Il titolo è di basso profilo, in pieno stile burocratese: “Convenzione“. Un testo di appena sei pagine composto da 10 punti. La sua missione è semplice: “Scambio di informazioni anche contenute negli archivi” tra l’amministrazione delle carceri (Dap) e il Servizio segreto civile (Aisi).
In realtà si tratta di un passepartout universale che consegna agli 007 le chiavi di un enorme patrimonio informativo senza alcun limite e controllo. Un accordo così riservato ed esclusivo che esclude la magistratura inquirente che va tenuta all’oscuro da ogni attività dei Servizi nelle carceri. Un protocollo riservato applicato tra i primi ad un boss di mafia testimone nel processo di Palermo sulla Trattativa.
Ad avere siglato la Convezione sono stati il generale Giorgio Piccirillo – ex direttore dell’Aisi – e Franco Ionta, ex numero uno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Era il 10 giugno 2010.
Ecco l’incipit dell’accordo: “Le parti si impegnano a realizzare un costante scambio informativo per lo svolgimento, in collaborazione, di attività istituzionali dei contraenti nonché per favorire la ricerca informativa nei settori di competenza e lo scambio delle informazioni in proprio possesso…”.
La base giuridica a cui la “Convenzione” fa riferimento è la legge di riforma dei servizi del 2007. E fin qui tutto bene. Ma è il punto “8” che disegna un regime di assoluta esclusività di questo accordo. “Ciascuna delle parti si impegna a non trasmettere a terzi né a divulgare le informazioni e i documenti di cui sopra senza il preventivo consenso dell’altra parte”. E’ un diritto di veto che tutela sopratutto i Servizi, obliterando quelle informazioni agli occhi della magistratura o di una commissione parlamentare, lasciandoli all’oscuro su quello che succede nelle carceri e sul flusso informativo che da lì parte.
L’accordo Dap-Aisi viene rivelato nel gennaio 2014 in Commissione Antimafia nell’ambito di un’inchiesta sulla tenuta del 41bis. A farne cenno fu l’allora direttore delle carceri Giovanni Tamburino che tentò di farsi scudo del punto 8 della Convenzione, ingaggiando con la Presidente Rosy Bindi un vero e proprio duello.
Presidente: “Vorremmo averne una copia”.
Tamburino: “Attore della convenzione non è solo il dipartimento, ma anche l’Aisi”.
Presidente: “Lo chiederemo anche all’Aisi la prossima settimana, ma credo sia già importante acquisire la sua disponibilità, che peraltro non ci può essere negata”.
Tamburino: “Non devo offrire nessuna disponibilità, che non può essere negata. Dicevo solo che, essendo la controparte pubblica l’Aisi…”.
Presidente: “…ritiene che sia scontato che l’avremo. La ringraziamo.”
Ma a quali detenuti è stata “applicata” la “Convenzione”? Secondo Tamburino non più di sei aggiungendo che “nessuno di questi casi potesse riguardare casi di eversione interna o di criminalità organizzata interna“. Ma le cose sono andate diversamente. Secondo le indagini della Procura di Palermo – nell’ambito della trattativa Stato-Mafia – l’Aisi sulla base della “Convenzione” ha attenzionato nel 2012 Rosario Cattafi, boss al 41bis, trait d’union tra mafia, imprenditori e pezzi dello Stato. Prima che Cattafi riuscisse a parlare con i magistrati, diventando testimone nel processo Trattativa, l’Aisi – applicando la Convenzione – ha “anticipato” le indagini della Procura palermitana inoltrando una richiesta al Dap per conoscere la situazione carceraria del boss, le persone con cui parla, i colloqui ottenuti da detenuto. Il perché rimane un mistero: a cosa potevano servire quelle informazioni? Quella richiesta sarà definita dallo stesso Tamburino irrituale e inspiegabile nell’interrogatorio reso ai pm di Palermo. Il caso di Cattafi è rimasto l’unico?
Chi indaga sottolinea la precisa sovrapposizione tra la convezione e “l’operazione Farfalla“, una joint venture tra il Dap e il Sisde – sotto la direzione di Mario Mori – datata 2004, sulla quale si sono appuntate le critiche (assai timide) del Copasir, l’organismo parlamentare di controllo dei servizi, con una relazione licenziata l’altro ieri. Anche in quel caso le penetrazioni non ortodosse degli 007 dovevano, come per la “Convenzione”, essere blindate alla magistratura. Ma se l'”operazione Farfalla” che metteva sotto osservazione otto detenuti di mafia al 41bis a detta del Copasir “è stata costruita solo sulla base di conoscenze personali tra i rispettivi dirigenti e direttori degli enti e non sulla base di regole precise, concordate e codificate, risultando fallimentare”, la “Convenzione” stabilizza quello che era l’obiettivo dell'”operazione Farfalla”, entrare nelle carceri senza alcun limite.
Ma come avviene lo scambio di informazioni tra “barbe finte” e Dap? Il braccio operativo della Convezione è il Nic – nucleo investigativo centrale all’interno del Dap – che, secondo l’ex-direttore Tamburino, “dispone di una sala situazione… la convenzione prevede una collaborazione da parte di questa sala situazione con l’agenzia per sue esigenze di intelligence”. Celle aperte agli 007 dunque con la Convezione targata Dap-Aisi. In barba, è il caso di dire, alla legge.
