Da vari anni studiamo, non solo a tavolino ma anche con missioni scientifiche in altura, l’idrologia nepalese e pakistana delle alte montagne. In quell’area, assai sensibile all’evoluzione del clima, gli scenari dei modelli climatici sono incerti a causa della complessa orografia e della difficoltà di verificare i risultati con dati realistici sui processi fisici al suolo. Non è solo una questione scientifica, perché la vita di un miliardo e duecentomila persone dipende dalle Torri d’Acqua dell’Asia, Himalaya e Karakorum. E bisogna prepararle ad aumentare la resilienza dei sistemi idrici.
A un potenziale, futuro disastro idrologico si è contrapposta la durissima realtà del 25 aprile 2015: il terremoto. Il sisma nepalese di Gorkha, d’intensità Mercalli modificata del IX grado e valutato in magnitudo 7,8 dal Servizio Geologico degli Stati Uniti (Usgs), ha provocato migliaia di morti. Sismologi e ingegneri sperano che possa portare a una migliore comprensione della sismicità della regione. E soprattutto far capire che solo una maggiore resilienza può salvare migliaia di vite umane.
Secondo Usgs il sisma produce ulteriori rischi, tra cui scosse di assestamento, frane, valanghe e altri fenomeni indotti. Le stime più aggiornate danno un’elevata probabilità che in questa settimana ci possano essere aftershocks di magnitudo superiore a 5, e del 14% che ce ne siano superiori a 6. Dell’ordine della scossa più forte (6,3) che ha distrutto L’Aquila.
Per quanto l’evento sia stato di enorme gravità, Cecily Wolfe di Usgs ha osservato che «questa è una delle regioni più attive del mondo. Questo tipo di terremoto è del tutto coerente con ciò che sappiamo circa il rischio sismico nella regione; e non è inatteso.» Anche perché la placca Indiana continua a immergersi sotto la placca eurasiatica a una velocità di circa 5 centimetri all’anno. Wolfe ha anche aggiunto: «Non è il terremoto che uccide le persone. È la risposta degli edifici e delle infrastrutture. E questa è una regione con una popolazione numerosa e con molte infrastrutture costruite male.»
D’altra parte, si sapeva da decenni che Kathmandu è ad alto rischio, almeno da quando il grande terremoto del 1934 (magnitudo 8,0) aveva fatto più di 10 mila vittime e distrutto, tra l’altro, la Torre Dharahara costruita nel 1832. James Jackson (Università di Cambridge e Terremoti senza Frontiere) apprezza i tentativi di Nset (Nepal’s National Society for Earthquake Technology) per aumentare la percezione del rischio sismico e ridurne l’impatto con il retrofitting di scuole e ospedali, la formazione dei muratori e l’educazione delle comunità. Osserva però che «i buoni leader e gli enti come Nset e Bsdma hanno grandi difficoltà nel convincere la gente a investire per ridurre un rischio sismico che sembra remoto, poiché ha il sopravvento l’assillo quotidiano della vita urbana che, in Asia, pone questioni molto più pressanti, come l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, il traffico, e più semplicemente la povertà.»
Se per conoscere gli eventi estremi della natura il primo passo è la statistica, come abbiamo scritto anni fa, la consapevolezza è la via maestra per mitigarne l’impatto, come ha dichiarato Harsh Gupta (Geological Society of India) con grande chiarezza: «Il modo migliore per proteggersi dai terremoti è quello di preparare il pubblico e l’amministrazione civile.»