano parecchio. Le sanzioni per chi svolge attività di lobbying in assenza di iscrizione rischia al massimo una sanzione tra i mille e i 10mila euro e, in caso di cancellazione, il rappresentante di interessi può chiedere una nuova iscrizione dopo appena 18 mesi. Sanzioni che tornano a salire nel ddl che vede come prima firmataria la vice presidente della Camera, Marina Sereni (Pd): da 20mila a 200mila euro per attività in assenza di iscrizione al registro, da 5mila a 50mila euro per false comunicazioni oltre alla pena accessoria della censura, della sospensione o della cancellazione (in questo caso non si potrà chiedere una nuova iscrizione prima che siano decorsi quattro anni). Infine, la proposta del viceministro delle Infrastrutture Riccardo Nencini, segretario del Psi. Oltre alle sanzioni per l’inosservanza del codice deontologico (fino alla radiazione dal registro dei lobbisti) e la falsità delle informazioni contenute nell’atto di iscrizione all’Albo, per portarsi avanti nel lavoro Nencini ha voluto inserire nel nuovo codice degli appalti il temine “lobby”. Per dare il buon esempio, poi, il leader socialista ha deciso di rendere pubblici i suoi incontri con tutti i portatori di interessi.
Insomma, volendo legiferare davvero per frenare l’invadenza dei gruppi di pressione, ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta. Basterebbe attingere ad una delle tante proposte in campo. Ma la volontà politica manca. Così i lobbisti possono continuare a fare i loro comodi, dentro e fuori dal Parlamento.
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