“Non vi è dubbio che la fase del procedimento sanzionatorio che si svolge davanti alla Consob presenti numerose criticità (che neanche il successivo regolamento del 2013 riesce a superare), sul piano del rispetto del c.d. fair trial“. A sostenere il mancato rispetto dei principi che regolano il giusto processo da parte della Commissione di Giuseppe Vegas è il Consiglio di Stato nella sentenza sul caso Arepo (Matteo Arpe)-Banca Profilo contro la vigilanza dei mercati finanziari depositata il 26 marzo scorso. Secondo i giudici di appello amministrativo, infatti “deve rilevarsi come il regolamento Consob si ponga al di sotto dello standard di contraddittorio fissato dal legislatore” visto che “nella fase istruttoria non viene garantito, come anche la dottrina maggioritaria non ha mancato di rivelare, un vero e proprio diritto di difesa, con contraddittorio pieno”.
Una questione non secondaria visto che, sempre secondo i giudici amministrativi di secondo grado, “il procedimento sanzionatorio abbia una natura, almeno in parte, paragiurisdizionale, che richiederebbe un rafforzamento delle garanzie del contraddittorio, che dovrebbe, quindi, essere destinato ad una finalità difensiva e non solo ad esigenze partecipative e di rappresentanza degli interessi in gioco”. Rafforzamento che, ricorda il Consiglio di Stato, prima ancora che dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, era invece stato richiesto dal legislatore nel 2005. Invano: “Questo iter procedimentale, così come disegnato dal regolamento impugnato, determina allora una violazione del contraddittorio voluto dal legislatore”, si legge ancora nella sentenza che, pur non ritenendo legittimo il ricorso al Tar da parte del gruppo Arepo-Profilo prima che la Consob gli abbia inflitto una sanzione, ritiene fondato l’appello sotto questo profilo. E, quindi, com’è prevedibile, farà da sponda a numerosi ricorsi, incluso quello di Banca Profilo e soci, se alla fine verranno sanzionati. Non a caso la Commissione intende correre ai ripari modificando la procedura come ventilato domenica 29 dal Il Sole 24 ore secondo il quale l’authority di Vegas “starebbe valutando autonomamente di introdurre delle modifiche per il contraddittorio a prescindere dagli obblighi giuridici”.
La Consob aveva avviato l’iter definito nella sostanza illegittimo dai giudici amministrativi di secondo grado sulla base di un sospetto di manipolazione del mercato. E così Arpe, l’ad di Banca Profilo Fabio Candeli e due trader dell’istituto rischiano una multa fino a 5 milioni di euro oltre all’interdizione che colpirebbe la guida dell’istituto decapitandolo. Alla base dello scontro giudiziario ci sono gli acquisti di azioni della banca avvenuti tra giugno 2011 e maggio 2013 (che hanno riguardato l’8% del capitale dell’istituto) effettuati da Arepo via Profilo dopo averne avuto l’autorizzazione da Bankitalia e aver comunicato periodicamente gli acquisti alla stessa Consob. Senza aver mai venduto i titoli comprati o aver effettuato operazioni in derivati connesse agli stessi. Consob, in sintesi, accusa Arpe di aver manipolato il valore di Borsa dell’istituto da lui controllato tramite Arepo, ma non ha trovato traccia né di un profitto economico da lui conseguito, né di altre prove schiaccianti. E questo nonostante la lunga ispezione presso gli uffici di Banca Profilo e Arepo datata maggio 2013. Secondo gli sceriffi di Vegas, però, il prezzo di Banca Profilo è stato sostenuto artificialmente per “salvaguardare la reputazione di Arpe” e “fornire un’apparenza di successo all’operazione di salvataggio” della stessa banca. Stando a questo assioma, accompagnato dalla tesi che Arpe non poteva non sapere quello che facevano i trader visto il suo ruolo (che all’epoca dei fatti era di presidente), a poco vale che il prezzo delle azioni dell’istituto nel corso degli acquisti analizzati da Consob sia passato da 0,32 a 0,24 euro senza produrre alcun tangibile guadagno agli indagati e che sia invece lievitato fino a 0,45 euro (0,3799 euro le quotazioni attuali) solo dopo che l’operatività è cessata. Elementi ai quali si aggiunge un altro fatto rilevante: la curiosa anticipazione dell’esito della contestazione da parte della stessa Consob che, il 5 maggio 2014, prima ancora di aver deliberato definitivamente sul caso tuttora pendente, scriveva nella sua relazione annuale al ministro dell’Economia di aver “accertato” gli illeciti, con un chiaro riferimento a Banca Profilo.
La scorsa estate l’istituto aveva chiesto a Consob di fermare il procedimento perché appunto violava le norme sul giusto processo. La richiesta si richiamava alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, nel giudizio della primavera 2014 sul caso Ifil Exor, aveva messo in luce delle carenze nel procedimento della Consob (come l’assenza di contraddittorio e di un’udienza pubblica) a fronte della possibilità di emettere sanzioni paragonabili a quelle penali. Il caso era quindi finito sul tavolo del Tar prima e del Consiglio di Stato poi. Quest’ultimo, con un’ordinanza di inizio ottobre, aveva aperto alle istanze di Arpe invitando Consob, nel suo stesso interesse a rivedere le proprie procedure sanzionatorie nei casi penalmente rilevanti. Successivamente il Tar era entrato nel merito e, pur riconoscendo i limiti della procedura seguita dalla Commissione, aveva di fatto contestato l’ordinanza dei giudici di Appello sostenendo che “non sussista affatto «l’obbligo della CONSOB di adeguare il proprio regolamento sanzionatorio per le sanzioni “penali” alla sentenza CEDU su menzionata», affermato dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 4491 in data 2 ottobre 2014″. Da qui l’ultimo ricorso di Profilo e Arepo che mette la parola fine al caso, salvo appunto che Vegas non decida di andare avanti scatenando nuovi ricorsi con esiti a questo punto prevedibili.