Il buco di bilancio da mezzo miliardo di euro delle casse nell’ente che gestisce le case popolari di Milano sta tutto in un vecchio proverbio, messo a verbale durante un’udienza alla Commissione regionale d’inchiesta sull’Aler dall’ex direttore generale (dal 1999 al 2013) Domenico Ippolito: “Raccogli l’acqua quando piove”. E dall’alto, in questo caso, piovevano finanziamenti pubblici, divorati dalla macchina Aler per operazioni che non sono andate a buon fine. Così l’azienda si è indebitata accendendo mutui per finanziare operazioni su cui lo stesso consiglio d’amministrazione nutriva forti dubbi. Ma l’ordine arrivava da Regione Lombardia, all’epoca guidata da Roberto Formigoni, spesso tramite il braccio Infrastrutture Lombarde diretto da Antonio Rognoni, oggi imputato nel processo sulla presunta cupola degli appalti di Expo. Quindi il Cda Aler ha eseguito, anche quando sapeva che la scelta era fallimentare.
Piovevano finanziamenti pubblici quando Aler ha cominciato, dal 2007, a sottoscrivere i “contratti di quartiere“, strumenti per riqualificare e valorizzare sul piano sociale i quartieri periferici di Milano e provincia. A verbale, l’ex direttore Ippolito, oggi rientrato in azienda con il ruolo di dirigente degli Affari generali, dichiara: “Sono partiti con una grande fretta, perché ricordo all’inizio i tempi che ci hanno dato per la predisposizione dei progetti erano sei mesi”. Se non fossero stati rispettati, Aler avrebbe perso i finanziamenti per i contratti. Così le Aler di tutta la Lombardia ne fanno partire 19: una situazione ingestibile. La Corte dei Conti, nel 2013, traccia la situazione degli otto di Milano e provincia: Rho Lucernate, San Siro, Mazzini, Molise Calvairate, Sesto San Giovanni, Pioltello, Gratosoglio, Ponte Lambro. Lo stanziamento per questi contratti di quartiere è stato di 183 milioni di euro, di cui però ne sono stati investiti solo 106. E gli altri soldi? Nessuno sa dove siano finiti. Risultati del piano? Pochi. Come ammette Ippolito, “è stato un errore avviarli, detto ovviamente con il senno di poi”.
Nelle sue due audizioni alla Commissioni Ippolito imputa il vuoto in cassa di Aler all’alto tasso di inquilini morosi (più di tre su dieci), alla crisi finanziaria e al contorto meccanismo di finanziamento dell’ente. Ma lo smentiscono gli altri membri del cda e del collegio sindacale. “Già a partire dal consuntivo del 2009 accertavamo la presenza di una forte esposizione debitoria“, che ammontava a circa 200 milioni, dichiara il presidente del Collegio sindacale Beniamino Lo Presti. Stefano Sacchi, cinque anni al collegio sindacale di Aler, afferma: “Il Consiglio di amministrazione avrebbe dovuto, il primo giorno che è arrivato, fare i conti e dire: ‘Cari ragazzi, così possiamo chiudere Aler domattina’”. E invece la gestione di Aler non cambia di una virgola, né si dimette qualcuno tra Cda e collegio dei sindaci.
Aler nasce già con un ammanco in cassa, provocato dall’ente che controllava prima le case popolari, l’ex Iacp (Istituto autonomo case popolari), che a fine anni ’90 aveva un passivo di 139 miliardi di lire. Così dal 2005, ha cercato di fare cassa attraverso una sua controllata: Asset srl, una specie di società immobiliare di Aler (al 100% di sua proprietà). “Multifunzione”, come dimostra un episodio scovato dalla società di consulenza Bdo nel suo rapporto del 2013 sui conti dell’ente gestore delle case popolari milanesi. Non solo Asset acquista e vende patrimonio immobiliare, come da ragione sociale, ma dal 2010 ha in appalto anche il servizio per il pagamento delle buste paga di Aler. Questa versa un milione alla sua controllata perché se ne occupi, solo che Asset non ha personale, né tantomeno gli strumenti adeguati per svolgere questo servizio. Così subappalta a Cispel srl, controllata al 51% di Asset. Nel passaggio si trattiene 442 mila euro. Il perché rimane un mistero. L’unica giustificazione possibile è quella, ancora una volta, di ripianare i debiti. Di nuovo è Ippolito ad ammetterlo: “Indubbiamente Asset soprattutto negli ultimi anni ha pesato sulle casse di Aler”, dichiara in udienza l’11 giugno. Pensare che lo scopo originale era il contrario.
