“Non ho mai ucciso nemmeno un animale… poteva essere nostra figlia”. È il 3 luglio 2014. Sala colloqui del carcere di Bergamo. Massimo Giuseppe Bossetti è in cella dal 16 giugno. È accusato di aver rapito e ucciso Yara Gambirasio, scomparsa da Brembate Sopra il 26 novembre 2010 e ritrovata cadavere in un campo di Chignolo d’Isola il 26 febbraio 2011. Di fronte a lui c’è la moglie, Marita Comi. È la seconda volta che i due si vedono: il primo incontro è avvenuto il 26 giugno. Le loro parole sono catturate dalle microspie. E adesso sono trascritte nelle 60mila pagine in cui sono racchiusi quattro anni di indagini, che hanno portato all’arresto del presunto killer della 13enne di Brembate e sono state chiuse dal pm bergamasco Letizia Ruggeri lo scorso 26 febbraio.

Bossetti giura la sua innocenza alla moglie: “Marita ascoltami… non ho mai causato niente in vita mia… mai! Non ho mai ucciso nemmeno un animale… mai… poteva esser nostra figlia… se io vedo qualcuno che mette le mani…”. La Comi appare smarrita. Poi si cambia argomento. E le cimici piazzate dagli investigatori registrano in presa diretta la preoccupazione di Bossetti quando Marita Comi lo informa del sequestro in casa di coltelli e taglierini. “Hanno tirato fuori tutto Massi!”. “Han trovato quel coltello là? Ti ricordi?”, domanda il muratore di Mapelllo. “Sì”. “Quello – dice il 45enne – lo tenevo se entrava qualcuno a casa”. “Non l’hai mai usato? Sei sicuro? “, gli domanda la moglie. “Mai, mai”. “Non troveranno niente Massi?”. “Non troveranno niente perché non ho fatto niente”, rassicura Bossetti che pochi giorni dopo, durante il terzo colloquio, scoppia in lacrime: “Mi hanno portato via tutto… tre quarti della mia vita me l’hanno portata via qua dentro, non ho commesso niente, mai fatto niente…“.

Ma quello dei coltelli sembra un argomento sensibile per Bossetti. I due ne parlano ancora una volta nell’incontro del 29 luglio, quando il muratore le ordina di gettarli via. “Ascolta, alt un attimo… i due coltellini”, dice la Comi. “Tre”, la corregge il marito. “Mi avevano detto che erano due… tre, a parte quello grosso, i piccoli, erano in una scatola rossa. Li ho trovati io ieri sera… ce li ho lì nella borsa“. “Tirali via”. “Quanti ce ne hanno allora, quanti ce ne avevi?”, chiede la Comi. “Quei due piccolini. Uno nel cassetto, nel comodino quello tipo Rambo”, risponde Bossetti. “Allora – incalza la moglie – quanti ne avevi, quattro?”. “Ma quei due lì non sapevo di averli… giuro… l’ho letto… “. “Scusa eh”. “Buttali, buttali… capito? Buttali via“, si raccomanda Bossetti.

Cambio di scena. È il 20 agosto 2014. Un’auto si sta dirigendo verso il carcere di Bergamo. Alla guida c’è Marita Comi. A fianco, la cognata che le sta leggendo la lettera inviata da Massimo Bossetti. Le microspie registrano. Poche righe – riportate dal Corriere della Sera – in cui il muratore rivolge parole dolci alla moglie. “Ciao amore, ti sto facendo tribolare per tutto. Cerco di farmi forza, credimi, stando chiuso in queste quattro mura mi sembra di soffocare”. Racconta la vita in carcere, dura per chi si porta addosso l’accusa di aver ucciso una ragazzina. Gli altri detenuti lo chiamano “ammazza bambini”. Sui bagni – si sfoga – ci sono “perfino scritte offensive sui muri”. Tutto quello che gli sta accadendo intorno – confessa – “mi porta alla disperazione“. Pensa alla famiglia, Bossetti: “Ce l’hanno rovinata, la mia vita non sarà più come prima. Credimi, qui dentro sono messo a dura prova, ma tenterò di andare avanti perché sto vivendo per il forte amore che c’è in me per te e per i nostri figli”. E infine rivolge una preghiera alla moglie: “Ricordati la promessa che ci siamo fatti il giorno che ci siamo sposati. Di amarci e di volerci bene, nella bella e nella cattiva sorte, finché morte non ci separi”.

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