E’ sorprendente come a volte dall’osservazione di piccole cose possano emergere fatti di un certo rilievo. E’ il caso, ad esempio, della banca di Credito Cooperativo di Bene Vagienna, dove tra l’aprile 2013 e il maggio 2014 ha operato in qualità di commissario straordinario Giambattista Duso. La banca è balzata agli onori delle cronache per l’apertura di un conto milionario presso la Popolare di Vicenza che all’epoca aveva seri problemi di liquidità. Duso, nominato dalla Banca d’Italia, in quel periodo ricopriva anche la carica di amministratore delegato della Marzotto sim (società d’intermediazione legata alla Popolare di Vicenza) e a Bene Vagienna molti pensano che il commissario abbia agito in conflitto d’interessi, distogliendo dal territorio liquidità per decine di milioni di euro che avrebbe potuto essere impiegata in loco in modi ben più remunerativi per la banca e più utili per l’economia locale. Ma non basta: da allora Bene Banca ha iniziato ad operare anche con Marzotto sim, rendendo ancora più plateale il conflitto d’interessi di Duso, che in qualità di commissario era anche pubblico ufficiale.
Nel comitato di sorveglianza nominato da Bankitalia per controllare l’operato del commissario straordinario spicca la figura del professor Giovanni Ossola, stimato professionista torinese, nonché membro del collegio sindacale di Milano Assicurazioni, cui a fine 2013 per la “gravità oggettiva delle violazioni accertate” e per la “gravità soggettiva delle condotte poste in essere”, la Consob ha comminato una sanzione da 382mila euro. Per la cronaca si tratta della sanzione più elevata mai comminata a un collegio sindacale (3,7 milioni di euro complessivi di multa ai membri dei collegi di Fondiaria Sai e Milano Assicurazioni), motivata dalle ripetute violazioni dell’articolo 149 del Testo Unico della Finanza, ossia dal non aver ottemperato con diligenza al proprio dovere di vigilanza. Di più: “Le condotte omissive del collegio sindacale – si legge nel dispositivo Consob – hanno concorso a rendere concretamente inefficaci quei presidi che l’ordinamento prevede al fine di prevenire i rischi” su operazioni con parti correlate.
A fronte di questo scandalo, nel febbario 2014 Bankitalia procedette a sostituire Ossola dal consiglio di sorveglianza di Banca delle Marche (organo del quale era anche presidente), ma incredibilmente non da quello di Bene Banca, dove il professore ha operato fino al termine dell’amministrazione straordinaria. Come Ossola controllasse l’opera del commissario non è dato a sapersi, ma certo è che se la banca era stata formalmente commissariata anche per il fatto che venivano erogati crediti a chi non era meritevole, questa pratica è proseguita durante il commissariamento, come ad esempio dimostra il caso di un antiquario (di cui, per inciso, Ossola era cliente), cui venne aumentato il fido nonostante il parere contrario della Direzione Crediti. Piccole cose di provincia, si dirà. Ed è vero. Solo che all’epoca a gestire la banca di provincia c’erano organi nominati dalla Banca d’Italia e dunque – al di là delle persone e della legittimità o meno dei loro specifici comportamenti, della cui supervisione è comunque responsabile l’istituto centrale – vale la pena soffermarsi a esaminare questo commissariamento, senz’altro tra i più brevi della storia bancaria italiana dato che si è risolto in poco più di 12 mesi.
Come detto, le motivazioni dell’amministrazione straordinaria non avevano a che vedere con la solidità patrimoniale dell’istituto che, anzi, all’epoca vantava buoni fondamentali sia dal punto di vista economico sia da quello patrimoniale e non aveva alcun problema di liquidità. I problemi erano eventualmente di governance, legati ai litigi tra consiglio d’amministrazione e collegio sindacale e a “irregolarità amministrative e violazioni di norme regolanti l’attività bancaria”. In sostanza – come ha scritto il Tar del Lazio – si è trattato di un commissariamento volto a prevenire l’instaurarsi di una situazione di crisi irreversibile. Un comportamento encomiabile da parte di un organo di vigilanza, che ricorda però un po’ il modus operandi del sistema “precrimine” del film Minority Report, dove i colpevoli vengono messi in condizione di non nuocere prima ancora che il crimine venga commesso. Se Banca d’Italia dispone di tali potenzialità, perché mai le ha utilizzate solo nel caso della piccola banca di credito cooperativo di Bene Vagienna e non ad esempio per Mps, Veneto Banca e via dicendo? MontePaschi, per dire, è una ferita aperta che è costata alla collettività parecchi miliardi di euro e di cui – obtorto collo – la collettività si troverà ad essere addirittura azionista, dovendo probabilmente il Tesoro convertire parte dei crediti in azioni il prossimo luglio.
A sconcertare non è solo la disparità di trattamento, ma anche la protervia con la quale su una banca di piccole dimensioni si interviene senza alcuna remora né gradualità, quando in realtà gli interventi della Vigilanza dovrebbero essere caratterizzati da proporzionalità tra l’intensità dell’intervento e la gravità delle anomalie. In molti casi la Banca d’Italia ha disposto delle misure preventive, richiedendo ad esempio la riunione degli organi collegiali e proponendo l’adozione di determinate misure. In altri casi sono state adottate misure correttive, imposte attraverso provvedimenti amministrativi che obbligano le singole banche ad attenersi a determinati limiti e condotte, fino ad arrivare alle misure di carattere straordinario. La gradualità è dovuta all’ovvia necessità di non allarmare senza motivo i clienti della banca e a permettere alla banca stessa di intraprendere in modo autonomo le iniziative necessarie a correggere eventuali violazioni.
Nel caso di Bene Banca non c’è stata alcuna gradualità e si è arrivati direttamente al commissariamento. Come ci si è arrivati è un altro mistero: ai ricorsi intentati dagli ex vertici di Bene Banca al Tar del Lazio e poi al Consiglio di Stato, la Banca d’Italia ha presentato copia della documentazione interna da cui risulta una grande confusione nelle operazioni di protocollo della procedura. Certo è che – come nel caso della Banca Popolare di Spoleto – il ministero dell’Economia non ha svolto alcuna istruttoria autonoma su Bene Banca in merito alla proposta di commissariamento avanzata dalla Banca d’Italia e il Consiglio di Stato, che proprio su questo tema ha dato ragione agli ex vertici della popolare di Spoleto, pochi giorni prima sulla stessa questione ha dato torto a quelli di Bene Vagienna. Ora però, a quasi un anno dalla fine del commissariamento, la governance sembra perfetta, come dimostrano le sinergie parentali tra l’attuale presidente Piervittorio Vietti e suo cugino, il vicepresidente del Csm, onorevole Michele Vietti, che a luglio, a spese della locale banca di credito cooperativo ha promozionato il suo ultimo libro: La governance nelle società di capitali. A dieci anni dalla riforma.