La coppa Italia, dopo lo scudetto. La Juventus è a novanta minuti dal triplete. Dopo la passeggiata in campionato anche per l’ammutinamento delle concorrenti, i bianconeri conquistano il secondo titolo stagionale. E se il tricolore ha preso casa a Torino da quattro anni, la coppa – decimo trofeo, record assoluto – mancava da vent’anni. L’ultima volta fu nel 1994/95. All’epoca come oggi la squadra allenata da Marcello Lippi, anche lui all’esordio con la Vecchia Signora come Allegri, vinse la A prima di arenarsi in finale di Uefa. Il 6 giugno a Berlino la Juve tenterà di percorrere anche l’ultimo tratto e completare il tris che in Italia è riuscito solo all’Inter nel 2010. Ha dovuto sudare all’Olimpico, senza gli squalificati Marchisio e Morata. È andata sotto e si è rialzata, aspettando sorniona l’occasione buona per stendere una Lazio che fino al 96esimo non si era mai ritrovata in svantaggio durante tutto il suo percorso in Coppa Italia, iniziato al terzo turno contro il Bassano. I biancocelesti hanno provato a sparigliare le carte già prima del fischio d’inizio.
Botta e risposta, poi calma piatta
La sorpresa che non ti aspetti la presenta Pioli, che cambia tattica. Il tecnico dispone i suoi con un inedito 3-4-3. Modulo aggressivo, pressione alta e Juventus colpita a freddo. Al primo affondo Radu stacca di testa tra Pirlo e Pogba su un calcio di punizione e buca Storari segnando il suo primo gol in biancoceleste. Complice la panchina di Mauri, lo fa da capitano inaugurando il festival di chi indossa la fascia che viene completato da Chiellini appena sei minuti più tardi. Tanto impiega il difensore azzurro ad annullare il vantaggio con un’acrobazia sugli sviluppi di un altro calcio piazzato battuto da Pirlo e corretto da Vidal. All’avvio con il botto non seguono i fuochi d’artificio. Si gioca molto a centrocampo, le uniche occasioni nascono da disattenzioni ed errori. La Lazio chiude male un contropiede nel cuore del primo tempo, poi un erroraccio di Pogba – che fa fatica a trovare il ritmo partita – diventa un assist per Parolo ma la sventola dell’ex Parma sfiora appena il palo. C’è poca Juve, stretta tra i quattro di centrocampo della Lazio, pronta ad abbassarsi con cinque uomini in difesa quando i bianconeri provano ad avanzare. E così non riescono mai a impensierire Berisha, che un brivido se lo procura da solo ritardando un rinvio sulla pressione di Tevez. Non è l’unico appoggio difensivo sulla quale la difesa biancoceleste si complica la vita, ma la Juventus è stranamente compassionevole.
Traguardo volante verso il triplete
Le occasioni scarseggiano su entrambi i fronti, nonostante Allegri e Pioli cambino tutto, attacchi compresi, per trovare forze fresche capaci di rompere l’equilibrio. E quando si aprono varchi comunque ci sono errori o grandi giocate difensive. La Juventus è esemplare nel contenere il contropiede tre contro tre costringendo Felipe Anderson a infilarsi nell’imbuto Barzagli-Bonucci-Chiellini. Le percussioni di Pereyra e un paio di giochi del brasiliano restano le cose più pregiate del secondo tempo assieme a un lampo di Pirlo che manda in gol Matri in posizione valutata però irregolare da Orsato. L’intensità è alta, i pericoli bassi. Ci sono più muscoli che altro anche quando le squadre si sfilacciano con il passare dei minuti. Ci vogliono i supplementari. Dove non arrivano gli errori, ci pensano i pali a mantenere l’equilibrio: Djordjevic inventa una sventola che è imprendibile per Storari ma si stampa su entrambe le basi della porta. L’attaccante serbo era stata l’opzione a partita in corso di Pioli, alla quale Allegri aveva risposto con l’inserimento di Matri. Mossa decisamente più fortunata, visto che appena due minuti dopo il flipper biancoceleste l’ex attaccante di Genoa e Milan impallina Berisha (non perfetto). Ribaltone e vittoria. La Lazio ha meno benzina dei campioni d’Italia (da vedere e rivedere il rientro di Tevez sulla partenza di Felipe Anderson) che inseriscono il pilota automatico e tagliano il secondo traguardo stagionale. Nel ciclismo si chiamerebbe ‘volante’. Sotto quello finale, a Berlino, c’è scritto triplete. Ora è possibile.