Il primo aprile scatta la fine del regime delle quote latte. Dopo 32 anni si ritorna al libero mercato in tutta l’Unione europea. Un passaggio storico che apre una nuova sfida per i produttori italiani, strozzati dai debiti e dal crollo dei prezzi di latte crudo e formaggi dop, primo fra tutti il Parmigiano reggiano. L’assessore all’Agricoltura dell’Emilia Romagna Simona Caselli è tassativa: “È impopolare dirlo ma il settore lattiero caseario italiano è disorganizzato. Servono associazioni di produttori, e invece i nostri allevatori si fanno la guerra tra loro. Sarà difficile competere con gli altri Paesi, soprattutto Francia, Germania, Olanda e Irlanda”. Da via XX Settembre il ministro Maurizio Martina è fiducioso: “Abbiamo istituito un piano nazionale per il latte e la Commissione europea ha accolto la nostra richiesta di rateizzare senza interessi le multe, anche per eventuali sforamenti di quote latte per la stagione 2014-2015″.

Tra gli allevatori c’è paura e poca speranza. “Mi sono indebitato fino al collo con le banche e i creditori non mi danno un euro. Devo lavorare come un matto per sopravvivere. Ma più lavoro e meno guadagno. Mi definisco uno schiavo moderno: sono io che mi frusto per non mollare l’azienda”. Vincenzo (il nome è di fantasia) ha un allevamento di 180 vacche da latte per la produzione di Parmigiano reggiano sulle colline di Parma. Sessant’anni e quattro figli maschi che lo aiutano. “Non riesco a dare loro uno stipendio decente. La rata del mutuo è di 70mila euro. Nel 2013 ho perso 200mila euro e nel 2014 ho chiuso il bilancio in pareggio, senza utili”. L’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, dice che “peggio di quello che c’è stato fino a oggi non è possibile” e “quindi dobbiamo vedere il regime di libero mercato con fiducia”. Stare al passo con gli Stati europei più competitivi, come Francia, Germania e Irlanda, che producono di più a costi più bassi, non sarà facile. “L’Irlanda nell’ultimo anno ha incrementato i volumi di latte del 20 per cento – ha spiegato Fava -, Francia e Germania del 12-13 per cento, l’Italia dell’1,5, rimanendo deficitaria sul fronte dei consumi interni per circa il 40-45 del proprio fabbisogno”. “Anche io sarò costretto a mungere più latte”, è la reazione di Vincenzo. “Fino adesso ne ho vendute 15mila tonnellate l’anno ai caseifici. Sarà una lotta dura, il governo ci deve aiutare”.

La nuova sfida di un settore al collasso
Il settore lattiero-caseario italiano è al collasso. In un anno il prezzo al litro del latte crudo alla stalla è sceso del 12 per cento, passando da 41 centesimi (gennaio 2014) a 36 (gennaio 2015). Mentre quello al consumo è continuato a salire: da 1,37 a 1,49 euro/litro per il latte fresco intero e da 1,20 a 1,28 euro/litro per quello Uht parzialmente scremato. Chi ci guadagna è chi sta in mezzo alla filiera, cioè i commercianti. “L’allevatore invece non riesce neanche a coprire le spese di produzione, pari a 52 centesimi al litro”, sottolinea Daniele Sfulcini, direttore di Confagricoltura Mantova. Dalla corsa al ribasso del latte alla svendita dei grandi formaggi Dop italiani. Come il Parmigiano reggiano, fiore all’occhiello del made in Italy alimentare. Quello stagionato 12 mesi esce dal caseificio a 7,60 euro al chilo contro i 9 euro di marzo 2014. “All’inizio del 2011 valeva 10,70 euro – fa notare Sfulcini – Nel 2006 era sotto i 7 euro, però manodopera e materie prime costavano di meno”. Al supermercato il cliente lo paga circa 10 euro al chilo. Nel banco delle offerte si trova quello da 24 mesi a 12 euro (all’ingrosso ne vale quasi 9 contro i 10.30 del 2014 e i 12,60 del 2011). Più lievi i cali di Grana Padano, scivolato da 7,20 euro a 6,50 (stagionatura dieci mesi), e Gorgonzola, da 3,95 a 4,05. “Nel 2014 sono state prodotte più forme di formaggio di quelle richieste dal mercato – spiega Sfulcini – nel tentativo di abbattere i costi di produzione, dai mangimi per il bestiame al gasolio dei trattori. Questo ha determinato un accumulo delle scorte e il crollo dei prezzi”.

“Latte italiano solo in una bottiglia su 4”
In Italia, secondo i dati della Coldiretti, sono rimaste in piedi 36mila stalle da latte, di cui 19mila in zone di montagna e svantaggiate. Da quando è scoppiata la crisi sono quasi 9mila quelle che hanno chiuso. Trentaduemila posti di lavoro persi (e 180mila gli occupati attuali). Undici milioni di tonnellate di latte prodotto all’anno, di cui la metà viene trasformata in formaggi Dop. Il valore generato dalla filiera al consumo è di 27,7 miliardi di euro. Giorgio Apostoli, responsabile Zootecnia Coldiretti nazionale: “Sull’etichetta non viene indicata l’origine del latte. Ogni anno il nostro Paese importa 86milioni di quintali di latte equivalente. E solo un terzo del latte a lunga scadenza confezionato qui, cioè 500mila tonnellate su 1,4 milioni totali, è munto nelle nostre stalle. Il risultato è che soltanto una bottiglia di latte uht su 4 venduta in Italia è prodotta con latte italiano”.

