“I miliziani dello Stato Islamico sono alle porte dell’antica città di Palmira”, in Siria. La notizia, diffusa dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, riporta solo l’ultima di una serie di risultati che gli islamisti hanno ottenuto ai danni delle truppe governative che, ormai da mesi, perdono terreno mettendo a rischio la sopravvivenza del regime di Bashar al-Assad.
Miliziani a Palmira, 240 km a sud di Damasco
La vicinanza degli scontri al sito archeologico siriano fa tornare alla mente le distruzioni perpetrate dagli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi in Iraq, quando a cadere sotto i colpi e le ruspe dei jihadisti sono stati reperti e siti archeologici di grande importanza come Nimrud e Hatra. Lo Stato Islamico, riporta l’Osservatorio, è riuscito ad arrivare alle porte della città dopo un’avanzata incessante nel deserto, durante la quale ha conseguito numerose vittorie ai danni degli uomini di Assad che, su diversi fronti, sembrano non avere più la forza e le risorse per respingere i ribelli.
Persa Idlib, Isis e Al Nusra alleate a Yarmouk
Persa Idlib, storica roccaforte governativa a nord-ovest del Paese, con gli jihadisti coalizzati alle porte di Damasco e le truppe dimezzate e formate per metà da volontari con nessun addestramento, l’estate sarà il momento più difficile per il governo di Assad che, nei prossimi mesi, rischia di doversi piegare alla forza militare dei ribelli. Il regime è in difficoltà e i miliziani islamisti vogliono sfruttare il momento di debolezza per infliggere il colpo fatale a Bashar al-Assad. Anche per questo, i miliziani di Isis e del Fronte al-Nusra, le due principali formazioni jihadiste presenti nel Paese, hanno dato vita a una coalizione a livello locale nella battaglia del campo profughi di Yarmouk, alla periferia della capitale. Un accordo, quello tra gli uomini di al-Baghdadi e quelli di Abu Mohammad al-Julani, che mette da parte la rivalità tra i vertici dei due movimenti terroristici, sfruttando le frizioni tra il leader di Jabhat al-Nusra e il capo di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, in nome di un obiettivo comune: far cadere Assad.
Esercito dimezzato: da 250mila a 125mila uomini
Ciò che porta numerosi analisti a pensare a una possibile sconfitta per il regime è anche la manifesta incapacità di gestire alcuni territori da sempre in mano alle forze filo-governative. Con un esercito formato da 125mila uomini, contro i 250mila dell’inizio del conflitto, e altri 125mila volontari mal addestrati, Damasco ha dovuto lasciare anche tutta la zona costiera in mano alle milizie sciite alleate di Hezbollah che, adesso, ne detengono il controllo. Tutta l’area, obiettivo dichiarato delle forze jihadiste che stanno avanzando verso ovest, è adesso in mano ai combattenti del Partito di Dio libanese che in quei territori dirigono le operazioni belliche e hanno installato anche un centro di reclutamento nella città costiera di Latakia, per volontari che vogliono sostenere la causa del governo siriano a fianco degli uomini di Hassan Nasrallah. Proprio reclutare nuovi soldati da mandare a combattere contro le milizie ribelli è una delle difficoltà maggiori del governo di Damasco. Le numerose perdite dovrebbero essere compensate da nuovi militari pronti a combattere, ma la popolazione sta sempre più perdendo fiducia nel proprio presidente e sempre più famiglie mandano i propri figli fuori dal Paese per evitare che vengano inviati al fronte.
Riyad risponde al riavvicinamento Washington-Teheran
Una situazione di difficoltà quella in cui versa in regime siriano, che aumenterebbe se fossero confermate le voci, prontamente respinte da Ankara, di un accordo tra Arabia Saudita e Turchia per sostenere i ribelli islamisti anti-Assad di Jaish al-Fatah, legati alla costola qaedista di Jabhat al-Nusra, con soldi e armi forniti direttamente dalla monarchia del Golfo. Il nuovo corso saudita sembra una risposta alla politica perseguita negli ultimi mesi dagli Usa, che attraverso un possibile accordo sul programma nucleare iraniano stanno lavorando ad un riavvicinamento a Teheran contro il jihadismo sunnita nella regione, in particolare quello di Isis. La mossa di Riyad, infatti, ha lo scopo di modificare nuovamente gli equilibri in Medio Oriente che, negli ultimi mesi, si sono spostati nettamente dalla parte di Teheran e dell’asse sciita, grazie agli accordi sul nucleare tra Iran e “5+1”, e l’avanzata dei ribelli Houthi, sostenuti proprio da Teheran, in Yemen. Un patto come quello tra Ankara e Riyad è destinato a suscitare allarme a Washington, perchè rafforzerà ancora più i gruppi armati islamici in Siria, tra i quali c’è anche il Fronte al Nusra, mentre gli Stati Uniti sono impegnati da mesi in attività di addestramento di unità dei cosiddetti “ribelli moderati” nella stessa Turchia e in Giordania.
Addestramento Usa ed esplosivi per i ribelli anti Assad
Voci su una imminente mossa di Ankara per cercare di dare una svolta al conflitto siriano erano circolate già nelle scorse settimane. Prima era stata diffusa la notizia che i militari del presidente Recep Tayyip Erdoğan stessero per sconfinare in territorio siriano per dare appoggio ai ribelli in funzione anti Assad. Voce poi smentita dallo stesso governo turco che ha confermato, così, la sua idea di non voler diventare parte attiva nel conflitto contro il presidente alawita. Negli ultimi giorni, poi, il New York Times ha scritto di un gran traffico di camion carichi di fertilizzanti usati per la fabbricazione di ordigni esplosivi. I mezzi sarebbero partiti da territorio turco per rifornire i jihadisti di Isis a Tal Abyad, cittadina siriana in mano agli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi da circa un anno. Il sostegno ai miliziani che portano avanti la rivolta contro il governo siriano, però, è già iniziato per mano degli Stati Uniti. Dopo l’annuncio di Barack Obama di voler addestrare i cosiddetti ribelli “moderati” del Free Syrian Army, 350 militari Usa hanno iniziato da qualche giorno, a nord di Amman, la capitale della Giordania, il training per circa 400 siriani, sui 4mila che si sono resi disponibili.
Twitter: @GianniRosini