Musica

Jovanotti, Lorenzo 2015 CC “un disco che contiene tutto e il contrario di tutto”. Recensione

Brani da cantare mentre si passeggia di notte per le strade del centro e brani da urlare in coro allo stadio, che suonano come fossimo in Africa centrale o in mezzo a una marea di Juggalos nel Midwest, sempre comunque partendo dall'Italia, da Cortona, da casa di Lorenzo

di Michele Monina

Lo diciamo subito, in apertura, così i navigatori sono avvisati sullo stato dei mari: Jovanotti ci ha abituato, nel corso di una carriera che ha toccato, mettetevi seduti, già quattro decadi, a tutto e al contrario di tutto. Lui è stato, indifferentemente, il pirla col sorriso perennemente stampato in faccia che parla di party e di figate e il guru con la barba lunga e lo zaino in spalla che disserta di esistenzialismo di ritorno dalla Patagonia. In musica, poi, difficile pensare a un genere che non abbia toccato, dal rap, di cui è stato ufficialmente apripista in Italia al rock’n roll, passando per tutte le sonorità del sud del mondo, la dance, il cantautorato e chi più ne ha più ne metta. Ecco. Tutto. Ieri è uscito il suo nuovo lavoro di studio, Lorenzo 2015 cc. Anticipato da Sabato, di cui su queste pagine si è detto un gran bene, e da altri brani, usciti alla spicciolata, che facevano intravedere un universo mondo piuttosto articolato.

Ecco, se dovessimo guardare a Lorenzo 2015 cc in poche righe, e questo andiamo a fare, è proprio la locuzione universo mondo che ci viene in mente. Lorenzo 2015 cc si può riassumere nell’universo. E con questo, diciamocelo, non abbiamo ancora detto niente. Perché l’universo contiene tutto, e il contrario di tutto. Appunto. Lorenzo 2015 cc contiene tutto e il contrario di tutto, e questo è da una parte un gran pregio, Jovanotti all’ennesima potenza, dall’altro un difetto, Jovanotti all’ennesima potenza. Provate a mettervi di fronte a una tela di Pollock e cercate di raccontarla. Non di raccontare le sensazioni che vi trasmette, ma proprio di descrivere la tela. Colori, tanti, tantissimi. Linee mosse, casuali. Accostamenti altrettanto casuali, forse, vallo a sapere, se esiste il caso e se l’artista che decidesse mai di usarlo è vittima del caso o artefice del caso. Stile, tantissimo, quello, riconoscibile anche da un non adepto.

Così è per Jovanotti. Trenta canzoni, che spaziano dalla ballata d’amore al rock, passando per l’attualissimo EDM, che già aveva sfiorato in precedenza, ai tempi di Safari e ancor più di Backup, Tensione evolutiva docet, e per tutta una serie di contaminazioni con musiche presenti, passate, di altri lidi, di altri continenti. Tutto assoultamente coerente con il sound jovanottiano, tutto con le parole che solo Jovanotti, possiamo serenamente dire, sembra autorizzato a usare. Ci sono brani da cantare mentre si passeggia di notte per le strade del centro e brani da urlare in coro allo stadio, che suonano come fossimo in Africa centrale o in mezzo a una marea di Juggalos nel Midwest, sempre comunque partendo dall’Italia, da Cortona, da casa di Lorenzo.
Tutto, si diceva.
Tanto, forse.
Troppo, anche.

Jovanotti ci tiene a far sapere che il suo non è esattamente un disco, non certo facendo riferimento al fatto che i più ci si avvicineranno per via digitale. Ha detto, parola più parola meno, di aver voluto giocare sulla massa, per creare un percorso, ancora prima di pensare che uso poi sarebbe stato fatto di questi brani, dalla passeggiata di cui sopra al cantarle negli stadi, durante l’estate del suo Tour faraonico. Cosa rimane?
Confusione, certo. Perché se ti metti di fronte a una tela di Pollock non puoi certo pensare di trovare un filo logico in quel mare di colori.
Energia, assolutamente. Esattamente per lo stesso motivo. Provi un attimo a metterti seduto e arriva il momento di ballare, di cantare in coro e mentre lo stai facendo ecco che scatta il momento dell’accendino, sempre che qualcuno ancora usi accendini e non smartphone per fare luce ai concerti.

Qualche titolo di canzone no?, chiederà qualcuno.
Non so se ha senso, tra trenta brani, soffermarsi sulle singole tracce, sarebbe come seguire lo schizzo di un colore nell’ormai abusata tela. Però visto che insistete, io tifo per Sabato, è noto, e qui entra in ballo l’anagrafe e la provincia, confesso. Ma tifo anche Le storie vere, ballad delle ballad di questo album, la solare Ragazza magica, L’estate addosso, nonostante la penna di Vasco Brondi lo abbia aiutato col testo, e qui siamo tra tormentone pop e rock, E’ la scienza bellezza, per un certo revivalismo UK, assolutamente L’astronauta, essenziale e spaziale, come da titolo, Il cielo immenso, perché da Mi fido di te Jovanotti ha iniziato a scrivere canzoni che avrebbero anche potuto finire nel repertorio di altri cantanti, più dotati di lui vocalmente, e questo è il caso, Un bene dell’anima, e Si alza il vento, e mi rendo conto che le sto quasi citando tutte, quindi mi taccio. Lorenzo 2015 cc è un universo mondo. Tutto, tanto, troppo. Astenersi perditempo.

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