L’alluvione che il 5 novembre 2014 ha devastato Carrara è stato un “evento atmosferico estremo”. E le “scuse” per spiegare perché quell’argine, costruito nel 2007 e certificato nel 2009, si sia sbriciolato sotto la furia del torrente Carrione finiscono qua. Perché quello stesso argine non è stato costruito come da progetto, perché nell’alveo c’erano (e ci sono ancora) cumuli di detriti alti anche tre metri e, soprattutto, perché non è mai stato nominato un collaudatore delle opere in corso, come previsto invece dal decreto legislativo 163 del 2006. Sviste, colpe, negligenze contenute nella relazione della commissione di inchiesta interna della Provincia di Massa Carrara, creata ad hoc per individuare le ipotetiche responsabilità dell’ente.
Ne fanno parte tre consiglieri provinciali (Juri Gorlandi, dell’opposizione, che è il presidente, Eleonora Petracci e Davide Poletti), il presidente della Provincia, Narciso Buffoni (che ha sostituito il consigliere Lucio Boggi, finito sotto inchiesta nel frattempo per un’altra vicenda) e due ingegneri (Angelo Valsecchi e Antonio Cinelli). Sotto la lente della commissione (che non sostituisce ma si aggiunge, semmai, al lavoro della magistratura) sono finiti documenti, storie, analisi relative a quel torrente; un rigagnolo che scorre innocuo fra le Apuane, d’estate, ma più indomabile del Rio delle Amazzoni, d’inverno, con le sue tre alluvioni in tre anni, quattro in undici e così via.
Ed eccole quindi, le responsabilità, saltare fuori una a una, nonostante l’indagine della commissione non sia ancora ultimata. Difficile stabilire, fra tutte, quale sia la più grave. Ma secondo la relazione, la più determinante è stata la mancata nomina da parte della Provincia di un collaudatore. Che, sorpresa, era necessario. Sul mancato collaudo dell’argine, infatti, (è stato rilasciato solo il certificato di regolare esecuzione dei lavori), tutti, ma proprio tutti, tecnici e non, hanno sempre sostenuto, fino ad oggi, che fosse “normale”. E tutti ci hanno creduto. Per le opere pubbliche sotto i 500 mila euro infatti il collaudo non è necessario (l’argine è costato 400 mila euro). Però, c’è un però. Se il progettista non è un dipendente pubblico, ma un esterno, la distinzione fra opere sopra e sotto i 500 mila euro scompare e l’ente deve in ogni caso nominare un collaudatore delle opere in corso (progettista e direttore dei lavori era Franco Del Mancino, ingegnere chimico, adesso indagato dalla Procura di Massa Carrara per disastro colposo.
Il peccato originale quindi sta proprio qui, secondo il presidente della commissione di inchiesta, Gorlandi, che a ilfattoquotidiano.it spiega: “Se ci fosse stato il controllore, le opere non sarebbero mai state eseguite così. Il collaudatore avrebbe fatto gli interessi del pubblico e non del privato”. Inoltre non è da sottovalutare, sempre secondo la commissione, il fatto che, nei suoi appena venti chilometri, il Carrione sia stato rattoppato un po’ qua e un po’ là, con una marea di lotti e sotto-lotti, appalti diversi, addetti ai lavori diversi, tempi diversi. “L’argine crollato – ricorda Gorlandi – è stato diviso in tre stralci, di cui l’ultimo, eseguito a distanza di molto tempo. In qualche modo deve aver determinato l’efficacia dei lavori”. Peggio ancora se l’argine non viene costruito come da progetto: il muro di 4,5 metri non è stato ancorato alla fondazione, ma solo appoggiato. La ditta esecutrice dei lavori, la Elios srl di Aulla, è adesso sotto inchiesta; sono indagati il titolare, Diego Tognini e il direttore tecnico del cantiere, Giulio Alberti.
Ma la lista nera degli errori continua. Perché di mezzo ci sono anche i detriti, tanti detriti, provenienti perlopiù delle cave del marmo. Un problema annoso per la città di Carrara, che viene sempre nascosto sotto il tappeto, per poi rispuntare fuori alla prima alluvione. Già nel 2003, quando il Carrione, esondando, uccise una donna, le cave finirono nel mirino della giustizia per i detriti trovati nel letto del fiume (processo finito in prescrizione). Ricompaiono adesso nella relazione della commissione d’inchiesta che parla di cumuli alti anche tre metri. L’ente che si dovrebbe occupare della pulizia dell’alveo è proprio la Provincia.
“Per il Po – spiega Gorlandi – c’è un piano annuale delle opere di asportazione dei detriti: si prendono massi dove si accumulano e si portano dove si creano buchi. In questa provincia non viene fatto con nessun corso d’acqua”. Ma qui le responsabilità abbondano. I ravaneti (pareti dove vengono accumulati i detriti delle cave) infatti non sarebbero più permessi. Eppure molti continuano a essere alimentati sotto gli occhi accecati dell’amministrazione comunale, che è una delle responsabili delle attività di controllo sulle cave, come ilfattoquotidiano.it sottolineò nei giorni successivi all’alluvione. Intanto va avanti anche il lavoro della magistratura; la lista degli indagati è salita a sette: oltre alla Elios srl, alcuni tecnici della Provincia.