Dopo il 24 aprile e il 5 maggio – giornate di sciopero sulla scuola – il 12 maggio (giorno, come si dice usando l’orrido termine medicale, della” somministrazione” dei test Invalsi al secondo anno delle superiori) la scuola ha voluto ribadire il proprio no secco alle prove Invalsi e, più in generale, al ddl “Buona Scuola”. Lo ha fatto nella modalità tradizionale (Cobas ha indetto per l’intera giornata; hanno aderito Unicobas, Autoconvocati, Usi, Asa) e in una destinata a far discutere, ma che certamente ha riscosso un consenso significativo tra lavoratori dello Stato spesso provati, con un contratto fermo a 6 anni e che non promette di essere rinnovato, da 2 giornate di sciopero nel giro di 2 settimane.
Chi non ha potuto permettersi il terzo giorno di astensione, ha potuto sfruttare lo sciopero breve di mansione, previsto ieri da una circolare del Miur che ne ha confermato indizione e legittimità da parte dell’Usb. Di cosa si è trattato? Di uno sciopero che ha consentito l’astensione esclusivamente delle attività relative alla “somministrazione” e alla correzione de Test Invalsi; lo sciopero, dunque, “della prima ora del turno antimeridiano qualora si tratti solo della somministrazione e anche/oppure dell’ultima ora del turno pomeridiano, qualora si tratti della correzione. Risultato: il docente svolge il suo normale orario di servizio ribadendo in maniera inequivocabile il principio della libertà di insegnamento.
Questa mattina i miei studenti di II classe alla prima ora hanno svolto con me una lezione di Cittadinanza e Costituzione, durante la quale ho spiegato loro perché – essendo in sciopero – non gli avrei distribuito i test Invalsi di matematica e per quale motivo considero il ddl scuola di Renzi inemendabile e sono disposta a continuare la mia battaglia affinché la “riforma” non passi. I miei studenti sono perfettamente al corrente di cosa sia il ddl scuola: lo abbiamo analizzato approfonditamente, ne abbiamo discusso ai tempi della circolare di De Angelis che chiedeva alle scuole di analizzare il documento in pdf “La Buona Scuola”, ne abbiamo comparato i contenuti con quelli della Lipscuola; ai tempi – cioè – del falso ascolto, coadiuvato dal sondaggio online pilotato.
Oggi abbiamo avuto l’occasione di soffermarci sul tema della libertà di insegnamento, normata dal I comma dell’art. 33 della Costituzione: si tratta innanzitutto di una libertà positiva, cioè di partecipazione al governo della scuola senza alcuna forma di condizionamento. Che si esplica in due forme: libertà nella partecipazione negli organi collegiali e libertà professionale, nell’ambito delle quali si configura una sfera di autonomia tecnico professionale che rientra nella competenza specifica del singolo docente. Vale a dire: fatti salvi i principi dell’ordinamento statale e giuridico e delle decisioni degli organi collegiali, rimane al docente – come a qualsiasi professionista – una sfera di autonomia e valutazione tecnica di cui è ovviamente responsabile, e che spetta e deve spettare esclusivamente a lui. La decisione collettiva (in seno agli organi collegiali) è poi la sintesi dell’espressione della libertà individuale di tutti. L’esercizio della funzione docente, fino a quando rimane tale e non diventerà totalmente “prestazione di lavoro subordinato” ed esecutivo-burocratica, rientra nell’autonomia professionale del docente e come tale è garantita dalla Costituzione.
Una intensa lezione di Cittadinanza e Costituzione al posto della somministrazione dei quiz Invalsi, al costo di 17 euro (tanto mi sarà trattenuto dalla busta paga per un’ora di sciopero). I ragazzi non hanno avuto alcuna difficoltà di capire. Hanno persino compreso che si tratta di una minaccia anche per loro, perché tale principio garantisce il loro diritto all’apprendimento, al pensiero divergente, la sapere critico-analitico, alla laicità. Temo – leggendo il testo del ddl che la Commissione Cultura ha licenziato – che il governo sia, invece, ottuso, autoreferenziale, cieco. Tra le proposte indecenti del disegno di legge, in alcuni casi persino peggiorative dopo il passaggio a tempi di record in Commissione, con la ghigliottina sugli emendamenti, c’è proprio la repressione e la rimozione del principio della libertà di insegnamento. Urlano a gran voce che non è così. Ma leggete il testo. O chiedetelo al dirigente uomo unico al comando.
Dopo il 24 aprile e la prova straordinaria del 5 maggio, il più grande sciopero della storia della scuola italiana, aspettiamo i dati per capire se anche il 12 maggio sarà una giornata da ricordare. Ci sono segni incoraggianti perché lo sia. E non perché la scuola – come ha detto offensivamente Boschi – è in mano ai sindacati. Ma perché la scuola ha cari i principi che la governano e che l’hanno resa uno dei rari presidi di democrazia in questo paese dalle facili infatuazioni e dalla scarsa memoria.