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Lucio Dalla: il privato, la sua lezione di eleganza

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Quello che il mio amico Pino Corrias rimprovera a Lucio Dalla come un inganno, un’ipocrisia, una finzione, una stonatura, un imbroglio, una negazione della verità, a me pare invece una lezione di eleganza, di discrezione e di stile.

E non per l’amicizia che mi legava a lui, anche se soltanto negli ultimi anni della sua vita (Lucio era un amico del Fatto Quotidiano, stava iniziando un blog per il nostro sito, ci leggeva ogni giorno, commentava i nostri articoli). Ma perché ho sempre pensato che ciascuno, della sua vita privata, dev’essere libero di fare ciò che vuole: vuole trasformarla in un fatto pubblico e darla in pasto al suo pubblico? Liberissimo, anche se a me non piace. Vuole separarla nettamente dalla sua immagine di artista e custodirla nello suo scrigno più intimo? Liberissimo, e questa per me è la scelta migliore.

Dalla poi non era “un gay”. Aveva avuto amori per donne e per uomini (il suo verso “io che qui sto morendo, e tu che mangi un gelato” era dedicato a una ragazza conosciuta a un concerto di cui si era follemente innamorato) e non ne ha mai fatto mistero, così come tutti sapevano del suo ultimo legame con Marco Alemanno. Dalla era onnivoro e curioso e rabdomantico e contraddittorio umanamente, culturalmente, politicamente, musicalmente, e anche sentimentalmente e sessualmente. Ma chi un po’ l’ha conosciuto sa bene che rifuggiva tutte le etichette e le gabbie.

Non certo per ipocrisia o per la necessità di nascondere qualcuno o qualcosa. Iscriversi alla categoria del “cantante gay” (come a quella di “cantante etero”, o “bisex”) avrebbe immiserito il suo essere tutto e di tutti. Chi da ragazzo ha aiutato i propri amori con le sue canzoni d’amore non s’è mai posto il problema di chi ne fosse il destinatario. Personalmente, gli sono grato di non aver mai voluto circoscrivere l’amore con nomi, cognomi, generi e altre gabbie. E di averci risparmiato, almeno lui, il rito tragicomico del coming out a favore di telecamera dalla D’Urso o dalla Bignardi.

Se l’avesse fatto, avrebbe persino giustificato ex post le orrende celebrazioni di questi giorni, su cui un uomo ironico e sarcastico come Lucio – in questo concordo con Corrias – non avrebbe potuto che sputazzare. Lo pseudonimo e l’indirizzo mail che si era scelto era “Domenico Sputo” e la sua barca si chiamava “Catarro”: ho detto tutto.

il Fatto Quotidiano, 7 marzo 2015

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