Nei Cda delle grandi aziende europee la presenza delle donne è in media del 20 per cento, in netto miglioramento rispetto al passato. Merito anche delle leggi che impongono le quote di genere. E quella italiana ha dato ottimi risultati. Il confronto con la Spagna.

di J. Ignacio Conde-Ruiz* e Paola Profeta** (lavoce.info)

Le donne nei Cda

Negli ultimi anni il dibattito europeo sull’uguaglianza di genere e sulle misure per promuoverla si è concentrato sul ruolo che l’introduzione di quote di genere può avere per abbattere il glass ceiling – gli ostacoli che le donne incontrano per raggiungere posizioni di vertice nel mondo del lavoro.
Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Commissione europea a gennaio 2015 (Database on women and men in decision making) in Europa la presenza femminile nei consigli di amministrazione delle maggiori imprese quotate è in media circa il 20,2 per cento. Rispetto al 2010, quando la stessa percentuale si assestava all’11,9 per cento, l’aumento è stato significativo. Le differenze tra paesi sono tuttavia molto marcate: mentre in Francia, Finlandia o Svezia si supera il 25 per cento, in paesi come l’Irlanda o il Portogallo le donne non arrivano al 10 per cento del totale dei consiglieri. L’unico stato, sia pur al di fuori dell’Unione europea, che arriva al 40 per cento è la Norvegia, paese pioniere nell’introduzione di quote di genere, seguita, nell’adozione di questa misura, più recentemente, da Italia e Francia. D’altra parte, l’incremento osservato in Europa negli ultimi anni è dovuto a progressi concentrati in alcuni paesi, in particolare proprio in quelli in cui sono state introdotte misure legislative ad hoc, come l’Italia e la Francia (figura 1).

Figura 1 – Presenza delle donne nei consigli di amministrazione – Unione europea – Confronto ottobre 2010-ottobre 2014

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Il confronto Italia-Spagna

Un confronto interessante è quello tra Italia e Spagna, due paesi dell’Europa mediterranea che hanno intrapreso scelte diverse per la promozione della presenza femminile ai vertici aziendali e si trovano oggi in posizioni assai distanti.
L’Italia nel luglio 2011 ha approvato la legge 120 (detta legge Golfo-Mosca dai nomi delle prime firmatarie) che impone, a partire da agosto 2012, il rispetto di quote di genere nei consigli di amministrazione e collegi sindacali delle società quotate in Borsa. L’obbligo si è poi esteso anche alle società a controllo pubblico. La quota è fissata al 20 per cento per il primo rinnovo e al 33 per cento per i successivi due. Si tratta di una misura temporanea: le quote sono obbligatorie solo per tre mandati.
Grazie alla legge Golfo-Mosca, l’Italia è passata dal 6 per cento di presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate al circa 23 per cento attuale (nostre elaborazioni su dati Consob, gennaio 2015). Il risultato è stato ottenuto nonostante l’Italia soffra di ritardi enormi nell’uguaglianza di genere sul mercato del lavoro, con un tasso di occupazione femminile pari al 47 per cento, terzultimo in Europa, seguito solo da Grecia e Malta.
In Spagna, invece, la Ley de Igualdad del 2007 ha introdotto una semplice raccomandazione ad aumentare il numero di donne nei Cda. La presenza femminile è passata dal 6 per cento del 2007 all’attuale 15 per cento, un progresso molto più limitato rispetto all’Italia, anche se il mercato del lavoro spagnolo gode in generale di una minore disuguaglianza di genere rispetto a quello italiano. Secondo un recente rapporto, dei 529 consiglieri, solo 80 sono donne. Le consigliere donne sono più istruite e più giovani degli uomini, ma sono pagate mediamente di meno.
La Ley de Igualdad prevede una valutazione, fissata per il 2015. Quest’anno quindi sarà fondamentale per la Spagna per capire se continuare su questa strada, senza grandi progressi, o affacciarsi al modello italiano di quote temporanee.

