L’Italia è il Paese più corrotto d’Europa. A stabilirlo l’ultima classifica della corruzione percepita, il “Corruption perception index 2014”, stilata da “Transparency International”, che colloca il nostro Paese al 69esimo posto tra le 175 nazioni monitorate, l’ultimo in Ue insieme a Bulgaria e Grecia. Ma, qualora qualcuno facesse finta di dimenticarlo, a ricordarcelo ci pensa anche la prestigiosa rivista scientifica Nature, con un’analisi in cui afferma che “la corruzione è nemica dell’innovazione”, e che “un minuzioso controllo della spesa pubblica è necessario, affinché scienza e tecnologia realizzino il loro potenziale”.
L’indagine, pubblicata sull’ultimo numero della rivista britannica a cura di Alina Mungiu-Pippidi – che insegna “Democracy studies” presso la Hertie School of governance di Berlino, e dirige lo “European research centre for anti-corruption and state building” – contiene alcuni grafici relativi all’influenza della corruzione su ricerca e sviluppo, fuga dei cervelli, investimenti in istruzione superiore e promozione del merito. In ognuno di essi l’Italia è, mestamente, nelle posizioni di retroguardia.
“Romania, Bulgaria, Grecia e Italia – si legge nell’indagine – hanno il più misero controllo della corruzione dell’Ue. La capacità d’innovazione rispecchia la qualità della “governance”. Nei luoghi dove fallisce il modello in cui l’avanzamento fondato sul merito è la regola e il favoritismo l’eccezione – afferma Nature – la distribuzione sociale delle risorse avviene, infatti, per preferenze e non in modo etico. E in questo contesto scienza e ricerca sono marginalizzate.
I ritorni degli investimenti in educazione e ricerca sono, infatti, considerati troppo incerti. Per questa ragione – aggiunge Nature -, gli stati più corrotti dell’Ue spendono di più in grossi progetti, come strade e treni ad alta velocità, piuttosto che in salute o ricerca e sviluppo”. E il pensiero non può non andare a progetti come il Tav o il ponte sullo stretto. Poi la rivista britannica solleva un interrogativo. “Quando Bruxelles promuove politiche di austerità, quali fondi vengono prosciugati per primi nei Paesi corrotti?” La risposta è netta: “Proprio gli investimenti in educazione e scienza”.
La rivista britannica sottolinea la necessità di potenziare i sistemi di controllo sulla distribuzione dei fondi pubblici in ricerca, sviluppo e istruzione, sia nazionali che europei. Precisa, inoltre, che non basta che l’Ue svolga un ruolo di supervisore. “Affinché scienza e tecnologia possano dispiegare il loro potenziale per la crescita – suggerisce l’analisi – devono essere messe nelle condizioni di farlo da una combinazione di finanziamenti e buon governo. Ma la spinta non può venire solo dall’alto. C’è bisogno – conclude Nature – di maggiore attivismo a livello domestico, da parte della società civile, le università e le comunità scientifiche locali, che devono svolgere un ruolo di cane da guardia”.