“Ho voluto collocare il film in una prospettiva in cui si capisca che il cane è il simbolo dell’eterno emarginato per cui il padrone è il suo Dio” dice Kornel Mundruczo riguardo al suo poderoso White God – Sinfonia per Hagen. “Mi hanno sempre interessato le peculiarità di Dio. È davvero bianco? Oppure ogni persona ha il suo Dio? L’uomo bianco ha dimostrato innumerevoli volte che è solo capace di dominare e colonizzare. Le due parole collegate del titolo nascondono molte contraddizioni, per questo l’ho trovato così accattivante”.
Appena quarant’anni e cinque lungometraggi tutti premiati o presentati in importanti festival, nella pellicola Lili è una ragazzina innamorata del suo cane Hagen, e quando si esercita con la tromba prima delle prove nell’orchestra di scuola, suona sempre davanti a lui. Con i genitori divorziati e durante il solito periodo teso passato dal padre intransigente una nuova tassa salatissima viene a gravare sui padroni di cani meticci. Ed è così che avviene un drammatico abbandono. Inizia l’epopea di Hagen alla ricerca della sua padroncina tra catture, combattimenti e inseguimenti con accalappiacani. Il cane impiegato per questo eroe a quattro zampe rivela un incredibile Dna d’attore di razza. Mentre la sua padroncina dal volto preadolescenziale di Zsofia Psotta è una caratterizzazione emblematica della generazione millenial.
“Il film è più una critica dell’Ungheria di una volta e di quella del futuro, dove un’esigua minoranza domina su una massa più estesa”. È l’annotazione dell’autore che evidenzia la metafora politica dopo quella morale su Dio. “Questo sta diventando sempre più vero anche per l’Europa. Un gruppo dell’élite si riserva il diritto al potere mentre, come in un reality show, i politici sono stelle che noi decidiamo di eleggere o meno”. E la rivolta della massa Mundruczo la mette in luce con scene corali di cani che rendono Budapest una città fantasma sotto le note marziali della Rapsodia Ungherese n° 2. Tema mozzafiato del film reso attualissimo da una tromba ipnotica. La macchina da presa avvolge i 200 cani scritturati in maniera simmetrica, grandi spazi gestiti come una trionfante opera lirica. Solo che qui sono due gradini della natura a configgere: uomini e cani. La rivolta da spazio quindi anche all’interpretazione naturalista: l’uomo che umilia l’animale, tecnica contro natura. Verrà spodestato? Quale sarà il destino di Lili e Hagen una volta su fronti opposti?
“Questi sono i momenti in cui le masse si ribellano, l’attuale paura dell’Europa: la rivoluzione delle masse. E hanno ragione ad aver paura. Ho cercato delle immagini simboliche per rappresentare tutto questo – ha spigato il regista – in modo che si veda la direzione che si prende quando ci si rifiuta di mettersi nei panni di un’altra specie, dell’avversario o delle minoranze”. Ma sul set tutto è stato molto più pacifico, poiché i cani provenivano tutti da canili e alla fine della lavorazione sono stati adottati tutti, trovando finalmente una famiglia.
White God, ispirato all’autore dall’incontro con la letteratura di J.M. Coetzee, è anche un film per ragazzi, ma non il prevedibilmente soffice e rassicurante perché contiene alcune scene di violenza abbastanza esplicite. I significati che sprigiona, degni del premio ricevuto al Festival di Cannes lo scorso anno, lo popolano di spunti riflessivi per un pubblico trasversale. Potrà bagnare gli occhi, afferrare il pubblico con un nodo in gola, ma non risparmia momenti d’irresistibile tenerezza dove il protagonista assoluto, non solo con Lili, è Hagen.
La clip in esclusiva per il Fatto.it
Il trailer di White God