Mafie
Protocollo Farfalla, esclusivo: ecco nuovo patto Servizi-Dap per le spie in carcere
Si chiama "Convenzione". E' un testo di sei pagine con 10 punti, siglato nel 2010 e rivelato nel 2014 in Commissione Antimafia. Il suo obiettivo è lo "scambio di informazioni anche contenute negli archivi" tra l'amministrazione penitenziarie e l'Aisi. Un accordo che esclude la magistratura, tenuta all'oscuro da ogni attività degli 007 che acquistano maggiore potere per entrare nelle celle rispetto a quello concesso dall'accordo siglato da Mori
Il titolo è di basso profilo, in pieno stile burocratese: “Convenzione“. Un testo di appena sei pagine composto da 10 punti. La sua missione è semplice: “Scambio di informazioni anche contenute negli archivi” tra l’amministrazione delle carceri (Dap) e il Servizio segreto civile (Aisi).
In realtà si tratta di un passepartout universale che consegna agli 007 le chiavi di un enorme patrimonio informativo senza alcun limite e controllo. Un accordo così riservato ed esclusivo che esclude la magistratura inquirente che va tenuta all’oscuro da ogni attività dei Servizi nelle carceri. Un protocollo riservato applicato tra i primi ad un boss di mafia testimone nel processo di Palermo sulla Trattativa.
Ad avere siglato la Convezione sono stati il generale Giorgio Piccirillo – ex direttore dell’Aisi – e Franco Ionta, ex numero uno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Era il 10 giugno 2010.
Ecco l’incipit dell’accordo: “Le parti si impegnano a realizzare un costante scambio informativo per lo svolgimento, in collaborazione, di attività istituzionali dei contraenti nonché per favorire la ricerca informativa nei settori di competenza e lo scambio delle informazioni in proprio possesso…”.
La base giuridica a cui la “Convenzione” fa riferimento è la legge di riforma dei servizi del 2007. E fin qui tutto bene. Ma è il punto “8” che disegna un regime di assoluta esclusività di questo accordo. “Ciascuna delle parti si impegna a non trasmettere a terzi né a divulgare le informazioni e i documenti di cui sopra senza il preventivo consenso dell’altra parte”. E’ un diritto di veto che tutela sopratutto i Servizi, obliterando quelle informazioni agli occhi della magistratura o di una commissione parlamentare, lasciandoli all’oscuro su quello che succede nelle carceri e sul flusso informativo che da lì parte.
L’accordo Dap-Aisi viene rivelato nel gennaio 2014 in Commissione Antimafia nell’ambito di un’inchiesta sulla tenuta del 41bis. A farne cenno fu l’allora direttore delle carceri Giovanni Tamburino che tentò di farsi scudo del punto 8 della Convenzione, ingaggiando con la Presidente Rosy Bindi un vero e proprio duello.
Presidente: “Vorremmo averne una copia”.
Tamburino: “Attore della convenzione non è solo il dipartimento, ma anche l’Aisi”.
Presidente: “Lo chiederemo anche all’Aisi la prossima settimana, ma credo sia già importante acquisire la sua disponibilità, che peraltro non ci può essere negata”.
Tamburino: “Non devo offrire nessuna disponibilità, che non può essere negata. Dicevo solo che, essendo la controparte pubblica l’Aisi…”.
Presidente: “…ritiene che sia scontato che l’avremo. La ringraziamo.”
Ma a quali detenuti è stata “applicata” la “Convenzione”? Secondo Tamburino non più di sei aggiungendo che “nessuno di questi casi potesse riguardare casi di eversione interna o di criminalità organizzata interna“. Ma le cose sono andate diversamente. Secondo le indagini della Procura di Palermo – nell’ambito della trattativa Stato-Mafia – l’Aisi sulla base della “Convenzione” ha attenzionato nel 2012 Rosario Cattafi, boss al 41bis, trait d’union tra mafia, imprenditori e pezzi dello Stato. Prima che Cattafi riuscisse a parlare con i magistrati, diventando testimone nel processo Trattativa, l’Aisi – applicando la Convenzione – ha “anticipato” le indagini della Procura palermitana inoltrando una richiesta al Dap per conoscere la situazione carceraria del boss, le persone con cui parla, i colloqui ottenuti da detenuto. Il perché rimane un mistero: a cosa potevano servire quelle informazioni? Quella richiesta sarà definita dallo stesso Tamburino irrituale e inspiegabile nell’interrogatorio reso ai pm di Palermo. Il caso di Cattafi è rimasto l’unico?
