Ci sono piloti che sniffano, altri che bevono. Magari stanno fermi un giro, se vengono beccati. Ma solitamente se hanno dei problemi dissimulano e fanno di tutto per evitare che la visita di controllo annuale programmata, al pari del richiamo dell’antitetanica, possa rivelare la loro condizione. Proprio così, per tenere in mano la vita dei passeggeri basta una visita medica obbligatoria l’anno. Come per l’iscrizione in una palestra, nulla più. Una volta arruolati, i piloti di tutto il mondo non hanno obbligo di sottoporsi a controlli psicologici. Nessun test, neppure un colloquio con lo strizzacervelli. Nulla. Si può fare un’intera vita professionale senza averne visto uno, pur trascinando milioni di persone tra le nuvole con il carico della vita di tutti fatto di lutti, ansie e disagi.

Scartato il guasto, l’attacco terroristico e tutto il resto c’è soprattutto questo da chiarire nella tragedia del volo Germanwings: il blackout nella mente del 28enne Andreas Lubitz che a un certo punto ha deciso di barricarsi nella cabina e di dirottare contro il profilo dei monti della Provenza la vita di tutti quelli che doveva portare a destinazione. L’ad di Lufthansa, Carsten Spohr, ha espresso con parole semplici il dramma: “non è un suicidio. E’ qualcos’altro”. E poco dopo si è trovato a dover difendere il personale che viene selezionato “con criteri rigorosissimi”. Tra gli altri, anche i test psicologici e attività di monitoraggio che si estendono perfino ai familiari dei piloti. Ma forse non basta.

Lo rivela la stessa biografia professionale di Lubitz. Professionalmente è un “pilota modello”, tanto che con sole 630 ore di volo alle spalle nel 2013 aveva ottenuto il certificato d’eccellenza della Faa, l’organismo americano della sicurezza al volo che attesta i più alti standard medici e di formazione. Anche secondo Spohr, Lubitz “aveva superato tutti i test medici e psichici ed era atto al volo al 100%”. L’unica cosa che risulta è che “aveva sospeso per qualche mese la formazione”, ma anche questa viene considerata “una cosa normale”. Forse non lo è stata, almeno nel caso di Lubitz. “Aveva sospeso il suo addestramento come pilota per “una sindrome da burnout, una depressione”, scrive il sito del quotidiano tedesco Faz citando la madre di un’amica d’infanzia, con cui cui il 28enne si sarebbe confidato in passato. Se sia vero o no ormai poco importa, visto che dopo la pausa ha ripetuto e superato di nuovo tutti i test di valutazione psico attitudinale.

Il punto è che sulla condizione psicologica dei piloti regna il fatalismo da parte di tutti. “Non è possibile – dice ancora il vertice della Lufthansa – escludere che casi come questo possano accadere, anche con tutte le misure di sicurezza del mondo”. E’ davvero così? I giornalisti gli chiedono cosa fa la compagnia per garantire la condizione psicologica ottimale e qui la risposta è schietta: “Dopo la conclusione dei corsi di addestramento e formazione non sono previsti nuovi test psicologici per i piloti. Solo esami e controlli medici per verificare periodicamente le capacità di volo, ma non i test psicologici”.

E così succede in tutto il mondo. Lo conferma anche Riccardo Canestrari, coordinatore nazionale dei piloti Anpac. “L’autorità aeronautica ci impone una visita l’anno presso un istituto medico legale e può anche prescriverne di più, modificare la frequenza, tenerci a terra. Si tratta di un check-up completo al cui esito è legata la stessa licenza di volo. Io l’ho fatto ogni anno, da 25 a questa parte”. E in 25 anni di controlli ha mai visto uno psicologo? “In effetti no. C’è un questionario che chiamano “psicosomatico” con delle domande ma è solo così, informativo”.

Che il problema ci sia però lo conferma la stessa associazione. I piloti che non ce la fanno più, stressati, con problemi di alcool e droga spesso nascondono i problemi per paura di essere licenziati. Così sono molto in voga i pilot advisory group, in sostanza dei gruppi anonimi gestiti da psicologi qualificati ai quali i piloti e gli assistenti possono rivolgersi per raccontare in forma anonima i loro problemi. “Sono molto utili – spiega Canestrari. Fino a sei-sette anni fa ne avevamo uno anche noi. A volte questi gruppi riescono a convincere la persona in difficoltà, quello che fa uso di stupefacenti o alcool a fare outing senza per questo perdere il posto, riuscendo a curarsi”. Cinque mesi fa l’Anpac è andata al Ministero dei Trasporti per istituire un gruppo in accordo col ministero della Salute. Ma il tutto resta sempre su base volontaria e a costo zero per lo Stato, si spera nella beneficenza delle compagnie. E così – fatalmente – gli psicologi riappaiono sulla scena quando ormai è tardi.

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