L’Italia è fuori dalla recessione. Nel primo trimestre 2015 il prodotto interno lordo è tornato a crescere, con un aumento dello 0,3% rispetto all’ultimo trimestre del 2014, mettendo fine alla fase di declino più lunga dal Dopoguerra. A comunicarlo è stato l’Istat nelle sue stime preliminari, confermando così quanto anticipato in audizione al Senato, lo scorso 21 aprile, dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il risultato, per quanto modesto, è superiore alle attese degli analisti e il più corposo da inizio 2011. Nei primi tre mesi di quell’anno, infatti, il pil era aumentato dello 0,4%. A dire il vero anche nel terzo trimestre del 2013 l’economia italiana era risultata in crescita, ma solo di un flebile +0,1%. E nei mesi successivi il dato era tornato negativo.
In valore assoluto, il pil nel corso del trimestre è salito di 385 miliardi di euro. La crescita congiunturale messa nero su bianco dall’Istat èuguale a quella registrata dalla Germania, ma inferiore ai dati di Francia (+0,6%) e Spagna (+0,9%). A spingere il pil è stato un aumento del valore aggiunto nei comparti dell’agricoltura e dell’industria, mentre il settore dei servizi è rimasto stagnante. Dal lato della domanda, il contributo positivo di quella interna controbilancia l’apporto negativo della domanda estera netta. Brutto segnale: significa che le esportazioni tirano meno che in passato. Su base annua, cioè rispetto al primo trimestre 2014, la variazione del prodotto rimane però nulla. Secondo l’istituto di statistica, la “variazione acquisita” del prodotto per il 2015, vale a dire la crescita che si registrerebbe se di qui a fine anno nulla cambiasse, è dello 0,2%.
Sulle stime di crescita fatte dal governo per il 2015 potrebbe rendersi necessario un aggiornamento alla luce della sentenza della Corte costituzionale sul blocco della rivalutazione delle pensioni. Nei prossimi giorni, probabilmente entro metà della prossima settimana, l’esecutivo interverrà con un decreto ad hoc, che stando alle anticipazioni darà il via libera a rimborsi limitati e a scalare al crescere dell’assegno, proprio con l’obiettivo di limitare l’impatto sui conti pubblici. Ma con il rischio di aprire in futuro la strada a nuovi ricorsi.
Il dato sul pil arriva mentre a Roma è in corso una delle missioni annuali del Fondo monetario internazionale, incentrata stavolta come era prevedibile proprio sul tema dei conti previdenziali. Gli ispettori di Washington devono decidere se, alla luce delle famose “riforme strutturali” messe in campo dal governo, rivedere al rialzo le loro stime di crescita. Che per ora si limitano a un aumento del Pil dello 0,5 per cento quest’anno e dell’1,1% nel 2016. Sempre mercoledì, poi, la Commissione europea ha diffuso le sue raccomandazioni specifiche per la Penisola. Con cui Roma è stata avvertita che l’accesso alla nuova flessibilità sui conti pubblici è garantito solo a patto che siano confermati gli obiettivi di riduzione del deficit strutturale di bilancio. Vale a dire che l’Italia dovrà riuscire a limitare quest’anno il rapporto deficit/pil al 2,6%. In caso contrario, addio alla possibilità di invocare per il 2016 la “clausola delle riforme” per ridurre il deficit strutturale solo dello 0,1% del pil invece che dello 0,5% previsto dai trattati. Quindi Palazzo Chigi e via XX Settembre dovranno giocoforza trovare le risorse per restituire le mancate rivalutazioni senza aumentare il deficit pubblico.
Modificato da redazione web alle 21.45 del 13 maggio 2015