Mentre in Europa si discute del digital single market ovvero delle straordinarie opportunità che potrebbero registrarsi in tutti i Paesi membri se si riuscisse, finalmente, a costruire un quadro di regole comune e procompetitivo per le nuove forme di economia digitale, nella nostra italietta – ventottesima in Europa in termini di attuazione dell’Agenda digitale europea e di diffusione delle nuove tecnologie – capita, persino, che una Regione, da sola, dichiari guerra ad un servizio innovativo come Uber, con una legge-trabocchetto pensata, scritta ed approvata in una manciata di ore, senza nessun reale dibattito, confronto o dialogo.
E capita così che – a prescindere da ogni questione di merito – il quadro normativo nazionale per chi sceglie di fare impresa innovativa a casa nostra, anziché ricompattarsi a quello del resto d’Europa, continui a frammentarsi sempre di più, in una miriade di piccoli feudi che scoraggiano e scoraggeranno sempre di più piccoli e grandi imprenditori, spingendoli ad investire altrove, dove ci sono regole più omogenee e meno ostili.
E’, purtroppo, questo che racconta quanto accaduto nei giorni scorsi in Liguria, dove la Regione – evidentemente preoccupata di più di garantirsi i voti della potente lobby dei tassisti che di governare il territorio ed il progresso – lo scorso 25 marzo ha infilato, a sorpresa, in una legge in materia di bilancio, piena di numeri e di tabelle, una manciata di norme con le quali ha modificato la disciplina regionale in materia di trasporto pubblico non di linea, inserendo una serie di disposizioni ad personam anti-Uber.
La nuova legge regionale ligure – fu bilancio poi divenuta bilancio e trasporti – infatti, con la scusa di dettare ai Comuni liguri i criteri cui ispirare i propri regolamenti in materia di trasporto pubblico non di linea, dopo averne dettato uno ovvio e generale secondo il quale tali regolamenti devono rispettare le leggi vigenti in materia di trasporto, ne mette in fila giusto un paio, sufficienti – almeno nella mente del loro estensore – a mettere fuori legge l’attività svolta in Liguria da Uber.
Eccoli: (a) le corse devono essere assegnate solo a favore di soggetti in possesso di regolare licenza, (b) la prenotazione dei servizi di noleggio con conducente deve comunque pervenire all’operatore nella rimessa indicata nell’autorizzazione.
Una manciata di caratteri con i quali, sostanzialmente, si dice – in modo davvero poco velato – che Uber Pop ovvero il servizio attraverso il quale Uber consente a privati cittadini di dare un passaggio ad altri cittadini dovrebbe diventare vietato nei comuni liguri e che Uber Berlina nera, ovvero il classico servizio che consente di prenotare una macchina con conducente in possesso di regolare concessione, dovrebbe limitarsi a “smistare prenotazioni” verso conducenti in paziente attesa nelle loro autorimesse e non potrebbe più permettere ad un utente di “intercettare” una macchina libera ed in transito vicino a lui, risparmiando tempo, consumi e smog.
Sembra davvero una legge reazionaria, miope ed anacronistica ma queste sono considerazioni di merito sulle quali, probabilmente, ciascuno può avere una propria opinione che merita di essere rispettata esattamente come quella di chiunque altro giacché, la verità, è che ci troviamo – come spesso avviene in questa straordinaria stagione di innovazione – davanti ad un’applicazione tecnologica che abilita un modo nuovo di fare impresa ed una forma fino a ieri impensabile di sharing economy.
In questa vicenda, invece, ciò che lascia interdetti, perplessi e preoccupati per il futuro del nostro Paese è il metodo.
Tanto per cominciare le leggi – tutte e quelle sul futuro più di ogni altra – non sono parole al vento che si possano pronunciare senza alcuna valutazione preliminare, nessun dibattito, nessuna ponderazione, quasi a trabocchetto e non a tutela dell’interesse generale ma quasi contro un singolo imprenditore, con tanto di nome e cognome.
E’, invece, esattamente quello che è accaduto giacché una legge entrata in Regione il 19 marzo come una legge in materia di bilancio, in Liguria, ne è uscita il 25 marzo come una legge in materia di bilancio e di trasporto quasi che si trattasse di materie simili, omogenee o comuni.
C’è poi un’altra considerazione, sempre di metodo, che non ci si può sottrarre dal fare.
Il “caso Uber” – che è poi solo la punta di un iceberg che sta progressivamente emergendo e che si chiama sharing economy – non ha nulla di locale, comunale o regionale.
E’, evidentemente, una questione nazionale, per non dire europea o globale.
Nel 2015, in piena Società dell’informazione, nell’era di internet e della globalizzazione e proprio mentre l’Unione europea non perde occasione per ricordare quanto potrebbe essere più grande, ricco ed evoluto il nostro vecchio continente se si riuscisse a dar vita davvero ad un digital single market, che senso ha l’iniziativa di una singola Regione che ordina ad una manciata di comunità locali medio-piccole di varare regole ad hoc contro un fenomeno che è appunto globale?
E, da ultimo, possibile che l’ansia della Regione Liguria di condannare Uber all’esilio ai confini della striscia di terra sulla quale si estende la sua potestà normativa, abbia fatto perdere di vista ai suoi rappresentanti che le nuove norme, mentre minacciano di mettere in crisi i piccoli imprenditori del trasporto pubblico locale non in linea, rischiano di non trovare applicazione proprio a Uber ed ai suoi utenti che non è niente affatto pacifico – e, anzi, sembra da escludere – possano ritenersi destinatari delle nuove disposizioni di legge?
Uber, infatti, è semplicemente un fornitore di servizi informatici e non è certo una cooperativa di taxi o un’azienda operante nel trasporto pubblico locale non di linea e i privati cittadini che usano il servizio Uber-Pop sembrano più un club privato di cittadini che ha deciso di condividere tempo e proprie automobili che un soggetto imprenditoriale al quale possano applicarsi le nuove norme.
C’è, dunque, ed è elevato il rischio che l’iniziativa legislativa ligure più che una lancia – comunque ingiusta – lanciata per trafiggere un’impresa innovativa, si trasformi in un boomerang che potrebbe finire con il colpire parte degli imprenditori che avrebbe voluto tutelare.
Le leggi non dovrebbero mai scriversi contro qualcuno, ma sempre nell’interesse di tutti e, soprattutto, partendo dal presupposto che il futuro va promosso e tutelato più del passato.