Ognuno ha le sue storie di libri da raccontare, anch’io ho le mie. Nel 1978 scelsi di farmi regalare la collezione Ricciardi della Letteratura Italiana, rinunciando a una fiammante motocicletta. Riccardo Ricciardi era un prestigioso editore napoletano di alta cultura, acquisito e sostenuto fin dal 1938 dalla filantropia del banchiere Raffaele Mattioli e i Classici della Letteratura Italiana erano il fiore all’occhiello della Casa, allora a Milano. Un progetto imponente, giunto allora quasi al termine, oltre 80 volumi pubblicati di oltre 1000 pagine, stampati alla Monotype nella mitica Stamperia Valdonega di Giovanni Mardersteig, curati in edizione filologicamente impeccabile dai maggiori specialisti. Il più già era stato pubblicato e contavo che i rimanenti sarebbero usciti rapidamente. Ma Ricciardi, negli anni della Milano da bere e degli yuppies, era già in crisi e passò di mano, finendo senza colpo ferire nella Mondadori non ancora berlusconiana. Poi venne la battaglia di Segrate e la vittoria del Cavaliere. La nostra Ricciardi non fu mai completata, non solo, ma fu ceduta al Poligrafico dello Stato (guidato da Giuliano Amato) che la affossò per sempre ristampadola in una veste più modesta, senza peraltro completarla. Addio Ricciardi, addio Mardersteig, addio Letteratura Italiana, che restò una splendida collezione, un sogno irrealizzato, orbo dei volumi conclusivi.
Questo per dire che quando sarà scritta, la storia dell’editoria italiana del dopoguerra, sarà più ricca di momenti bui che di esempi luminosi, sicuramente per quanto riguarda l’editoria che sola conta, cioè quella culturale. E quando qualcuno viene a strapparsi le vesti per la fine di questa o quella casa editrice mi vien da ridere, per non piangere. Quante grandi case editrici sono scomparse senza che nessuno fiatasse? Quante stanno scomparendo in silenzio anche in questi giorni? Quanto sangue è scorso sul campo di battaglia dell’editoria italiana, quanti uomini di cultura sono stati emarginati dalla guida di case editrici ottuse che contavano solo vendite di breve periodo? Quante imprese della filiera culturale ed editoriale sono state cedute al Berlusconi di turno in totale silenzio? Perché dovremmo piangere proprio per la scomparsa di RCS libri, o per Adelphi, che ora passano di mano e finiscono nel catalogo Mondadori, facendo della casa di Segrate praticamente il monopolista dell’editoria italiana? Dove è la novità? Dov’è il nuovo dolore?
RCS libri aveva i conti in rosso da lunga fiata. Il 2014 è stato nuovamente un anno di passione con oltre 93 milioni di perdite nei soli primi 9 mesi. Mondadori pur venendo da una posizione migliore restava sempre in grave difficoltà con conti difficili, fatturato in calo e indebitamento elevato, ma confida nel principio che limando la concorrenza, aumentando le dimensioni dell’azienda magari con l’acquisto di qualche asset strategico le cose dovrebbero migliorare. In ogni caso in un mercato librario italiano segnato dai meno, ridimensionato e trasformato, con l’intera filiera editoriale in grave calo le prospettive concrete sono tutte da verificare. Da un punto di vista imprenditoriale l’acquisto è una scommessa, del tipo «vedere l’effetto che fa» (Lelio Luttazzi), ma è forse l’unica possibilità, una scelta obbligata che forse potrebbe anticipare altri più considerevoli movimenti del Gruppo Berlusconi. Ma c’è ancora qualcuno che dubita che in Italia la cultura è una cosa, le aziende un’altra, in un paese che ha perso competitività, proprio perché non sa mettere a frutto economicamente la sua cultura?
Come qualcuno ha già detto, la cessione di RCS libri segna il disimpegno del capitalismo italiano dalla cultura, ma questo è avvenuto da lungo tempo e i primi ad averlo reso possibile sono stati poi gli stessi intellettuali che ora strillano, in realtà timorosi di perdere ricchi contratti e comodi anticipi passando alle dipendenze di Marina Berlusconi.
In realtà (salvo qualche rarissima eccezione) è stata proprio la propensione degli intellettuali italiani a farsi mettere al guinzaglio del padrone di turno, che spesso pagava meglio del precedente; la loro assoluta refrattarietà alla costosa indipendenza culturale, la loro paludata obbedienza in cambio dei comodi lussi, ad aver sfasciato l’editoria italiana, sopratutto quella di cultura. E nulla, in ogni caso, anche oggi potrà farci piangere così miseramente come già hanno fatto gli scempi del passato, a incominciare – appunto – dalla storia della Collezione Ricciardi.