La Cassazione riapre il caso della piccola Matilda, morta a 23 mesi 10 anni fa a Roasio (Vercelli) a causa di un violento colpo alla schiena. I supremi giudici hanno annullato il non luogo a procedere nei confronti delll’allora compagno della donna, Antonio Cangialosi, ma sul processo incombe la prescrizione del reato.
“Ho sentito Elena (Romani, ndr), e pur nella drammaticità dell’evento era molto contenta per la decisione della Cassazione, e spera nella risoluzione della vicenda in tempi brevi – dice l’avvocato Tiberio Massironi, che con il collega Roberto Scheda, assiste la mamma della piccola – Finalmente la nostra assistita intravede il percorso verso la responsabilità di qualcuno per la morte della figlia. Eravamo all’ultima spiaggia, e se il giudice non avesse annullato la sentenza del gip del giugno scorso – aggiunge – ci saremmo trovati davanti ad una situazione a dir poco mostruosa. Ora si sta tracciando con estremo ritardo il percorso verso la giustizia per la bambina”. “Grazie a questa decisione – sottolinea l’avvocato Scheda – riusciamo a dare voce a quello che ancora manca in questa triste vicenda: giustizia sulla morte della piccola. Ci preoccupa il fatto che il processo va avanti dal 2005 e che la prescrizione per omicidio preterintenzionale non è così lontana. L’impegno doveroso, ora, è concludere in fretta”.
Il fascicolo torna quindi in tribunale a Vercelli, dove sarà affidato a un nuovo giudice per l’ennesimo round giudiziario di una vicenda ancora senza fine. E, soprattutto, senza un colpevole. Dopo l’assoluzione nel 2012 in via definitiva della madre, hostess di Busto Arsizio (Varese), la procura aveva chiesto il rinvio a giudizio per Cangialosi. Lo scorso 3 giugno, però, il giudice di Vercelli Paolo Bargero aveva confermato il non luogo a procedere nei confronti dell’uomo. Eppure i due erano soli nella villetta di Roasio (Vercelli), il 2 luglio di dieci anni fa, quando la bimba, nata da una precedente relazione della madre, si era sentita male ed era poi morta per le conseguenze di una lesione alla schiena.
La bimba, che era stata messa a dormire nel letto matrimoniale, piangeva disperatamente: aveva vomitato sulle lenzuola. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la mamma la lavò, poi uscì a stendere i panni. Il convivente restò con la piccina e, ad un certo punto, vedendo che continuava a stare male, chiamò un’ambulanza. Inutilmente. Ma chi era stato a procurare le lesioni sul corpicino di Matilda? Scagionata in primo grado, Elena in appello trovò un giudice, Alberto Oggè, che non solo confermò l’assoluzione, ma indicò in Cangialosi l’autore di un gesto “insensato e feroce”: l’uomo, che secondo il magistrato non amava quella bimba non sua, una volta rimasto solo le aveva posato un piede dietro le spalle, schiacciandolo fino a farle un male irreparabile.
E così, mentre la Romani usciva di scena, il bodyguard – che pure era già stato prosciolto una prima volta – ha dovuto fronteggiare una nuova inchiesta. Fino al non luogo a procedere dello scorso 3 giugno, su cui con ogni probabilità sono stati decisivi i risultati dell’ultima perizia, che non ha confermato la ricostruzione del giudice Oggè. In serata l’ennesimo colpo di scena. Per i giudici supremi quel trauma venne prodotto “durante l’assenza dall’abitazione della Romani, uscita nel cortile per stendere all’aria il cuscino lavato”. Quindi, il non luogo a procedere nei confronti dell’uomo è annullato. E il caso riaperto.