La prima fallimentare operazione di Asset è stata la vendita di appartamenti acquisiti dall’Enpam a Pieve Emanuele, periferia sud di Milano. Siamo nel 2009: le aste per vendere 600 appartamenti in housing sociale (canoni più bassi del mercato, quindi) vanno deserte. Nella sua memoria, il presidente del consiglio sindacale Lo Presti sostiene che la causa dell’esito stia nel “complicato, farraginoso e concretamente anodino meccanismo d’asta adottato dalla società in merito alla vendita dei comparti commerciali della realizzazione immobiliare di Pieve Emanuele, il quale ha pesantemente ritardato l’avvio dell’iniziativa immobiliare, comportando un significativo depauperamento delle risorse finanziarie”. In sostanza, le regole d’acquisto rendevano sconveniente per qualunque privato imbarcarsi nell’impresa. Il prezzo base dell’asta era tenuto basso, inferiore al prezzo d’acquisto di Asset (18 milioni di euro contro 25 milioni), per aumentare invece il cofinanziamento regionale, come spiega Lo Presti in commissione. A dettare le regole così farraginose del bando, Antonio Rognoni di Infrastrutture Lombarde, stazione appaltante per la vendita. La regia dell’operazione stava al Pirellone. Asset ha ripetuto l’errore a Garbagnate milanese e in via Adriano (Milano), l’anno seguente, dove non ha portato a termine i lavori di ristrutturazione e vendita di altri appartamenti. Il risultato è quello evidenziato dalla relazione della Bdo nel 2013: i mutui accesi da Asset costano all’azienda un’esposizione finanziaria da 145 milioni di euro.
Nella galassia delle controllate di Aler, le poltrone sono andate sempre agli stessi. Un esempio? Filippo Musti, leghista vicino a Matteo Salvini, uscito da Aler quando è subentrato il commissario Gian Valerio Lombardi, è stato vicepresidente di Aler Milano e presidente di Asset, oltre che consigliere in Csi, controllata di Aler che gestisce il riscaldamento, consigliere di Cispel e presidente di Vivere insieme srl, altra controllata Aler. L’ultimo Cda di Asset aveva Filippo Tartaglia come presidente, Franco Cazzaniga (dimessosi a febbraio 2014), lo stesso Domenico Ippolito e Marco Mastrandrea, membro anche del Cda di Aler sotto l’ex presidente Loris Zaffra. Sono gli stessi anche i nomi del collegio dei sindaci. Oggi tutto è congelato e a dirigere Asset è lo stesso dg di Aler Milano, Lorella Sossi. Di questa situazione si stupisce persino l’allora assessore alla Casa Domenico Zambetti, accusato di aver pagato i voti della ‘ndrangheta per le elezioni regionali del 2010: “Dissi che non riuscivo a capire veramente alla fine le ragioni per le quali servissero due aziende collaterali con le stesse persone, nei fatti, che facevano parte del consiglio d’amministrazione poi di queste altre aziende”, dichiara a verbale il 27 ottobre 2014. Ma non fece nulla per cambiare gli assetti di Aler e delle sue controllate, che hanno continuato a erodere le casse dell’ente controllato da Regione Lombardia.
Dopo sei mesi d’indagini, la Commissione regionale d’inchiesta su Aler, il 10 marzo, porterà in Consiglio regionale la sua relazione votata il 2 marzo all’unanimità. Per il presidente della Commissione Roberto Bruni di Patto Civico, sono emerse “alcune carenze di carattere organizzativo, operazioni immobiliari sbagliate e un sistema di controlli regionale inefficiente”, alle quali si aggiungono “cause esogene come la forte morosità, l’aumento del carico fiscale e la diminuzione delle risorse destinate agli investimenti”. Più diretta la consigliera del Movimento 5 stelle Iolanda Nanni: “La Commissione è riuscita a inchiodare le responsabilità politiche di Regione Lombardia e quelle gestionali del management di Aler Milano delle sue partecipate. Ora sarà semmai compito della magistratura stabilire se ci sono state ipotesi di reato”.