No a Google News in Europa, sì a Facebook negli Usa. Il mondo dell’editoria, alla ricerca di ricavi, segue strade diverse. Se in Spagna il sito di notizie di Google ha chiuso i battenti dopo la legge che imponeva il pagamento dei diritti sulla pubblicazione degli articoli, negli Stati Uniti New York Times e National Geographic sono vicini all’accordo con il social network.
Con 1,4 miliardi di utenti Facebook è diventato una vitale fonte di traffico per gli editori, soprattutto con la diffusione degli strumenti mobile. Per questo negli ultimi mesi Mark Zuckerberg ha avviato trattative con le media company per ospitare direttamente sui suoi server i contenuti dei siti di quotidiani e periodici. In questo modo i clic non andrebbero ai siti dei quotidiani, che perderebbero audience, ma direttamente a Facebook. Fino a oggi infatti i clic sulle notizie riportavano all’articolo sul sito del New York Times o degli altri giornali.
Secondo Facebook, però, il passaggio dell’utenza dal pc fisso al mobile rende più complicata l’esperienza di lettura delle news. In media il tempo di attesa per consultare una notizia è di circa 8 secondi necessari al browser per collegarsi al sito. Troppo per il mondo mobile. Per questo a Palo Alto hanno pensato di saltare un passaggio ospitando direttamente i contenuti delle media company in cambio di un accordo la divisione degli introiti pubblicitari ancora tutto da definire.
Un incremento marginale della velocità del sito, ha spiegato al New York Times Edward Kim chief executive di SimpleReach società che si occupa dell’analisi dei dati di traffico, generalmente significa un grande incremento del traffico e della soddisfazione degli utenti. Questo andrebbe a vantaggio del social network, mentre per i publisher l’accordo ha implicazioni differenti. Trasferire i propri utenti sulle pagine del social gli farebbe perdere anche i dati sul proprio pubblico. Inoltre, se BuzzFeed, in lista per la chiusura dell’accordo, da sempre ha cercato di espandere i propri contenuti all’esterno del proprio sito, il New York Times ha scelto la politica del paywall (un certo numero di news sono gratuite e il resto si pagano) che potrebbe risentire dell’accordo con il social network.
Le perplessità non mancano. The Guardian ha accolto freddamente la proposta osservando che si dovrebbe procedere a un accordo globale per l’intera industry dell’editoria che dovrebbe continuare a mantenere il controllo della propria pubblicità anche se i contenuti fossero ospitati da Facebook. Ma il rischio per chi rimane fuori è di vedere i contenuti della concorrenza viaggiare su Fb a velocità maggiore rispetto ai propri.
Da Palo Alto fanno notare però che sono già stati introdotti nuovi strumenti per migliorare i risultati dei contenuti degli editori che possono “targettizzare” gli articoli indirizzandoli a gruppi particolari come per esempio giovani donne che vivono a New York e amano viaggiare. Con la pubblicazione su Fb le media company perderebbero però la pubblicità piazzata sui loro articoli a vantaggio di nuovi formati.
La scelta dei media avviene anche sotto la spinta di un calo di traffico proveniente dalle pagine del social che potrebbe essere addebitato all’aumento dei video. I filmati sono diventati sempre più popolari per utenti e advertiser al punto che Fb ha deciso di offrire la priorità introducendo anche la partenza automatica (che è possibile fermare) dando in questo modo anche un deciso colpo alla capacità delle reti dei provider che hanno dovuto sopportare importanti carichi di traffico.
L’importanza dei video, molto più profittevoli per le entrate pubblicitarie, è tale che nella developer conference che inizierà mercoledì 25 marzo la società dovrebbe presentare nuovi tool per la pubblicità video all’interno di applicazioni realizzate da terze parti. Storicamente Facebook non ha mai adottato la politica del revenue sharing, dividendo gli introiti pubblicitari con i fornitori di contenuti, ma in dicembre ha firmato una prima intesa con la Nhl, la lega del football, per degli spot pubblicitari.