Sono passati quasi cento anni da quando, nel 1921, lo sconosciuto Hermann Rorschach pubblicava una ricerca strana. Si trattava di quindici macchie di inchiostro costruite lasciandone cadere alcune gocce su un foglio di carta e piegandolo poi in due. Le aveva sottoposte a un centinaio di suoi pazienti, dato che faceva lo psicanalista e aveva raccolto le risposte. Un lavoro certosino di ricerca, durato dieci anni. Era convinto che con quel test si potesse comprendere qualcosa di profondo sulla personalità della gente, ma allora è poco più di un’intuizione. Intanto raccoglieva, accumulando dati su dati. Purtroppo, un solo anno dopo la pubblicazione del test, ridotto a 10 tavole per contenere i costi di stampa, Rorschach perdeva la vita per un errore diagnostico. Scherzi del destino. Il suo test, come spesso accade con le invenzioni più strabilianti, venne riscoperto solo nel 1938 diventando il celebre “test delle macchie di Rorschach” come lo conosciamo oggi.
Sono passati quasi cent’anni da allora ma è invece passata meno di una settimana da quando Daria Bignardi, ne ‘Le Invasioni Barbariche’ del 19 Febbraio, ha proposto proprio il test di Rorschach alla cantante Arisa.
Ora, per chi è del mestiere lo spettacolo è stato un po’ come se si giocasse a freccette con un bisturi. Il Rorschach richiede infatti un addestramento specifico. Qui chiaramente si giocava, la consegna è stata cangiante e a un certo punto perfino insistente: “dai, sforzati…” (non si fa, mai!). L’elaborazione dei dati sulla qualità della percezione, che richiede alcune ore di lavoro è stata assente, l’interpretazione tristemente povera e del tutto errata. E’ un gioco, ma che noia quei tre minuti.
“Ma cosa significa, dottore?” è la domanda tipica del paziente allo psicologo mentre fa il test. La risposta è: nulla. Una macchia è una macchia. Proprio qui però sta la magia di un test che obbliga il soggetto a dare un senso a quella realtà ambigua e informe, a venire allo scoperto. Il resto lo fa la statistica, costruita su un secolo di raccolta di dati, su quelle specifiche dieci macchie.
E’ un test straordinario e potentissimo, che più di ogni altro rivela il modo in cui ricostruiamo continuamente la realtà. Cosa che facciamo sempre, specie nelle relazioni umane. Diciamo ad esempio di una persona che abbiamo conosciuto da poco: è affascinante, bella, simpatica, sgradevole, gelida, scostante, ma quanto c’è di noi in quel giudizio non lo sappiamo. Finché non facciamo –sul serio, però- una cosa come un test di Rorschach.
Il Test di Rorschach predilige però la verginità: vedere le tavole prima compromette il risultato perché attiva dei processi di memorizzazione che condizionano irrimediabilmente il processo di proiezione alla base del test.
Io in primis, il test l’ho visto la prima volta all’università –ancora non c’era la Bignardi e nemmeno Wikipedia- e mi sono bruciato per sempre la possibilità di farlo io stesso. Peccato per me, ma…e se qualcuno dei telespettatori della Bignardi stesse affrontando una valutazione della propria idoneità genitoriale, e le risposte di Arisa ne condizionassero l’esito?
Per queste ragioni il Rorschach è un test di livello “C”, venduto e utilizzato solo dai professionisti della salute mentale. Anche la sua somministrazione con lo scopo di indagare i processi psichici è un atto riservato. Quindi, Daria Bignardi passerà dei guai? Non lo saprei dire.
E Wikipedia? Non interpreta, e almeno ti avvisa, e lo fa a ogni tavola: ‘Vedere le tavole invalida il test’ mentre la Bignardi mica ha avvertito nessuno.
Ma se era un gioco non bastava usare delle macchie qualsiasi?