“Io voglio sapere veramente cos’è successo”. Sul Moby Prince Ivanna ha perso Umberto, il marito, e Monica, l’unica figlia. Come ogni familiare delle vittime di questa strage, Ivanna coltiva da 24 anni il bisogno di conoscere cosa sia realmente accaduto. Non sono bastati 3 processi, 5 decreti di archiviazione e 2 macro inchieste giudiziarie. Decine di migliaia di pagine, documenti fotografici e audiovisivi. Sembra incredibile ma a distanza di 24 anni la ricostruzione dei magistrati ancora non regge. E’ nata da qui, dal bisogno di persone come Ivanna, la campagna #iosono141 che ha chiesto (e sta per ottenere) l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla tragedia avvenuta a Livorno il 10 aprile 1991.
L’orientamento della petroliera
Per la Procura di Livorno, quella sera del 10 aprile 1991, il traghetto era lanciato su una rotta pericolosa verso Olbia, passante a poche decine di metri da altre navi ancorate in rada; la plancia non si accorse della nebbia né della Agip Abruzzo all’ancora con prua a nord-ovest e finì contro il fianco destro della petroliera senza dare alcun allarme. Questa ricostruzione ha superato gli anni nonostante dati tecnici incontestabili. Uno su tutti: il vento quella notte veniva da sud, infatti dopo la collisione il fumo dell’incendio investì il porto che è più a nord del punto dell’impatto. Poiché chi ha l’ancora di prua la rivolge contro vento, l’Agip Abruzzo aveva quindi la prua verso sud/sud-ovest. Ma i magistrati insistono con la tesi che la petroliera avesse la prua a nord. Perché? Perché se la prua fosse stata a sud la dinamica della collisione assumerebbe connotati molto complessi: il traghetto avrebbe compiuto una virata verso destra, opposta al senso di marcia, quasi un’inversione di rotta. O comunque avrebbe “cercato” irrazionalmente l’impatto. Perché?
La “scatola nera”: i registri trafugati
Possibile che elementi certi su questa manovra non siano ottenibili in nessun modo? Il Moby Prince aveva una “scatola nera”? Sì, aveva qualcosa di simile: i registri delle eliche Kamewa, ma nessuno dei due fu ritrovato dagli inquirenti. Trafugati da chi ne conosceva il valore, così come il registratore di rotta e il data logger dell’Agip Abruzzo. Ogni elemento di determinazione oggettiva della dinamica non è stato fatto trovare agli inquirenti. Allo stesso modo non furono consegnate dagli Stati Uniti foto satellitari o tracciati radar. L’avvocatura militare Usa rispose nel 2003: “Camp Darby non ha radar” e “il governo Usa non aveva alcun motivo di monitorare il porto di Livorno”. Nonostante ci fossero 7 navi legate alla Us Army nella rada dello scalo toscano, cariche di armamenti all’indomani della fine della prima guerra del Golfo. Il governo statunitense forse non aveva “motivo di monitorare”. Ma le navi, dotate anche di registrazioni h24, sicuramente sì.
Gli errori dei magistrati
Per qualcuno dei familiari delle vittime il mistero più grande sulla vicenda resta il lavoro della Procura e del Tribunale di Livorno. Errori ed orrori. I magistrati – durante il primo processo – indagano e poi archiviano la posizione dell’armatore del Moby Prince, Achille Onorato, benché titolare del ruolo sarebbe dovuto essere il figlio Vincenzo. Dispone il sequestro del Moby Prince, ma dentro il relitto avvengono manomissioni, furti, persino partitelle di calcio. Quella che dovrebbe essere la prova principe (la nave) pare alla mercè di chiunque voglia inquinare le prove. Tanto che verrà maldestramente manomesso il timone ed altri elementi del sistema di “governo nave”. E ancora: la Procura archivia la posizione del comandante della Capitaneria Sergio Albanese, prima ancora di avere i dati tossicologici sulle vittime (dato che avrebbe sancito il ritardo dei soccorsi, oggi acclarato) e ogni responsabilità ai soccorritori avvalorando la tesi della morte rapida (massimo 30 minuti), benché esistano dati tossicologici molto vari tra le vittime e una di queste sia stata ritrovata completamente integra: il passeggero austriaco Gerhard Baldauf. Infine: se da una parte il Moby Prince pare fosse a disposizione di chiunque, l’Agip Abruzzo non verrà mai esaminata attentamente dai periti, nonostante sia evidente che possa esserci là sopra qualche risposta (come ipotizzato più di recente in relazione alla “nebbia” che secondo due esperti sarebbe potuta essere vapore sprigionato da una banale avaria sulla petroliera).
