E’ la legge del “compromesso” o la legge del “consociativismo”. Per la maggioranza è la riforma “per combattere l’immobilismo”, per le opposizioni (e la stessa minoranza Pd) è quella che nei fatti “è peggio del Porcellum”. L’Italicum arriva alla Camera per la discussione finale e ad aspettarlo c’è un’Aula deserta: solo venti deputati presenti per quella che tutti sui giornali e nei salotti tv definiscono la battaglia decisiva della legislatura. Stessa scena di venerdì 27 aprile quando 39 parlamentari hanno ascoltato l’informativa del ministro Gentiloni sulla morte del cooperante Lo Porto. Assenti quasi tutti per quello che è stato annunciato come lo scontro campale: “Se non passa è l’idea stessa di Partito democratico come motore del cambiamento dell’Italia che viene meno”, dice Matteo Renzi in una lettera inviata ai coordinatori di circolo. “C’è in ballo la dignità del partito“. Di forte accento politico anche l’intervento del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi in Aula a Montecitorio. Per esempio si rivolge a Forza Italia che aveva approvato questo stesso testo solo tre mesi fa: “Capisco che Fi possa cambiare idea, ma non può essere che una legge diventa incostituzionale solo perché nel frattempo è stato eletto presidente Mattarella” ha detto la Boschi. Poi una risposta all’ex presidente del Consiglio Enrico Letta che aveva sollevato dubbi sulla probabile approvazione della legge con una maggioranza risicata: “L’Italicum è assai simile alla legge elettorale proposta dalla Commissione di esperti nominata dal governo Letta” ha scandito la Boschi. Infine alla minoranza Pd: “Nel percorso che tiene insieme legge elettorale e riforma costituzionale, il governo è disponibile a un approfondimento su eventuali modifiche della riforma costituzionale. Ma non può essere un baratto, non c’è un contraccambio, ma un approfondimento della riforma costituzionale che porti a modifiche in Senato”.
Nella pratica, dunque, sono i renziani contro tutti: da una parte la maggioranza difende il testo elaborato in commissione e modificato al Senato, dall’altra le opposizioni e la minoranza Pd denunciano le modalità e i contenuti. Oggi è iniziata la prima tappa: le opposizioni presentano la richiesta di sospensiva da parte dell’opposizione per cambiare l’ordine dei lavori: la votazione è palese e il governo è tranquillo che questa fase possa essere affrontata senza particolari ostacoli.
Martedì 28 aprile il secondo round: si voteranno le pregiudiziali, due di merito e tre di costituzionalità presentate da Sel, M5S e Lega Nord. Fi conferma presenterà tre questioni di pregiudizialità, una di costituzionalità, una di merito e una richiesta di sospensiva della legge elettorale. Sulle prime due chiederà voto segreto. Già in questo caso Renzi potrebbe decidere di chiedere il voto di fiducia per blindare il testo. Poi si passerà alla discussione dei quattro articoli: o direttamente questa settimana o dopo il weekend per avere la possibilità di chiedere il contingentamento dei tempi e ridurre lo scontro con le opposizioni. Poi il voto finale che, salvo imprevisti, dovrebbe essere non oltre il 7 maggio.
