Dal 7 marzo 2015, le prime disposizioni del Jobs Act sono ufficialmente entrate in vigore. Inoltre sono già al vaglio quelle relative alle tipologie contrattuali e al cosiddetto demansionamento che, se combinate con quella sul contratto a tutele crescenti, metteranno a repentaglio prerogative e tutele del lavoratore, scatenando conseguenze deflagranti. E’ in fase di varo la norma che prevede a tutti gli effetti “il demansionamento facile”, ipotesi che è e sarà applicabile a tutti i rapporti di lavoro, senza alcuna distinzione. Se non si accetterà (e di buon grado) il demansionamento, il rischio sarà quello di perdere il lavoro.
Ma vediamo nel dettaglio la situazione. L’articolo 2103 del Codice Civile, nella formulazione (ancora per poco) in vigore, tutela il lavoratore e nello specifico la sua professionalità. La norma, infatti, prevede la tutela della professionalità come espressione del lavoro dell’individuo e della sua personalità. Ad esempio, a un responsabile di produzione, capo reparto in un negozio o IT manager, fino ad ora tutto poteva succedere fuorché di ritrovarsi a svolgere mansioni quali l’addetto alla produzione, commesso, centralinista e così via.
Certo, ci sono stati casi in cui i giudici hanno consentito accordi di dequalificazione come alternativa al licenziamento, e in altre circostanze le aziende hanno raggiunto accordi validati in sedi protette (come sindacati o altro), ma si è trattato pur sempre di casi eccezionali, in presenza di una norma che non consente l’impoverimento del lavoratore, del suo bagaglio di conoscenze, competenze, contatti ed esperienze.
Nella nuova disposizione, in via di approvazione, invece, troviamo un deterioramento delle tutele del lavoratore, per decisione unilaterale del datore di lavoro e in presenza di un semplice riassetto dell’azienda. In altre parole, l’azienda potrà decidere autonomamente di collocare il lavoratore su un gradino più basso, se ritiene che il suo ruolo non serva più o che occorrano competenze che lui non possiede. Scenderà anche di un gradino in tutti i casi in cui i contratti aziendali lo prevederanno come ad esempio particolari esigenze di produzione, commerciali, o altro (anche se le organizzazioni, certamente, porranno parecchie barriere all’abuso di simili pratiche).
In teoria, è previsto che il lavoratore riceva adeguata formazione al momento del cambio di ruolo. Ma che succede se l’azienda decide di non rispettare questo obbligo? Niente.
Un contesto pericoloso, quindi, in cui il lavoratore potrà essere impiegato in mansioni completamente diverse dalla proprie, pur conservando lo stesso livello formale, ma a discapito di conoscenze e competenze acquisite negli anni, base della propria forza e potere contrattuale.
Ma non finisce qui. L’azienda potrà definire in sedi “protette” (Direzione territoriale del lavoro, eccetera) accordi individuali che modificheranno mansioni e retribuzione dei lavoratori, sì nel tentativo di salvaguardare il posto di lavoro dei dipendenti, ma di fatto per procedere a dequalificazioni incontrollate.
Il rischio? Che il lavoratore si trovi a vivere una discesa professionale anche di svariati livelli, con relativa sforbiciata a retribuzione, orario di lavoro, eccetera. Con l’aggravante che, per salire di grado o livello, il lavoratore, invece, dovrà ricoprire la mansione corrispondente per almeno sei mesi, e non più tre.
In questo scenario fortemente compromesso, occorre orientarsi per capire quali strumenti hanno i lavoratori per tutelarsi dal rischio non solo di perdere il lavoro, ma anche di perdere professionalità e dunque, in prospettiva, la possibilità di un miglioramento delle proprie condizioni, anche in altra realtà lavorativa (italiana o estera). Eventuali discriminazioni da parte dell’azienda continueranno a essere vietate e considerate illecite, consentendo al lavoratore di esercitare il diritto a rioccupare la posizione lavorativa precedente e a richiedere il risarcimento per i danni subiti.
Demansionare per ragioni discriminatorie, marginalizzare totalmente, demansionare per ritorsione. Queste e numerose altre condotte saranno sempre e comunque censurabili. La raccomandazione per i lavoratori è di creare una buona rete di contatti sia interni che esterni all’azienda (sindacato, avvocati giuslavoristi, ecc.) per poter intervenire tempestivamente, segnalare, denunciare o semplicemente far verificare tali condotte, che compromettono non solo la professionalità, ma anche la salute e la vita dei lavoratori in quanto persone.
Di Annalisa Rosiello e Tatiana Biagioni