Che la gestione diretta di Alitalia da parte dello Stato, i salvataggi con soldi pubblici e gli anni di ricca cassa integrazione per i dipendenti fossero costati miliardi agli italiani era noto. Ma ora l’area studi e ricerche di Mediobanca ha calcolato la cifra nel dettaglio. Arrivando alla conclusione che “l’onere complessivo a carico del settore pubblico e della collettività” che si è accumulato tra 1974 e 2014, quando la compagnia è finita tra le braccia dell’emiratina Etihad, “stimabile in circa 7,4 miliardi di euro“.
In particolare tra 1974 e 2007, l’ultimo anno di gestione ordinaria, il saldo tra esborsi statali (aumenti di capitale e contributi pubblici) e introiti è stato di 3,3 miliardi. All’epoca la società era controllata dallo Stato, prima tramite l’Iri e poi direttamente attraverso il Tesoro, che nel 2002 è salito al 62,4%. Da metà anni Novanta i risultati netti sono stati sempre negativi. “Dal 1996, anno della prima perdita monstre di 625 milioni, il saldo negativo è stato pari a 3,9 miliardi”, scrivono gli analisti dell’Area studi. “Dei 34 anni esaminati, 20 hanno chiuso in deficit, sommando una perdita pari a 5,1 miliardi di euro“. Rettificando i dati al valore monetario del 2014, poi, il totale delle perdite sale a circa 6,1 miliardi. Quanto agli introiti, quello più sostanzioso per l’azionista pubblico è stato rappresentato dal ricavato della vendita di azioni (la prima tranche è stata collocata sul mercato nel 1985), seguito dalle imposte pagate da Alitalia. Per un totale di circa 2 miliardi ai valori correnti.
Arriviamo poi agli anni dell’amministrazione straordinaria, partita nel 2008 dopo lo scorporo della bad company e la svendita della parte sana della compagnia alla Compagnia aerea italiana (Cai) dei “capitani coraggiosi” guidati da Roberto Colaninno, per volere del governo Berlusconi che voleva sventare in nome dell’italianità l’acquisizione da parte di Air France. Parabola che come è noto si è conclusa lo scorso anno con il passaggio di mano a Alitalia-Sai, partecipata al 49% da Etihad. Questi sei anni sono costati “in via indicativa e approssimata” altri 4,1 miliardi. Un conto salatissimo le cui voci principali sono il prestito ponte di 300 milioni, il ripiano del passivo per oltre 1,1 miliardi, l’erogazione per quattro anni al personale della cigs a zero ore integrata per portare gli assegni all’80% della retribuzione e per i successivi tre anni del trattamento di mobilità. Senza dimenticare il versamento di 75 milioni da parte di Poste italiane. E l’analisi di Piazzetta Cuccia non tiene conto del fatto che la scorsa estate il gruppo pubblico del recapito, per volere dell’allora ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, ha messo sul piatto altri 75 milioni a titolo di aumento di capitale.