C’è un lutto annunciato in Mia madre, il dodicesimo capitolo di Nanni Moretti. Non la scomparsa improvvisa come ne La stanza del figlio premiato con la Palma d’Oro in Francia nel 2001, ma il lento addio, una madre che si ammala, un ospedale con la luce fioca, un’aria di tenerezza filiale che riporta alle atmosfere de La messa è finita con Gino Paoli a cantare e gli anni che se ne vanno tra una fotografia e un ballo di famiglia.
Mentre fuori i bambini ridono, la radio suona la sua canzone preferita e Jarvis Cocker canta estasiato delle parole più dolci che abbia mai sentito, Margherita riflette su altro. Nel trailer diffuso da 01 distribution, la si sente parlare con se stessa, riflettere, ragionare sul senso complessivo delle cose: “Ma perché continuo a ripetere le stesse cose da anni? Tutti pensano che sia capace di capire quello che succede, di interpretare la realtà, ma io non capisco più niente”. Tra identificazione e iperrealismo, nel nuovo film di Moretti (Mia Madre, un po’ più di una candidatura sul prossimo Cannes) gli attori hanno i loro veri nomi e portano in scena dialoghi plausibili.
Giovanni-Nanni è Giovanni. Fratello per finzione di Margherita Buy che sullo schermo-specularità è Margherita. A giudicare dalle atmosfere e dai volti preoccupati, hanno visto giorni migliori. Margherita è sgomenta di fronte al suo ruolo di regista, di conferenziera, di tuttologa smarrita di fronte ai giornalisti. Ha in mente un film. Una fabbrica occupata come sfondo. Un bizzoso attore americano di nome John Turturro da domare: “Tu non dici stop” e con il quale litigare: “Non tiricordi una battuta, una sola battuta” e il dolore familiare che non si interrompe con un ciak.
Nel trailer Moretti (che produce anche il film con Domenico Procacci) passeggia in Piazza del Parlamento con la sorella e la invita al cambiamento artistico ed esistenziale con un tono non dissimile da quando esortava D’Alema a fare qualcosa di sinistra: “Margherita, fai qualcosa di nuovo, di diverso, rompi almeno un tuo schema, uno su duecento”. Per stare con la madre decide di licenziarsi nonostante i suoi capi non somiglino a quelli di Laurent Cantet o dei fratelli Dardenne.