Il giudice condannato per corruzione
Il 31 ottobre 1997 viene pronunciata la sentenza di primo grado sul disastro di Livorno: “Tutti assolti perché il fatto non sussiste”. Colui che la pronuncia si chiama Germano Lamberti: il 18 novembre 2013 la Corte di Cassazione lo ha condannato definitivamente per corruzione in atti giudiziari: 4 anni e 9 mesi più l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. La vicenda è un’altra e parla di piccoli interessi all’isola d’Elba (uno scambio di favori per il cosiddetto scandalo Elbopoli con tanto di ecomostri. Ai tempi Lamberti era capo dell’ufficio gip). La tragedia del 1991 non c’entra nulla eppure ora il sospetto dei familiari si fa largo. Per giunta la corte d’Appello di Firenze che riformerà in parte quella sentenza dirà che è stata emessa dando per buone “testimonianze palesemente false” e non ascoltando testimonianze “palesemente vere”.
La strana notte del comandante del porto
Il comandante della Capitaneria di Porto, Sergio Albanese, dichiarò di essere stato avvertito dell’incendio dell’Agip Abruzzo da un suo collaboratore, collegato via radio con il canale d’emergenza (il 16), mentre erano entrambi ad una festa a La Spezia. Alle 23,09 la sala operativa della Guardia costiera invita una motovedetta ad “accostare in banchina per imbarcare il comandante”, cioè Albanese. La collisione tra Moby Prince ed Agip Abruzzo avviene alle 22,25 e la prima risposta al soccorso richiesto dalla petroliera arriva alle 22,27: “Provvediamo subito”. Anche ipotizzando un tempismo eccezionale del collaboratore resta impossibile sostenere che Albanese sia riuscito in 40 minuti a tornare da La Spezia agli alloggi ufficiali della Capitaneria di Livorno – dove andrà a togliersi la divisa di gala per indossare quella di ordinanza – fino a poter richiedere all’operatore radio di far “accostare in banchina” la motovedetta. O Albanese partì prima o non era nel posto dove raccontò di essere. In entrambi i casi, perché? Da chi fu avvisato e per segnalare cosa?
La voce del comandante che non si sente mai
La notte di Albanese non finisce con questa anomalia. Anzi, c’è molto di più: quando esce in mare la motovedetta Cp 250 non raggiunge il luogo della collisione, perché l’ammiraglio a bordo ordina un moto circolare costante mentre resta in comunicazione con qualcuno. Il vigile del fuoco Roberto Pippan, imbarcato sulla stessa motovedetta per arrivare dai colleghi già in mare per le operazioni di soccorso e dar loro il cambio, chiede di arrivare a destinazione. Non gli rispondono. Albanese è “impegnato in altre comunicazioni radio”. Pippan protesta, ma non c’è niente da fare. Alle 3 del mattino la Cp 250 riporta Albanese in banchina per rilasciare le prime dichiarazioni. Pippan dovrà reimbarcarsi per essere condotto a fare il suo lavoro. Considerato che sul canale 16 non si sente mai la voce di Sergio Albanese: con chi parlò via radio? Perché non prese mai la guida del coordinamento dei soccorsi lasciando ogni iniziativa ai singoli?