Il rispetto delle norme rimane uno degli aspetti critici del mondo del lavoro. Il 64,1% delle 221mila aziende ispezionate nel 2014 è infatti risultato irregolare. Con oltre 77.387 lavoratori trovati totalmente in nero (il 42,61% dei 181.629 lavoratori irregolari) e 1,5 miliardi di contributi evasi accertati. I dati sono contenuti nel Rapporto annuale dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, che riassume i risultati dei controlli condotti dagli ispettori del ministero, dell’Inps e dell’Inail. “Non si può però dire che il 64% delle aziende italiane siano irregolari – ha però precisato il ministro Giuliano Poletti nel corso della presentazione del report -. Il nostro non è un campione casuale, ma con un’azione mirata andiamo a cercare le aziende più problematiche”.
La posizione di Poletti, tuttavia, non trova tutti d’accordo. E il dato sulle aziende irregolari, in linea con quello del 2013 (64,78% di quelle ispezionate), è destinato a fare discutere, soprattutto in un momento in cui il dibattito politico si concentra sulle modifiche alle tutele dei lavoratori portate avanti dal governo Renzi con il Jobs Act. A dimostrarlo sono arrivate subito le parole del presidente della commissione Lavoro della Camera, il democratico Cesare Damiano, che parla di “percentuale altissima” di irregolarità. Senza voler “demonizzare il sistema delle imprese”, Damiano sostiene che “le buone leggi non sono dei lacciuoli da evitare” e si dice preoccupato “di fronte alle nuove regole del Jobs Act che consentono di licenziare adducendo come giustificazione un motivo economico inesistente o un’infrazione disciplinare che può anche essere ricondotta a un ritardo di 10 minuti”.
C’è un altro dato poi, tra quelli contenuti nel rapporto, che incrocia la strada delle riforme. Quello sul numero totale di aziende ispezionate: 221.476 (140.173 dal ministero, 58.043 dall’Inps, 23.260 dall’Inail), in calo del 5,80% rispetto alle 235.122 aziende ispezionate nel 2013. Viene così confermato il trend negativo che la Corte dei conti ha giudicato come uno dei punti critici di un sistema di controllo caratterizzato da una “perdurante inadeguatezza”. Un sistema che ora il governo vuole rinnovare attraverso la creazione dell’Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, finalizzata a integrare in una sola struttura le verifiche di ministero, Inps e Inail. I sindacati, però, temono l’insorgere di problemi di coordinamento tra gli enti e hanno denunciato il rischio di smantellamento delle funzioni ispettive, soprattutto in conseguenza di un’agenzia che l’esecutivo vuole creare a costo zero. Critiche sono arrivate anche dall’interno del Pd: è di settimana scorsa un’interrogazione urgente a firma dei senatori Roberto Ruta e Lucrezia Ricchiuti, i quali rilevano che “l’istituzione di un’agenzia ex novo non consentirebbe un’immediata concentrazione sui temi dell’intelligence, dilatando significativamente nel tempo il potenziamento dell’attività ispettiva e l’incremento del recupero contributivo”, con la conseguenza di causare “un costo ulteriore per il sistema pubblico”.
Per ora i malumori hanno ottenuto il risultato di non fare arrivare al Consiglio dei ministri di venerdì scorso il decreto attuativo sull’agenzia unica. Decisione che giovedì Poletti ha spiegato così: “Abbiamo attivato il confronto con le organizzazioni sindacali che sarà portato avanti”. L’obiettivo dell’esecutivo, tuttavia, non cambia: “Ottenere con l’istituzione dell’agenzia più efficacia ed efficienza nell’azione di controllo, senza ridurre il numero e la qualità delle verifiche”. Azione di controllo – aggiunge il ministro – che sia “più compatibile anche con il funzionamento delle imprese”.