Chi indaga sottolinea la precisa sovrapposizione tra la convezione e “l’operazione Farfalla“, una joint venture tra il Dap e il Sisde – sotto la direzione di Mario Mori – datata 2004, sulla quale si sono appuntate le critiche (assai timide) del Copasir, l’organismo parlamentare di controllo dei servizi, con una relazione licenziata l’altro ieri. Anche in quel caso le penetrazioni non ortodosse degli 007 dovevano, come per la “Convenzione”, essere blindate alla magistratura. Ma se l'”operazione Farfalla” che metteva sotto osservazione otto detenuti di mafia al 41bis a detta del Copasir “è stata costruita solo sulla base di conoscenze personali tra i rispettivi dirigenti e direttori degli enti e non sulla base di regole precise, concordate e codificate, risultando fallimentare”, la “Convenzione” stabilizza quello che era l’obiettivo dell'”operazione Farfalla”, entrare nelle carceri senza alcun limite.
Ma come avviene lo scambio di informazioni tra “barbe finte” e Dap? Il braccio operativo della Convezione è il Nic – nucleo investigativo centrale all’interno del Dap – che, secondo l’ex-direttore Tamburino, “dispone di una sala situazione… la convenzione prevede una collaborazione da parte di questa sala situazione con l’agenzia per sue esigenze di intelligence”. Celle aperte agli 007 dunque con la Convezione targata Dap-Aisi. In barba, è il caso di dire, alla legge.
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Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Ha ribadito le perplessità sul formato del vertice di Parigi, sull'invio di truppe europee in Ucraina e la necessità di percorrere strade che prevedano il coinvolgimento degli Stati Uniti. Queste le linee, a quanto si apprende, dell'intervento della premier Giorgia Meloni oggi al summit a Parigi convocato da Emmanuel Macron alla presenza del britannico Keir Starmer, del premier olandese, Dick Schoof, del cancelliere tedesco Olaf Scholz, del capo del governo polacco Donald Tusk e del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. All'Eliseo anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte e i vertici Ue, Antonio Costa e Ursula von der Leyen.
Meloni, a quanto si apprende, ha sottolineato di aver voluto essere presente per non rinunciare a portare il punto di vista dell’Italia, ma di avere espresso le sue perplessità riguardo un formato che, a suo giudizio, esclude molti Paesi, a partire da quelle più esposti al rischio di estensione del conflitto, anziché includere, come sarebbe opportuno fare in una fase storica come questa. Anche perché, avrebbe rimarcato la premier, la guerra in Ucraina l’abbiamo pagata tutti.
Per l'Italia le questioni centrali rimangono le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, perché senza queste ogni negoziato rischia di fallire. Quindi Meloni avrebbe rimarcato l'utilità di un confronto tra le varie ipotesi in campo, osservando come quella che prevede il dispiegamento di soldati europei in Ucraina appaia come la più complessa e forse la meno efficace. Una strada su cui l'Italia avrebbe mostrato le sue perplessità al tavolo.
Secondo Meloni, a quanto viene riferito, andrebbero esplorate altre strade che prevedano il coinvolgimento anche degli Stati Uniti, perché è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza europea e americana. La premier avrebbe definito una sferzata sul ruolo dell'Europa quella lanciata dall'amministrazione Usa ma ricordando che prima di questa analoghe considerazioni sono state già state fatte da importanti personalità europee. È una sfida, avrebbe quindi sottolineato, per essere più concreti e concentrarsi sulle cose davvero importanti, come la necessità di difendere la nostra sicurezza a 360 gradi, i nostri confini, i nostri cittadini, il nostro sistema produttivo.
Secondo la presidente del Consiglio sono i cittadini europei a chiederlo: non dobbiamo chiederci cosa gli americani possono fare per noi, ma cosa noi dobbiamo fare per noi stessi.
Meloni avrebbe quindi rimarcato come il formato del summit all'Eliseo non vada considerato come un formato anti-Trump. Tutt’altro. Gli Stati Uniti lavorano a giungere ad una pace in Ucraina e noi dobbiamo fare la nostra parte, la sollecitazione della premier italiana. Meloni infine, sempre a quanto si apprende, avrebbe manifestato condivisione per il senso della parole del Vice Presidente degli Stati Uniti Vance, ricordando di aver espresso concetti simili in precedenza. Ancora prima di garantire la sicurezza in Europa, avrebbe sottolineato Meloni, è necessario sapere che cosa stiamo difendendo.
Parigi, 17 feb. (Adnkronos/Afp) - "La Russia minaccia tutta l'Europa". Lo ha detto la premier danese Mette Frederiksen dopo i colloqui di emergenza a Parigi sul cambiamento di politica degli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina.
La guerra in Ucraina riguarda i "sogni imperialisti di Mosca, di costruire una Russia più forte e più grande, e non credo che si fermeranno in Ucraina", ha detto ai giornalisti, mettendo in guardia gli Stati Uniti dai tentativi di concordare un cessate il fuoco "rapido" che darebbe alla Russia la possibilità di "mobilitarsi di nuovo, attaccare l'Ucraina o un altro paese in Europa".
Parigi, 17 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Parigi abbiamo ribadito che l'Ucraina merita la pace attraverso la forza. Una pace rispettosa della sua indipendenza, sovranità, integrità territoriale, con forti garanzie di sicurezza. L'Europa si fa carico della sua intera quota di assistenza militare all'Ucraina. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di un rafforzamento della difesa in Europa". Lo ha scritto su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.