“Quando era bambino si chiedeva come fosse possibile che i genitori fossero vissuti durante la seconda guerra mondiale; tra qualche anno i suoi figli gli avrebbero chiesto se era davvero esistito il ventesimo secolo”.
In un anno imprecisato di un futuro non troppo futuro una donna viene colpita da un ictus ed entra in coma. Il marito, un venditore di sistemi di depurazione dell’acqua domestica, si ritrova a vivere l’incubo di una diagnosi incerta, l’incombenza di mandare avanti il resto della famiglia (due figli di tredici e sette anni), l’orrore di vivere in un tempo in cui i gatti del quartiere spariscono per motivi che nessuno sa, e la sorpresa di scoprire che sua moglie, prima di scomparire nel buco nero della malattia, lo tradiva regolarmente con uno sconosciuto. Un amore clandestino, quest’ultimo, fatto di scatti pornografici privati, di mostruose confidenze, di incontri, amplessi e dichiarazioni d’amore definitive. Prove che vengono a galla per via del ritrovamento fortuito di un cellulare e che mettono il protagonista con le spalle al muro, inchiodandolo a un gigantesco dilemma morale, ora che la moglie non è altro che un corpo emaciato e inerme, ora che è un recipiente umano svuotato di funzioni.
Paolo Zardi racconta questa storia in XXI secolo, di prossima pubblicazione per Neo Edizioni e già candidato al Premio Strega 2015. Un romanzo che assomiglia a un cupo presagio, che sembra scritto sotto l’influsso di Cormac McCarthy, una drammatica ricognizione sulla realtà d’inizio secolo.
Zardi immagina uno sviluppo della crisi attuale, la proietta da qui a qualche anno, lascia sgocciolare pagina dopo pagina le forme orrende che assume la società occidentale schiacciata dal crollo, il male che avviluppa non solo l’economia, ma i valori fondanti di un’intera civiltà. Lo fa attraverso una descrizione calibratissima, che non eccede mai e che qualche volta fa ricorso all’ironia (“Era un problema nazionale, quello dei culi enormi. Nemmeno la crisi era riuscita a smussare quei trofei del passato benessere – non ancora”). Lo fa usando la figura retorica dell’allegoria, affidando il senso riposto e allusivo dell’intero romanzo a una donna ridotta allo stato di vegetale.
A differenza dell’ex studente Dai Wei, protagonista di uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale di inizio secolo, Pechino è in coma, del cinese Ma Jian (Feltrinelli, traduzione di Katia Bagnoli), il quale, colpito alla testa da un proiettile e costretto in un letto da oltre dieci anni, ripercorre nella propria mente la storia delle proteste di Piazza Tiananmen – la donna in coma di Paolo Zardi non è altro che pura effigie, è priva di ogni mandato narrativo, attraversa il racconto dall’inizio alla fine come una presenza assente. Rappresenta un mistero vivente che costringe un uomo spossato e già vinto dalla cupezza dei tempi – suo marito – a rimettersi in discussione, ad affrontare un viaggio, a imporsi di condurre una macchinosa indagine per scovare il senso del loro rapporto e a fare i conti con quelle verità invisibili e inimmaginabili che ristagnano nei coni d’ombra di un matrimonio. A raggiungere infine conclusioni che non sono scontate:
“Amarla era stato facile; e anche l’odio degli ultimi mesi era un impasto fatto con ingredienti naturali. Sarebbe stato bello continuare a odiarla, sarebbe stato comodo, ma ora il sentimento che lo legava a lei stava cambiando contenuto, composizione, forma. Ed era qualcosa che riguardava solo loro”.
James Berger in After the End: Representations of post-apocalypse ha scritto:
“Nella fase finale del ventesimo secolo abbiamo avuto l’opportunità, prima accessibile solo attraverso la teologia o la finzione narrativa, di vedere oltre la fine della nostra civiltà, di scorgere, in una strana sorta di retrospettiva prospettica, come si presenterebbe la fine: come un campo di sterminio nazista, o un’esplosione atomica, o una wasteland ecologica o urbana. E se siamo stati in grado di vedere queste cose è solo perché esse sono già accadute”.
Leggendo il libro di Paolo Zardi si ha la stessa macabra impressione. XXI secolo non è un semplice romanzo; è una narrazione che va oltre il proprio canone, è uno spazio ben disposto e ricolmo di significati sulla crisi degli anni Duemila, è una paramnesia collettiva.