È sempre più nella bufera il sistema cooperativo del Nordest. E con esso il sistema dei prestiti sociali, la cui unica garanzia è rappresentata dal patrimonio della coop stessa. L’epicentro ora si è spostato dalla Venezia Giulia al Friuli: dopo che a fine marzo le Coop Operaie di Trieste hanno ottenuto il via libera alla domanda di concordato, lunedì il Tribunale di Udine ha dato l’ok anche al piano concordatario di Coop Carnica. Bocciando la richiesta di fallimento presentata dalla procura di Udine, che si era mossa dopo la denuncia del Comitato spontaneo di difesa dei soci prestatori di CoopCa. Ma i 10.400 soci resteranno comunque con il cerino in mano. Così come, in larga parte, quanti hanno finanziato la cooperativa sottoscrivendo un libretto o acquistando certificati azionari. La perdita, nel complesso, sarà di almeno 15 milioni di euro.
Anche con il concordato nessun rimborso garantito – L’avvocato del consiglio di amministrazione della coop e i sindacati hanno sempre sostenuto che il concordato è l’unica strada per preservare la continuità aziendale e salvaguardare il posto di lavoro dei 650 dipendenti. Peccato che non tuteli in alcun modo i soci, che proprio in quanto soci non risultano nell’elenco dei creditori ammessi al passivo dal piano concordatario, incentrato sulla vendita dei 38 super e ipermercati con l’insegna CoopCa. Di conseguenza nessuno di loro rivedrà i 26 euro della quota ordinaria di adesione né il corrispettivo pagato per i certificati azionari che la coop emetteva come ulteriore fonte di finanziamento. Il loro valore, a fine 2014, aveva raggiunto i 6,8 milioni di euro. I 3mila prestatori, che sperano di vedersi restituire almeno in parte i circa 26,5 milioni di risparmi depositati nei libretti offerti dalla coop di Amaro, non riceveranno poi alcun rimborso prima del 2018, anno in cui dovrebbe essere completata la vendita delle attività aziendali. E anche allora potranno ambire nel migliore dei casi a recuperare il 75% di quanto versato, cioè non più di 19,8 milioni.
Servono nuove regole per tutelare i finanziatori – Una situazione che riporta in evidenza la necessità di una regolamentazione più trasparente dei prestiti sociali, un canale di finanziamento che per il sistema valeva nel 2013 quasi 11 miliardi. La “bozza di autoregolamentazione” varata a metà marzo dalla direzione nazionale di Legacoop appare insufficiente: il documento stabilisce che i consigli di amministrazione dovranno garantire maggiori informazioni su impiego delle somme prestate e stato finanziario e patrimoniale della cooperativa, nonché introdurre sistemi di monitoraggio per identificare i rischi prima che sia troppo tardi. Ma il punto è che, in caso di fallimento o concordato, per chi ha finanziato la coop non c’è alcun sistema di garanzie. Lo dimostra quello che nel frattempo sta succedendo a Trieste, dove lo scorso autunno il Tribunale aveva chiesto il fallimento delle Coop Operaie. L’amministratore giudiziario Maurizio Consoli ha esposto ai soci un piano di concordato che prevede la liquidazione degli attivi entro il 2017. Attraverso la vendita progressiva dei punti vendita, Consoli conta di pagare a luglio una prima tranche pari al 30% del dovuto ai 17mila soci prestatori esposti per 103 milioni di euro, per poi completare il rimborso con il saldo finale nel giugno 2017. Ai prestatori verrà restituito comunque, se tutto va per il verso giusto, l’81,38% delle somme depositate nei libretti. L’intera operazione, così come quella che si prospetta per CoopCa, è soggetta al via libera dei creditori, soci compresi, che si pronunceranno durante le adunanze generali convocate rispettivamente per il 7 maggio e il 20 giugno.
I rilievi della Procura: soldi rimborsati solo ai “soliti noti” – Sullo sfondo restano poi i pesanti rilievi in base ai quali la Procura friulana aveva chiesto che Coop Carnica non fosse ammessa al concordato. Secondo il sostituto procuratore Elisa Calligaris, che indaga per falso in bilancio, false comunicazioni sociali e abusiva attività di raccolta del risparmio, a causare la crisi della coop di Amaro (Udine) non è stata, come sosteneva il consiglio di amministrazione, la fuga dei soci scatenata dalla minaccia di default della cugina triestina. La situazione finanziaria era al contrario deteriorata già da molto tempo: non è un caso se “molti fornitori a partire dall’inizio del 2014 hanno cominciato a non evadere più gli ordini avendo CoopCa accumulato rilevante scaduto nei loro confronti”. Tanto è vero che uno di essi aveva anche presentato istanza di fallimento per la coop. I cui vertici erano talmente consapevoli della malaparata imminente che hanno provveduto a recuperare in fretta i soldi investiti nella cooperativa. Dai controlli affidati alla Guardia di finanza, annota Calligaris, è infatti emerso che “nel periodo compreso tra il primo giorno di settembre e l’ormai fatidico 17 novembre del 2014 (quando è stata presentata la richiesta di concordato, ndr) sono state effettuate importanti restituzioni del prestito sociale (…) in favore dei soci che sono nel contempo amministratori, sindaci e/o familiari degli stessi soggetti o comunque collegati a CoopCa”.
E agli altri venivano chiesti nuovi versamenti – Al contrario, nel corso dell’estate la coop aveva inviato agli altri soci una lettera di sollecitazione in cui si chiedeva loro di depositare altri soldi, incentivando la scelta con un “bonus” dell’1 per cento rispetto al tasso base per chi avesse rimpolpato libretti su cui ci fossero già almeno 5mila euro. Una mossa che non è comunque bastata per tappare il buco creato nel frattempo nei conti: il bilancio 2014 rettificato da un nuovo revisore dei conti evidenzia un patrimonio netto negativo per 2,34 milioni e debiti per 85 milioni.