Un esposto per denunciare presunte violazioni del diritto di difesa nelle indagini sulla Trattativa Stato mafia. Sei pagine inviate al Csm, al ministro della Giustizia, al procuratore generale della Cassazione e perfino al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da Mario Mori, Giuseppe De Donno e Mauro Obinu, gli ex alti ufficiali del Ros portati a processo dalla procura di Palermo.
Il generale Mori e l’ex capitano De Donno sotto attualmente imputati nel procedimento sulla Trattativa Stato mafia, in corso all’aula bunker del carcere Ucciardone; il colonnello Mauro Obinu, invece, è coimputato insieme allo stesso Mori nel processo d’appello per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, dopo l’assoluzione ottenuta in primo grado nel luglio 2013. Due procedimenti che si sono incrociati più volte negli ultimi anni, mentre ancora oggi i pm del pool Stato mafia continuano ad indagare sul passato di Mori al Sid, negli anni ’70, quando il futuro generale era un giovane 007 in servizio all’intelligence del ministero della Difesa.
Quelle indagini che cercano di ricostruire il segmento iniziale della carriera di Mori sono il bersaglio dell’esposto stilato dagli avvocati Basilio Milio, Enzo Musco e Giuseppe Saccone. Per indagare sugli anni di Mori al Sid i pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, e Francesco Del Bene hanno infatti aperto un nuovo fascicolo, a carico d’ignoti, diverso quindi da quello originariamente aperto per indagare sul patto Stato mafia, e dal quale poi nel giugno 2012 sono state stralciate le posizioni di 12 indagati (poi imputati nel processo Trattativa).
Nel nuovo fascicolo sono confluiti i verbali d’interrogatorio degli 007 ex colleghi di Mori (come Mauro Venturi, poi deceduto), ma anche gli atti acquisiti nel corso degli ultimi mesi negli archivi dell’Aisi. “Il modus procedendi praticato dall’Ufficio del Pubblico Ministero, determina l’abnorme effetto consistente nel fatto di esser rinviati a giudizio per un reato mentre, nel tempo, vengono introdotti surrettiziamente altri fatti, oggettivamente e, sovente, temporalmente diversi e lontani da quelli oggetto di accertamento dibattimentale, ma relativi a circostanze che potevano esser oggetto di indagine nei tempi previsti dal codice di rito, senza impedimento alcuno e con fonti di prova già note” scrivono i legali degli ex alti ufficiali del Ros. Ma c’è di più: gli imputati contestano anche il costo delle indagini svolte dal pool Stato mafia, citando la rogatoria internazionale del novembre scorso, quando i pm si sono recati a Johannesburg, in Sudafrica, per interrogare Gianadelio Maletti, ex capo del controspionaggio del Sid. “Questa attività – scrivono i legali – comporta, come detto, anche degli oneri finanziari non indifferenti per lo Stato, ed oltretutto viene esperita da pubblici ministeri che, da notizie giornalistiche, avrebbero terminato il periodo di permanenza presso la Dda (dr. A. Di Matteo e dr. F. Del Bene) o non ne farebbero parte essendo meramente applicati (dr. R. Tartaglia)”.
In realtà, Tartaglia è ufficialmente entrato nella direzione distrettuale antimafia da dicembre, mentre Di Matteo e Del Bene, nonostante siano usciti dalla Dda dopo la decorrenza del limite massimo di otto anni, possono continuare ad essere titolari dell’indagine sul patto Stato mafia: una consuetudine adottata perché in alternativa le inchieste su Cosa Nostra passerebbero continuamente da un pm a un altro. Nel loro esposto, però, Mori, Obinu e De Donno chiedono al Csm “se non sia il caso di inviare gli Ispettori Ministeriali per verificare la sussistenza di violazioni di legge e di anomalie oggettive e soggettive nell’espletamento delle indagini – (che conducono, oltretutto, a duplicazione di processi assolutamente identici, con dispendio di enormi risorse per lo Stato), per fatti che peraltro sarebbero prescritti – e nell’affidamento di esse a soggetti i quali non sarebbero legittimati ad esperirle”.
Il processo sulla Trattativa nel frattempo continua: dopo l’audizione di Ennio Mastropietro, ex capo di Sicurpena, un reparto dei carabinieri che controllava la sicurezza delle carceri, la corte d’assise presieduta da Alfredo Montalto ascolterà la testimonianza del pentito Pasquale Di Filippo. “Fino al 1995 in Sicilia non c’era un partito che vinceva se non era in società con Cosa nostra. Cosa nostra ha sempre convissuto con la politica, per questo nel 1994 votammo Forza Italia”, è il racconto del collaboratore di giustizia al processo bis sulla strage di Capaci, nato dalle rivelazioni di Gaspare Spatuzza, che ha ricostruito la fase operativa dell’attentato contro Giovanni Falcone. Dopo la riapertura della fase dibattimentale, invece, il processo d’appello per il mancato arresto di Provenzano riprenderà il 15 aprile prossimo: sul banco dei testimoni salirà il colonnello Michele Riccio, l’uomo che aveva infiltrato Luigi Ilardo in Cosa Nostra, principale accusatore di Mori e Obinu.
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