Il clima però è sempre più teso. E non solo per la minaccia di un nuovo “Aventino” delle opposizioni (dal Movimento 5 stelle alla Lega Nord), ma piuttosto per le polemiche dentro la minoranza del partito. Renzi sta cercando in extremis di non ricorrere alla fiducia e cerca gli appoggi di quanti più deputati possibile. L’ultima mossa è stata quella di scrivere ai coordinatori di circolo una lettera in cui elenca le conquiste della legislatura e in cui chiede che il partito compatto non blocchi “il cambiamento”: “Possono mandare a casa il governo se proprio vogliono, ma non possono fermare l’urgenza del cambiamento che il Pd di oggi rappresenta. Non approvare adesso la legge significherebbe bloccare il cammino di riforme di questa legislatura. Sarebbe il più grande regalo ai populisti“. E poi scrive: “Questa legge l’ha voluta il Pd. L’abbiamo definita una urgenza e ora dovremmo fermarci?”. Il presidente del Consiglio ribatte alle accuse di “scarsa democrazia interna” elencando le varie tappe affrontate dal provvedimento: “La riforma è stata proposta alle primarie del dicembre 2013, ribadita alla prima assemblea a Milano. L’abbiamo votata in direzione a gennaio 2014. L’abbiamo votata, modificata sulla base delle prime richieste della minoranza interna, alla Camera nel marzo 2014. L’abbiamo di nuovo modificata d’accordo con tutta la maggioranza e l’abbiamo votata al Senato nel gennaio 2015. L’abbiamo riportata in direzione nazionale e l’abbiamo votata. Poi abbiamo fatto assemblea dei deputati e l’abbiamo votata ancora una volta. L’abbiamo votata in Commissione e adesso siamo alla terza lettura alla Camera, in un confronto parlamentare che è stato puntuale, continuo, rispettoso. Davvero è così assurdo chiedere che dopo 14 mesi di dialogo parlamentare si possa finalmente chiudere questa legge di cui tutti conosciamo il valore politico?”.
A difendere il testo in Aula è stato il relato Gennaro Migliore, deputato ex Sel e ora nel Pd che più volte in passato aveva criticato quella stessa proposta di legge: “E’ un buon punto di approdo e rappresenta un passaggio a una più chiara democrazia d’investitura e non certo a un premierato di fatto. Le scelte fatte sono di natura eminentemente politica e il provvedimento conferma l’impianto maggioritario, costituendo un ragionevole equilibrio tra governabilità e rappresentanza“. Una visione fortemente contestata dalle opposizioni, ma soprattutto anche dalla minoranza Pd: “L’effetto del premio di maggioranza”, ha detto Rosy Bindi, “piuttosto che quello di dare vita a una maggioranza più compatta, sarà quello di creare un nuovo consociativismo”. I quattro relatori di minoranza alla legge elettorale alla Camera invece hanno rinunciato a tenere la loro relazione. Il deputato di Forza Italia Francesco Paolo Sisto ha invece commentato la decisione del governo di sostituire in commissione i deputati Pd critici, scelta fortemente contestata nei giorni scorsi: “Lo strumento della sostituzione”, ha detto il relatore, “è pienamente regolamentare, anche se il relativo uso può essere discusso dal punto di vista politico”.
Realtà è che se non passa Italicum cade solo @matteorenzi e suo governicchio. No elezioni anticipate, avanti fino a 2018 con nuovo esecutivo
— Renato Brunetta (@renatobrunetta) April 27, 2015
Nessuna tappa per il momento è sicura per la riforma della legge elettorale: il presidente del Consiglio dice di non voler ricorrere al voto di fiducia e nelle ultime ore è alla ricerca di sostegno in tutti gli schieramenti (dalle opposizioni lamentano “pressioni e chiamate”). Ma quello che è sicuro è che nel caso in cui la minoranza Pd chiedesse il voto segreto su alcune modifiche sostanziali al testo, il leader democratico chiederà la fiducia sui tre articoli fondamentali della legge. “Facciamo appello a tutti i deputati”, ha detto Arturo Scotto di Sel, “affinché sia respinto il ricatto sul Parlamento della questione di fiducia. Sarebbe un’aberrazione che determinerebbe una lesione molto grave della democrazia parlamentare”. Dipenderà quindi dal clima di tensione in Aula e dai segnali che le diverse anime del partito manderanno nelle prossime ore. Ancora non si sa se la discussione nel merito delle parti sarà fatta direttamente questa settimana o tutto slitterà a dopo il ponte del primo maggio: in quest’ultimo caso il governo potrebbe ricorrere al contingentamento dei tempi e limitare l’ostruzionismo. Ma la battaglia si giocherà tutta nel voto finale sul testo a scrutinio segreto: per regolamento non può essere posta la fiducia.