A Torino, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella partecipa, da ospite d’onore, a un incontro pubblico organizzato dal Sermig, il Servizio missionario giovani. Uno dei ragazzi dalla platea pone al capo dello Stato una domanda sul dilagare della corruzione nel Paese. E Mattarella risponde. Mettendoci il carico: “E’ vero, c’è una corruzione che vediamo diffusa come se ci fosse una sorta di concezione rapinatoria della vita” dice, sottolineando che questi fenomeni “fanno indignare”. Il presidente, poi, fa un appello: “Ognuno cominci a riflettere su se stesso” sostiene il capo dello Stato, secondo cui è fondamentale guardare a se stessi e capire quali sono gli errori che si fanno nel quotidiano, perché troppo spesso si punta il dito su ciò che fanno gli altri senza accorgersi che si ha lo stesso comportamento.
“I corruttori – continua – sono i peggiori peccatori, lo ha scritto Papa Francesco (che a Scampia si è scagliato contro il fenomeno, che “spuzza” e non è “da cristiano, ndr) prima di diventare arcivescovo di Buenos Aires. Parole di fuoco che condivido” aggiunge, prima di parlare del rapporto tra politica e corruzione. Che, insieme al potere fine a se stesso, “sono conseguenza di una caduta della politica. Di un suo impoverimento. I giovani si allontanano e perdono fiducia perché la politica, spesso, si inaridisce. Perde il legame con i suoi fini oppure perde il coraggio di indicarli chiaramente“. Non solo. Per il capo dello Stato, “deve essere chiaro che la politica è anche concretezza. Senza la capacità di affrontare i problemi di oggi non sarebbe capita. Il presente è una prova di umiltà per la politica perché la costringe a tradurre i principi in scelte concrete”.
Mattarella sollecita poi i ragazzi a non rinunciare “ai vostri ideali di umanità e giustizia” e soprattutto a “non ascoltare le sirene che cantano il denaro come misura unica del successo personale“. Una strada sulla quale “vi è il rischio di essere disposti perfino a tollerare i traffici illegali di rifiuti, di armi, perfino di esseri umani. Il vero successo – dice – è costruire un mondo di pace e di giustizia“.
Invita i giovani anche ad avere coraggio. Ad essere liberi, senza avere “paura di dire qualcosa di scomodo, fuori dal coro, o apparentemente impossibile, quando gridate e cantate per la fratellanza tra gli uomini, per la pace”. La libertà individuale, poi, inizia da quella della coscienza. Definisce l’omologazione “una prigione, anche quando ha le sembianze seducenti della moda del momento”. E conclude: “La vostra prova di concretezza mentre discutete e lottate per un mondo più giusto sta nel partire da voi stessi. Ciò che chiediamo agli altri, ciò che prendiamo dalla comunità, dobbiamo essere capaci di realizzarlo nella vostra vita, a partire dalle persone che vi sono vicine”.