Il fascicolo del gabinetto del ministero dell’Interno contenente un appunto riservato scomparso dagli scaffali dell’Archivio centrale dello Stato è stato «smembrato». Lo rivela la relazione presentata il 20 maggio scorso dal consulente Angelo Allegrini alla commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro. Si tratta di un documento di estrema rilevanza. Perché potrebbe collegare due capitoli oscuri della storia italiana: il sequestro del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro e la vicenda Gladio, l’organizzazione paramilitare clandestina, articolazione dei nostri servizi segreti promossa dalla Nato e organizzata dalla Cia (la Central Intelligence Agency statunitense) per contrastare un’ipotetica invasione dell’Europa da parte dell’Unione Sovietica.
GLADIO MORTALE Il sospetto che si sta facendo largo tra gli scranni della commissione, che indaga sulla strage di Via Fani e sul rapimento dello statista Dc, è che dietro la scomparsa di quel documento ci sia un movente preciso: tenere nascosta l’identità di chi lo compose, ma anche quella della fonte che ne ispirò i contenuti, per impedire all’organismo parlamentare d’inchiesta di convocarla e scavare nella verità in esso contenuta. E cioè – è questa l’ipotesi che la commissione guidata da Giuseppe Fioroni vuole verificare – che almeno una parte delle munizioni utilizzate dal commando delle Brigate Rosse nella mattanza del 16 marzo 1978 provenisse proprio da un deposito “Nasco” dell’Italia settentrionale, uno degli arsenali segreti di armi ed esplosivi a disposizione di Gladio, le cui chiavi sarebbero state nelle mani di sole sei persone.
CACCIA ALL’ANONIMO Il giallo inizia sei mesi dopo il sequestro Moro. Quando, il 27 settembre 1978, l’appunto del Viminale, classificato “segretissimo”, viene redatto da un investigatore sulla base delle informazioni raccolte da una fonte confidenziale e firmato dall’allora capo della Digos di Roma, Domenico Spinella, e dal questore, Emanuele De Francesco. L’esistenza dell’appunto divenne pubblica solo nel 1999, quando il presidente della commissione Stragi, Giovanni Pellegrino, entrato in possesso di una copia del documento, si rivolse alla procura di Roma per identificare chi, tra gli uomini di Spinella, aveva redatto quell’appunto. Ma gli sforzi del magistrato Franco Ionta risultarono vani: Spinella, infatti, sentito dalla Digos, disse di ricordare l’appunto, ma non chi fosse il funzionario che lo aveva scritto aggiungendo che, comunque, era possibile «risalire all’estensore esaminando l’originale dell’appunto, nel quale dovrebbe evidenziarsi, se il tempo non l’ha cancellata, la sigla apposta in prossimità della mia firma». Un episodio che, oggi, assume grande rilevanza per il lavoro della commissione Moro. Perché dimostra non solo l’esistenza di una copia di quel documento, sebbene priva della sigla dell’autore, ma anche che la commissione Stragi ne era entrata in possesso alla fine degli anni ’90. Esiste anche una seconda copia, recuperata recentemente presso l’Archivio Flamigni, ma con vistose differenze rispetto a quella acquisita dalla commissione Pellegrino.
FASCICOLO SMEMBRATO Il fascicolo in questione, il 11001/145, conservato in una carpetta intestata “On. Moro”, rintracciata dal consulente della commissione, stando a quanto ha riferito lo stesso Fioroni, avrebbe potuto fornire informazioni rilevanti sulla provenienza di alcuni bossoli raccolti in via Fani. Questo fascicolo compare anche nell’inventario di quelli relativi agli anni 1976-1980 ed è menzionato, con lo stesso numero, anche in quello del quadriennio successivo, 1981-1985. Ma nelle buste che dovevano contenerlo non si trova. A parere dello stesso Archivio centrale dello Stato (Acs) non sarebbe mai stato acquisito. Il 20 maggio Allegrini ha depositato un’ulteriore relazione per informare l’organismo parlamentare d’inchiesta «che dall’esame degli inventari acquisiti si deduce che il fascicolo in questione è stato smembrato». Per questo la commissione ha chiesto informazioni, tra gli altri, al ministro dell’Interno Angelino Alfano e al sottosegretario con delega ai Servizi segreti, Marco Minniti.
INDAGINE SUL SISMI Mercoledì scorso, tornando sulla faccenda del fascicolo scomparso e delle anomalie che ruotano attorno all’appunto firmato da Spinella e De Francesco, il presidente Fioroni ha ribadito la centralità della questione: «Il fascicolo è di notevole rilevanza». Ma mentre continuano le ricerche del documento svanito nel nulla, le verità in esso contenute potrebbero essere svelate percorrendo un’altra strada. Da alcune settimane, infatti, la commissione ha promosso un’indagine a cui lavora il magistrato Gianfranco Donadio, che ha ricevuto dall’organismo parlamentare l’incarico di tornare ad indagare sul ruolo svolto nel sequestro dello statista della Dc dalla VII Divisione del Sismi (l’ex servizio segreto militare), quella che sovrintendeva proprio a Gladio. Al riguardo, il 14 maggio, proprio al fine di espletare possibili accertamenti sui bossoli rinvenuti in via Fani, lo stesso Donadio ha prospettato l’opportunità di due missioni a Genova e a Padova. Missioni approvate dalla stessacommissione.
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