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Francesco, gli armeni e la politica a due velocità

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In udienza da Papa Francesco (e in generale con qualsiasi papa) i politici italiani tendono a mostrarsi in estasi, tanto che le loro foto ufficiali in Vaticano sembrano immaginette sacre e si resta impressionati da tanta devozione. Ogniqualvolta poi che il Parlamento italiano osa affrontare i cosiddetti temi sensibili – dalle coppie di fatto alla fecondazione eterologa, alle norme sul fine vita –, subito schiere di reverendi onorevoli si mobilitano nel nome di Santa Romana Chiesa per impedire l’adozione di elementari diritti civili e manca poco che dicano:

Gesù piange. Davanti a tanto fervore, meraviglia non poco il silenzio con cui questi crociati alle vongole hanno accolto le minacciose parole del presidente turco Erdogan (“non ripeta più l’errore”) contro il Pontefice che ha giustamente definito il genocidio degli armeni per mano turca “come una delle grandi tragedie insieme a nazismo e stalinismo”. Ora, immaginiamo cosa sarebbe successo nel mondo islamico, con relativi anatemi e moti di piazza, se un qualsiasi premier occidentale avesse osato attaccare con analoga violenza il Gran Muftì. Qui da noi, invece, il ministro degli Esteri Gentiloni ha espettorato timide rimostranze (“attacchi ingiustificati”: caspiterina!), mentre Renzi non ha proferito verbo.

Una frase, infine, del sottosegretario Gozi, secondo cui a giudicare sullo scontro Francesco-Erdogan saranno “gli storici e non i governi”, spiega perché i jihadisti sono così convinti di farci la pelle.

Da ‘Stoccata e Fuga’, il Fatto Quotidiano 16 aprile 2015

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