Un modello per l’Europa

Il modello italiano sta diventando un esempio in Europa. Le prime valutazione degli effetti della legge Golfo-Mosca, effettuate dal progetto Women mean business and economic growth, in corso presso il dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri in partnership con l’Università Bocconi, mostrano che non solo il numero di donne in posizioni di vertice è aumentato, ma anche la governance delle società è migliorata.
Lo studio analizza i circa 3.170 curriculum vitae dei consiglieri e sindaci, uomini e donne, delle società quotate italiane al 30 giugno 2013, confrontando tre gruppi di società: quelle che non hanno rinnovato il consiglio dopo l’approvazione della legge (e quindi hanno avuto l’ultimo rinnovo prima di agosto 2011), quelle che hanno rinnovato il consiglio quando la legge era stata approvata ma non ancora in vigore (e quindi tra agosto 2011 e agosto 2012) e quelle che hanno rinnovato il consiglio dopo agosto 2012, e cioè quando la legge era in vigore. Oltre all’aumento numerico di donne, che ha superato i limiti minimi imposti dalla legge, osserviamo anche un ringiovanimento e un miglioramento della qualità dei consiglieri, sia uomini sia donne. Non solo le donne sono mediamente più istruite degli uomini, ma gli stessi uomini hanno un livello di istruzione superiore nei consigli che hanno rinnovato con la quota rispetto agli altri. Inoltre, l’introduzione di quote non si è associata con due temuti fenomeni: le cosiddette “golden skirts” – poche donne in molti consigli – e l’aumento dei consiglieri scelti all’interno della cerchia familiare. Infatti, le posizioni multiple sono diminuite, in particolare tra le donne (dal 25,4 al 18,6 per cento), segnalando un allargamento della platea di candidati dai quali sono selezionati i consiglieri, e le donne legate da rapporti di parentela con altri componenti del consiglio sono passate dal 16,2 al 7,9 per cento.
Il sistema di quote, in altri termini, sembra innescare un cambiamento nella selezione dei consiglieri, con un forte incentivo per le società a escludere gli uomini meno qualificati a favore di donne più competenti, aumentando così la qualità media dei propri rappresentanti, che presumibilmente agirà con maggiore efficacia e potrà portare a risultati migliori. Le quote rompono un equilibrio in cui il potere si concentra nelle mani degli uomini e aiutano a raggiungerne uno nuovo di parità di opportunità per uomini e donne e, allo stesso tempo, un rinnovamento della classe dirigente benefico non solo per le aziende, ma per tutta la società.

Ha conseguito un dottorato di ricerca in Economia presso l’Università Carlos III di Madrid. Professore di Analisi Economica presso l’Università Complutense di Madrid, e vice direttore della Fondazione per la Applied Economic Studies (FEDEA). E’ membro deò Comitato di esperti per lo sviluppo del fattore sostenibilità 2013 le pensioni e l’Aviva Expert Forum Institute. Ha lavorato anche presso l’Ufficio Economico del Presidente come Capo di politica economica (2008-2010) e come consulente esterno per la Banca Mondiale.

** Ha conseguito il PhD in Economics all’Università Pompeu Fabra di Barcellona, è professore associato di Scienza delle finanze all’Università Bocconi di Milano, Research fellow di Dondena, CESifo, Econpubblica e Associate editor di CESifo Economic Studies. Si occupa di economia pubblica, sistemi di welfare (in particolare pensioni e istruzione), economia di genere e leadership femminile, analisi di sistemi di tassazione comparati. In precedenza è stata ricercatore presso l’Università di Pavia. Ha svolto periodi di studio, ricerca o insegnamento a Columbia University di New York, CORE- Université Catholique de Louvain, Harvard Kennedy School, Università di Lugano, Rennes, CESifo di Monaco. E’ membro della commissione di monitoraggio per la valutazione della legge 120/2011 (“quote di genere”) presso il Dipartimento Pari Opportunità, Presidenza del Consiglio dei Ministri.

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