Una fiaba horror magniloquente per immagini e sintetica per narrazione. Il Racconto dei Racconti è servito e, alla vigilia della presentazione a Cannes contestuale all’uscita in oltre 400 sale il 14 maggio, Matteo Garrone può finalmente concedersi un sorriso. Per lui l’impresa del “film impossibile” è compiuta, specie nel ruolo di produttore che – nonostante il suo curriculum e la coproduzione solida di Rai Cinema, Mibact, Francia e Inghilterra – non è riuscito ad ottenere da nessuna banca italiana i contanti necessari per iniziare le riprese “ho dovuto ricorrere a una banca francese e pagare a loro gli interessi”. Assurdo. Ma se il Malpaese non finisce mai di deluderci, a soddisfarci è invece l’arte cinematografica di questo cineasta romano, 47 anni e già un doppio Gran Prix a Cannes: prima con Gomorra (2008) e poi con Reality (2012).
Nello splendore del genere fantasy Matteo Garrone risponde alla domanda fondamentale, ovvero se sarebbe riuscito a rimanere riconoscibile, all’interno di un dispositivo di genere assai codificato e in ogni caso diverso dal suo cinema finora apprezzato. Ebbene, ne Il Racconto dei Racconti c’è molto del miglior Garrone. E fin dall’apertura in soggettiva di un clown nell’assolata piazza pugliese densa di carri, cavalli, miserabili e lama (gli animali..) percepiamo echi dal magnifico incipit di Reality: la camminata alla scoperta di un mistero accompagnata da un commento musicale in crescendo.
Matrice partenopea desunta dalla fonte letteraria (Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile) mescolata con sapienza alla tradizione anglosassone della fiaba-visionaria, il tutto filtrato dalla pittoricità plastica di Garrone: “La linea guida che mi sono imposto era di trovare location reali che sembrassero ricostruite in studio. Il lavoro sulla mescolanza tra realismo e dimensione fantastica per me restituisce il legame fortissimo con le origini del cinema stesso, in cui senti l’artificio ma le cui immagini possiedono e trattengono una loro verità”, spiega Matteo alla conferenza stampa romana del film. Un’opera che ha volontariamente creato con “l’ambizione di rivolgersi al pubblico”, al punto da dichiarare che “mi interessa di più vada bene nelle sale che non al festival di Cannes”.
D’altra parte Garrone vi ha rischiato di sua tasca, frustrandosi anche quella sua tipicità/privilegio di girare in sequenza: “con attori che prendono l’ira di Dio come Salma Hayek e Vincent Cassel non ti puoi permettere di tenerli fermi dei giorni…”. Il budget è alto (12 milioni di euro) e il regista/produttore ha messo il suo compenso (più o meno del 15% del budget) interamente nel film: insomma Il Racconto dei Racconti era una scommessa anche personale oltre che professionale. Se normalmente Garrone parte dalla realtà per innalzarsi alla magia, in quest’occasione il processo è stato (felicemente) all’inverso: “Credo questo film fosse il naturale sviluppo del mio percorso artistico. Io vengo dalla pittura e il fantasy mi è affine, così come la cifra tragi-comica di Basile è vicina alla mia poetica e al mio gusto. Chissà, potremmo definire L’imbalsamatore un racconto di Basile in chiave moderna”.
Il pensiero di girarlo in dialetto napoletano non è rimasta estranea a Garrone e ai suoi tre sceneggiatori (Albinati, Chiti e Gaudioso) ma “volevamo evitare localismi, e in ogni caso sarebbe stata una traduzione dal napoletano del ‘600”. Degli almeno 50 racconti della fonte, il film ne filtra tre, con beneficio d’invenzione ma tutti – casualmente – al femminile. “Certo, Lo cunto de li cunti coi suoi 50 episodi sarebbe perfetto per una serie tv (Matteo ha trovato ispirazione anche dal Trono di spade, ndr), vedremo se si presenterà l’occasione”.
Nel frattempo il godimento visivo è tutto per questa pellicola, straordinariamente fotografata da Peter Suschitzky dentro a un apparato artigianal-tecnologico di assoluto valore. Con il lodevole scenografo Dimitri Capuani, Garrone ha scelto di creare fisicamente i mostri e le varie creature, e non di generarli per CGI, una sfida non da tutti oggi. La pasta pittorica della materia è palpabile, ogni dettaglio si genera da attenzione minuziosa e maniacale. Se il Desiderio dei personaggi è una delle chiavi guida a muovere le trame del film, le trasformazioni dei loro corpi sono una delle più vivide ossessioni di Garrone, e nulla meglio di un fantasy “carnale” come questo poteva prestarsi a sfogarla. Numerose le ispirazioni visive, desunte tanto dal passato quanto dal presente: dai Capricci del Goya “macabro e ironico come Basile” al cinema di Mario Bava, dall’Armata Brancaleone di Monicelli al Pinocchio di Comencini fino – appunto – al contemporaneo e assai cool Trono di Spade passando per un non dichiarato (ma a noi evidente e parecchio) David Cronenberg. Ora attendiamo le reazioni dalla critica e dal pubblico da Cannes nonché dall’uscita in sala, ma è già chiaro che questa sorta di “Morality Tales” superlativamente girate segnano un passo fondamentale nella carriera artistica, professionale e personale di Matteo Garrone, che si conferma uno dei grandi talenti del cinema internazionale.
Il trailer de Il Racconto dei raconti