E’ partita durante un momento di preghiera la rissa sul barcone al largo delle coste della Sicilia. Gli interrogatori e le indagini degli inquirenti sono ancora in corso, ma secondo quanto raccontato dai sopravvissuti appena sbarcati al porto di Palermo, un gruppo di migranti di religione cristiana avrebbe iniziato a invocare il proprio dio, in un momento di difficoltà del barcone. Da lì è cominciata la discussione con un altro gruppo di passeggeri, più numeroso del primo ma di religione musulmana: un alterco degenerato in rissa, una disputa per affermare l’autorità all’interno del barcone.

Alla fine nove migranti di religione cristiana sono stati afferrati da 15 compagni di viaggio e buttati in mare, dove sono affogati. A denunciare nei dettagli la tragedia sono stati i sopravvissuti, recuperati insieme a tutti gli tutti gli altri passeggeri del barcone dalla nave Ellensborg e quindi condotti al porto di Palermo. “Ci hanno raccontato quello che era successo tra le lacrime: provavano a parlare in inglese, cercavano qualcuno di noi che conoscesse la loro lingua” dice uno dei soccorritori, che per primo, insieme agli operatori della Caritas, della Croce Rossa e di Save the Children, si è imbattuto tra i sopravvissuti appena sbarcati. “Ci hanno raccontato – continua – che si sono difesi formando una catena umana e che i morti sarebbero stati di più se non fossero arrivati i soccorsi: a quel punto la folle rissa si è fermata”.

Un quadro desolante quello messo a verbale dai sopravvissuti, che hanno visto affogare i loro compagni di viaggio rischiando di fare la stessa fine. “È una vera barbarie e posso assicurare che in passato ci sono stati casi simili: ma denunciare gli assassini non è cosa semplice in determinati casi” dice al fattoquotidiano.it padre Sergio Mattaliano della Caritas, che ha preso in custodia i superstiti in una struttura nel centro di Palermo. “Mi ha chiamato la questura chiedendomi di ospitarli: si sono rifocillati, ma sono ancora a disposizione dell’autorità giudiziaria. Posso dire che sono davvero stravolti” spiega il sacerdote. Pensavano di aver lasciato il loro inferno in Africa e invece in mare aperto hanno scoperto che ne esisteva uno peggiore. Arrivati al porto di Palermo hanno subito raccontato quanto successo sul barcone. “C’è chi ha perso familiari, chi amici è per questo che hanno trovato il coraggio di accusare subito gli assassini” continua il sacerdote della Caritas. Una storia ancora tutta da raccontare nei dettagli.

Dopo l’arrivo della squadra mobile al porto di Palermo, i superstiti sono stati interrogati insieme ad un legale d’ufficio e agli interpreti, quindi hanno riconosciuto gli assassini nelle foto mostrate loro dagli investigatori. In questo modo il procuratore aggiunto di Palermo Maurizio Scalia ha chiesto e ottenuto il fermo di quindici passeggeri provenienti dalla Costa d’Avorio, dal Mali, dal Senegal e dalla Guinea Bissau: sarebbero loro gli assassini dei compagni di viaggio colpevoli solo di credere in un dio diverso da Allah. E mentre in queste ore procedono gli interrogatori alla questura di Palermo, domani il procuratore Scalia inoltrerà al gip la richiesta di conferma dell’arresto dei 15, dopo aver ottenuto l’autorizzazione del ministro della Giustizia Andrea Orlando, dato che i reati sono stati commessi in acque internazionali.

Nel frattempo dagli interrogatori dei 15 fermati si cerca di capire se per caso qualcuno di loro non abbia contatti con cellule estremiste di matrice islamica: nelle prossime ore non è escluso che possa attivarsi il pool antiterrorismo della procura palermitana. Al momento però c’è solo una pista: una guerra tra poveri, tra migranti che scappano dalla stessa terra, massacrata da guerra e povertà, ma che sono pronti ad uccidere i compagni di viaggio esclusivamente per motivi religiosi.

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