“Basta con la copertura della spesa pubblica ricorrendo a entrate incerte come la lotta all’evasione fiscale“. La Corte dei Conti, in una nota intitolata “Le prospettive della finanza pubblica dopo la legge di Stabilità“, critica il governo sottolineando che gli interventi con introiti incerti dovrebbero restare fuori dalla lista delle entrate con cui finanziare gli interventi di politica economica. Non solo: nel rapporto sui conti pubblici inviato al Parlamento, a pochi giorni dal verdetto definitivo della Commissione Ue, i giudici contabili tornano a ribadire che “per ridurre la pressione fiscale è condizione ineludibile mettere in discussione il perimetro dell’intervento pubblico. Anche – si legge – per evitare un utilizzo forzato del fisco per garantire la copertura dei livelli di spesa ricorrendo a significative prenotazioni di gettito futuro”. In pratica, i magistrati auspicano che lo Stato “restringa” ulteriormente le proprie aree di attività in modo da poter finalmente chiedere minori contributi ai cittadini sotto forma di tasse. Cosa che permetterebbe anche di evitare forzature come l’inserimento nella manovra per il 2015, tra le coperture, della solita formula del recupero del denaro nascosto al fisco (introiti previsti, 3,8 miliardi di euro).

La Corte esprime poi perplessità sulla spending review promessa dal governo, sia in relazione al “continuo rinvio al futuro di ulteriori tagli di spesa al momento sostituiti da clausole di salvaguardia“, sia in merito alla natura delle misure economiche previste dal testo della legge di Stabilità: “L’effettiva realizzazione della spending review – scrivono i giudici contabili – appare un traguardo molto difficile allorché ci si misuri con le limitate categorie di spesa realisticamente aggredibili, anche perché i margini ancora disponibili per ulteriori tagli sono ridotti dalle ripetute riduzioni di risorse intervenute negli ultimi anni”. Insomma: la coperta è già corta ed è sempre più probabile che ulteriori sforbiciate vadano a intaccare il livello dei servizi. “La sostenibilità delle prestazioni pubbliche, siano esse quelle sanitarie o assistenziali e quindi le condizioni di accesso a questi servizi, è soggetta a rilevanti incertezze e differenze territoriali”, si legge.

Non solo: l’altra faccia della medaglia è che anche le riforme già avviate finiscono spesso su un binario morto: “Il ridisegno delle strutture di governo, la ridefinizione di competenze e lo stesso futuro di quote significative degli apparati pubblici, oggetto di numerosi programmi di intervento in questi anni, sono ancora in attesa di una completa attuazione”, lamentano i magistrati. Che, inoltre, esprimono “il timore che da tagli ripetuti di risorse derivino peggioramenti nella qualità dei servizi o aumenti delle imposte destinate al loro finanziamento, con un conseguente peggioramento delle aspettative di famiglie e imprese“. In particolare, le “clausole di salvaguardia” (rincari fiscali, soprattutto dell’Iva, che scattano nel caso non si ottengano i risparmi sperati) raggiungono i 16 miliardi nel 2016 per oltrepassare i 23 miliardi nel 2017. E, uniti all’aumento dei tagli alla spesa di ulteriori 3 miliardi a partire dal 2016, potrebbero vanificare anche alcune misure di stimolo alla domanda interna come il bonus di 80 euro introdotto dal governo Renzi. Infatti c’è il rischio che i soldi in più in busta paga siano visti “non come elemento aggiuntivo permanente del reddito, ma compensativo di un aumento di pressione fiscale già annunciato. Uguali considerazioni – sottolinea ancora la Corte – possono essere fatte per la decontribuzione o per la riduzione della base imponibile Irap“.

Un assist all’esecutivo potrebbe arrivare dalla situazione economica internazionale, giudicata particolarmente favorevole dalla Corte. Il calo del petrolio, il deprezzamento dell’euro e il quantitative easing della Bce potrebbero infatti aprire spazi di intervento inattesi. Ma “condizioni di certezza di operatori e imprese nel rapporto con la pubblica amministrazione – ribadiscono – si possono ottenere solo con una rapida attuazione delle riforme”.

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