Gli allevatori: “Lo Stato se ne frega di noi”
La Lombardia produce il 42 per cento del latte italiano. Chi resiste è con l’acqua alla gola. Alberto Cortesi, 50 anni, a Roncoferraro, nel Mantovano, gestisce con la moglie l’azienda che ha ereditato dai genitori. “Esiste da 300 anni. Abbiamo 180 vacche e tre dipendenti. Faccio questo mestiere da 30 anni. Quel che prendo al mese non basta a pagare le spese. Ho un mutuo sulle spalle. Siamo preoccupati, il nostro futuro è troppo incerto. Sto valutando nuove strategie per razionalizzare la produzione. Per esempio, delegare la conduzione dei campi a contoterzisti e allargare la stalla”. Luigi Prestiti, 48 anni, di Brescia, stringe i denti. “Sono deluso, triste, stanco. Lo Stato se ne frega di noi. Nel 2005 ho comprato quote latte per quattro milioni di euro, tanti soldi spesi per niente, un patrimonio che dal primo aprile andrà all’aria”. Possiede 610 vacche in società con la sorella. Da novembre fattura 30mila euro in meno ogni mese. “Tre anni fa ho deciso di entrare a far parte di un’organizzazione di produttori, per attutire le perdite e avere più marginalità sulle vendite, ma la luce è lontana”.

La zona del Parmigiano: “Fine quote latte? Non è benedizione”
La produzione di Parmigiano reggiano si concentra nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna e Mantova (nella zona sotto il Po). Secondo i dati di Confagricoltura, nel 2013 c’erano 371 caseifici, oggi 350. Il mercato interno tiene. L’export negli ultimi due anni è cresciuto del 2,5 per cento. “Molti allevatori sono convinti che la fine delle quote latte sia una benedizione. Io invece mi metto le mani nei capelli – scandisce Roberto Iotti, direttore Confagricoltura Reggio Emilia – Le quote latte erano un sistema di contingentamento protettivo che ha garantito livelli di prezzi più sostenuti. L’unica soluzione per il futuro è allineare l’offerta alla domanda. Noi lo ripetiamo sempre agli allevatori, ma loro fanno fatica ad accettarlo”.

L’assessore emiliano: “Filiera male organizzata”
L’assessore all’Agricoltura dell’Emilia Romagna, Simona Caselli, ha idee molto chiare sul da farsi. “È impopolare dirlo, e mi dispiace ammetterlo, ma il problema è che la filiera è male organizzata: nel nostro territorio 350 caseifici comprano da una miriade di allevatori, c’è un eccesso di produzione, e i vicini si fanno la guerra. Bisogna pianificare i prezzi, programmare le quantità e aggregare l’offerta attraverso la costituzione di organizzazioni interprofessionali e di produttori, come si fa già nel comparto del pomodoro. Ne abbiamo discusso al tavolo con il ministro Martina a febbraio e siamo tutti d’accordo. All’estero sono più avanti di noi, da anni hanno adottato questo sistema. Certo noi siamo penalizzati anche dalla burocrazia asfissiante e da costi altissimi”. Secondo obiettivo: puntare sull’economia di scala. “Il sistema di stagionatura va velocizzato con la robotizzazione e altre innovazioni”. E poi “servono corsi di formazione per gli allevatori. Loro pensano che sia una crisi ciclica, che prima o poi passerà, invece no, questa volta non sarà così. Se vogliamo esportare nel mondo, non solo dobbiamo strutturarci meglio, ma anche dare spazio ai giovani, che hanno un approccio più creativo e sanno sfruttare le potenzialità del web”.

Martina: “Potremo rateizzare le multe per gli sforamenti”
Bruxelles
forse ci dà una mano. A marzo, al Consiglio europeo dei ministri dell’Agricoltura, il ministro Martina ha chiesto ai colleghi di accelerare sulla trasparenza dell’etichettatura del latte. “È stata tra l’altro confermata la possibilità richiesta dall’Italia di rateizzare senza interessi le multe, anche per eventuali sforamenti di quote latte per la stagione 2014-2015” racconta Martina a ilfattoquotidiano.it. In via XX Settembre negli scorsi mesi è stato messo a punto un piano nazionale per il latte. Gli allevatori però aspettano con ansia il decreto, che non ha ancora una data. “Prevediamo un urgente riordino delle relazioni commerciali nella filiera – aggiunge il ministro – Il prezzo del latte lo fa il mercato, noi non abbiamo gli strumenti diretti per intervenire ma stiamo lavorando a tutti gli elementi che possono essere utili per determinare il prezzo di riferimento che le parti contraenti possono utilizzare in autonomia”. Con la legge di Stabilità è stato inoltre istituto un Fondo latte qualità da 108 milioni di euro per il triennio 2015/2017. Per l’assessore lombardo Fava è una presa in giro: “Di questi soldi solo 8 milioni sono veri, perché stanziati per il 2015, mentre gli altri sono suddivisi 50 e 50 nei prossimi due anni e sappiamo con quanta facilità l’esecutivo cambia le disponibilità a bilancio. E intanto le aziende chiudono”.

Tra le misure di salvataggio, ha aggiunto Martina, c’è anche “il contrasto alle pratiche di mercato sleali in collaborazione con l’Antitrust, il sostegno all’export, la tutela dalla contraffazione dei grandi formaggi Dop e la promozione di un programma di educazione alimentare con il programma europeo ‘Latte nelle scuole’ dal prossimo anno”. In attesa che dalle parole seguano i fatti, il ministero delle Politiche agricole qualche giorno fa ha presentato alla filiera lattiero casearia il logo “Latte 100% italiano” per indicare la zona di mungitura del latte: “Sarà privato e facoltativo – fa sapere il ministero – ma ha già trovato il favore delle aziende lattiere e dei rappresentanti della grande distribuzione organizzata e che si troverà sul mercato nelle prossime settimane”.

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