La corda è tesa ma non si spezzerà se, stasera, i componenti della minoranza dem in commissione Affari costituzionali dovessero essere sostituiti da colleghi fedeli alla linea del gruppo e, quindi, del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Cosa diversa, invece, se il segretario-premier decidesse di porre la fiducia sull’Italicum. «Sarebbe uno strappo molto serio», avverte Gianni Cuperlo, esponente di Sinistradem. Che metterebbe la legislatura su un binario morto.
Via i componenti della minoranza Pd dalla commissione Affari costituzionali. Siamo alla rottura definitiva?
«Mi auguro che non lo sia, ma certamente è un fatto serio. Si sta per procedere nella riunione di questa sera alla sostituzione di un certo numero di membri della commissione Affari costituzionali e credo che non ci siano molti precedenti di questo genere. Anche per questo credo che la maggioranza del gruppo del Pd ma, soprattutto il governo, dovrebbero riflettere attentamente. Tra l’altro se dovessi essere sostituito non mi sentirei un parlamentare dimezzato. Mi ci sentirei se, per ragioni di opportunismo, rinunciassi ad argomentare e difendere le mie convinzioni».
E su cosa dovrebbero riflettere Renzi e la maggioranza del Pd?
«Sul fatto che sul terreno della legge elettorale non c’è qualcuno che in modo singolo o episodico abbia espresso delle opinioni con l’intenzione di sabotare il percorso e di azzerare tutto per ricominciare da capo. Sono state espresse, piuttosto, delle posizioni critiche chiedendo delle correzioni limitate. Il punto è il modello complessivo di assetto istituzionale che esce dal trittico formato dalla riforma della Costituzione, dalla riforma del titolo V e della legge elettorale. Se davvero c’è ancora lo spazio e il margine per discutere sulla natura, la composizione e le modalità di elezione del Senato potremmo tranquillamente fare una riflessione che garantisca alla fine l’unità del Pd e uno schieramento più largo a sostegno di queste riforme».
Altrimenti?
«Il rischio, mettendo da parte la vicenda della sospensione dei componenti della commissione, che è un fatto molto serio, è quello che la legge elettorale venga approvata da una minoranza degli aventi diritto al voto. E cioè solo dalla maggioranza che oggi sostiene il governo e neppure a ranghi completi. Così si produce un clima complessivamente negativo e di tensione. Mi chiedo se aiuti l’esito delle riforme. Le riforme si fanno assieme e non a colpi di maggioranza».
Per ora il messaggio è: se voti resti oppure sei fuori. La ritiene una logica democratica?
«Per formazione e carattere sono più incline ad usare l’estintore piuttosto che l’accendino. Tendo a non cercare la polemica né la radicalizzazione del confronto. Sono intervenuto in tutte le sedi possibili, dalla direzione del Pd all’assemblea del gruppo parlamentare, cercando sempre di ragionare sul merito. Non ho chiesto di essere sostituito, ma se la decisione fosse stata diversa l’avrei rispettata. Di sicuro è difficile immaginare che in un partito ogni qualvolta un singolo parlamentare o gruppi di parlamentari esprimono posizioni diverse si proceda sostituendoli».
Aspettando che con la nuova legge elettorale i segretari nominino i candidati, il gruppo della Camera si nomina di componenti delle commissioni. E’ l’applicazione preventiva dell’Italicum?
«Non credo e non penso. In questa vicenda la cosa che personalmente più amareggia è l’idea che si vuole far passare che alcuni di noi stiano facendo questa discussione per una sorta di tutela della poltrona. A parte che di questi tempi se qualcuno ha a cuore il proprio destino personale conviene stare in maggioranza, ma la questione è un’altra. Sull’Italicum, tra l’altro, io non condivido la battaglia sulle preferenze. Qui al centro c’è la preoccupazione per l’equilibrio complessivo del nostro assetto istituzionale. Niente di più».
Sul suo blog, Civati parla di violazione dell’articolo 67 della Costituzione che esclude per i parlamentari il vincolo di mandato. Concorda?
«C’è chi sostiene che l’articolo 67 non sia violato quando un deputato esercita in Aula la sua attività senza vincoli di mandato, mentre nelle commissioni i singoli componenti sono espressione della maggioranza del gruppo parlamentare di appartenenza. Per quanto mi riguarda, ho sempre espresso liberamente la mia posizione. E ancora adesso sono convinto che un punto di incontro si potrebbe trovare».
In che modo?
«Con alcune correzioni alla legge elettorale: aumentare il numero dei collegi e riducendo il numero dei parlamentari nominati; consentendo gli apparentamenti all’eventuale ballottaggio; agganciando l’entrata in vigore della legge elettorale al completamento della riforma costituzionale. Ovviamente sono disposto a discutere sull’equilibrio e l’assetto istituzionale complessivo, ma non in una logica di scambio tra legge elettorale e riforma costituzionale. Ripeto: la preoccupazione è che il risultato di questo trittico di riforme non garantisca un buon funzionamento della democrazia nel nostro paese».
L’unico precedente di fiducia su una legge elettorale risale al 1953 quando fu approvata la cosiddetta “legge truffa”. Se la storia si ripetesse ne trarrebbe le conseguenze?
«Fino all’ultimo lavorerò e farò appello al capo del governo affinché la questione di fiducia non venga posta. Lo riterrei sbagliato anche se quella in discussione fosse per me la migliore legge elettorale del mondo. Abbiamo sempre detto che le regole si fanno assieme e non a colpi di maggioranza. Se il governo, però, scegliesse di seguire la via che mi auguro non scelga della fiducia, ci troveremmo di fronte ad uno strappo molto serio».
Con quali conseguenze?
«La reazione delle opposizioni fuori e dentro l’aula sarebbe durissima. E mi riesce davvero difficile pensare che il giorno successivo ad uno strappo di quella natura le cose possano continuare come se nulla fosse. Temo che se questo strappo si consumasse la Legislatura verrebbe inevitabilmente instradata su un binario senza sbocco.
Twitter: @Antonio_Pitoni