Milano. Dici al tassista: “L’Expo” e lui dice subito “la Fiera”. Non intende disprezzo. Intende informarti del rapporto fra la sua città e l’evento mondiale. Milano di fiere ne ha tante, ma quando gli chiedi del suo lavoro per il grande evento, che il primo ministro Renzi ha indicato con largo gesto, in scherno ai gufi, e la frase “l’Italia ce l’ha fatta!”, il tassista ti dice subito: “Non c’è paragone con la Fiera del mobile”. Però ammette che “una sera d’estate ho promesso a mia moglie di portarla. Ho solo paura per le zanzare”. Quanto al resto della città, non c’è quasi rapporto fra Milano e il suo evento mondiale, salvo due infelici costruzioni di vetro e metallo che, in Piazza Cordusio, oscurano la vista bellissima del Castello Sforzesco per segnalare il terminale della Metro. Niente manifesti, niente striscioni, niente trovate urbane per celebrare l’indimenticabile e costosissimo semestre storico (“Milano, capitale del mondo”) come si fa per le mostre importanti a Palazzo Reale. Non un cartellone alla Stazione centrale.
Quanto alle strade che vanno a Roserio e agli altri tre quartieri della banlieue milanese occupati dalla Esposizione mondiale toccata all’Italia, i segnali sono pochi, piccoli, poco visibili, come in una non facile caccia al tesoro. Ma prima o poi arrivi e sbarchi nella esposizione del mondo, secondo l’Italia dell’epoca in cui stiamo vivendo. Ti appare (almeno entrando da Roserio) modesta, scombinata, onesta (ti dice subito che non ha autorità e non pretende di averne), piena di banchetti o piccoli locali “pro loco” che mettono in vista scogli, spiagge e mare, e di paninerie con il nome di intraprendenti ditte private, che non sono né una città, né regione né un prodotto né l’Italia né il mondo.
L’Expo mondiale ostenta qua e là un nazionalismo bonario e improvvisato (cavatappi e macchinette del caffè con il marchio “orgoglio italiano”, una mucca tricolore), e mostra un edificio in legno “per accoglienza Vip” (credevo che “Vip” ormai si dicesse per scherzo solo a Dagospia) che sembra un motel, con il balconcino tutto intorno, e una farmacia. E quasi subito sei di fronte a Palazzo Italia, probabilmente il più brutto nella storia dell’architettura, con un chiaro invito ai disabili a tenersi lontani perché dentro (dove non migliora) è tutto scale.
E certo, ci sono gli ascensori, ma con vista su niente. Però “brutto” non è il vero problema. Nonostante le spiegazioni sulle “radici, le ossa, la pelle e la presunta natura organica” della struttura, l’edificio Palazzo Italia una cosa confessa subito: non venite qui. Inutile venire. Qui non c’è traccia o memoria di alcuna civiltà del passato. E non c’è alcun tentativo di intravedere il futuro. Fate finta che sia la sede di una ditta in difficoltà che non sa decidere sul “chi siamo e cosa vogliamo”. Palazzo Italia fronteggia un povero “albero della vita” che non può essere e non sarà mai simbolo o memoria di niente. Per fortuna è circondato da un fiume di allegria. Infatti, in una cosa questa impresa, non finita e senza alcun criterio di orientamento e di guida, è riuscita: attrarre e divertire bambini e studenti fin quasi all’età del diploma.
Un mare di ragazzi di tutte le scuole possibili, e un buon umore a cui persino i teenager partecipano (impresa quasi impossibile) la constati e te la ricordi. Primo, a causa delle seggioline a trottola disegnate e distribuite da un genio fra il brutto palazzo e il povero albero. Secondo, perché l’Expo ha tanti difetti e tanti vuoti, ma non suggerisce autorità o potere o comando, e in questo senso è accogliente. E, terzo, per la trovata di far scorrere acqua (laghetto, fiume, torrente) dappertutto, creando un senso di isola che, in sé, porta pace. E così non ti sta sui nervi questo ingombrante pasticcio che non sa che cosa fare di se stesso e del suo scopo nella vera vita. Lo guardi, lo visiti, lo ispezioni, lo tocchi, e sai già che non resterà nelle emozioni e nel ricordo di nessuno, perché l’Expo italiana 2015 è come quelle persone che non riusciresti, se necessario, a descrivere alla polizia. Non ha una missione, non ha un senso, non ha una faccia. Qua e là incontri cose che sembrano spostate da un altro evento, a cura di una buona agenzia turistica.
Ci sono cose belle, come il giardino verticale di Israele, come il “Padiglione zero” (“nutrire il pianeta”) di Vaticano e Svizzera, come il bosco dell’Austria, con la brezza umida che percepisci fra i tronchi, come la rete (i bambini possono salire e camminare) sopra le coltivazioni del Brasile, tipo esibizione da circo. Come “fabbrica del cioccolato”, copiata da un film (ma qui c’è il profumo).
Ti accorgi subito dopo l’ingresso, mentre incontri gigantesche sagome di bottiglie di Coca Cola, ispirate o copiate (pur con un forte dislivello fra arte e pubblicità) dalle sculture in legno di Ceroli, che vi sono edifici non finiti e vuoti, uno dove ferve il lavoro ancora al livello dell’impasto del cemento – uno, finito e chiuso, non verniciato, con la scritta Fca (probabilmente la ex Fiat, ora americana, con la scritta “allestimento in corso”).
Ci hanno detto, con parole diverse usate come se fossero sinonimi, che entrando qui dentro saremmo stati guidati al problema del cibo, della produzione del cibo, del nutrimento del pianeta, della conservazione dell’acqua, della protezione degli umani. E allora rimani a camminare per ore fra “cardo” e “decumano”, i due grandi percorsi protetti da vele ben disegnate, e un po’ ti imbatti in gradevoli padiglioni di tanti Paesi che si occupano, a volte con buone trovate, solo di se stessi. E un po’ in disinvolta iniziativa privata nel settore alimentare.
E allora ti domandi (pensando a quel che è costato, alla corsa finale, all’onore dell’Italia, salvato per fortuna da Renzi): qual è il discorso? Il cibo non è mai una metafora. O c’è o non c’è. Che cosa volete qui: produrre, vendere, consumare, condividere? Con chi?
il Fatto Quotidiano, 24 maggio 2015
Furio Colombo
Giornalista e scrittore
Expo 2015 - 25 Maggio 2015
Expo 2015, una piccola fiera di periferia a Milano
Milano. Dici al tassista: “L’Expo” e lui dice subito “la Fiera”. Non intende disprezzo. Intende informarti del rapporto fra la sua città e l’evento mondiale. Milano di fiere ne ha tante, ma quando gli chiedi del suo lavoro per il grande evento, che il primo ministro Renzi ha indicato con largo gesto, in scherno ai gufi, e la frase “l’Italia ce l’ha fatta!”, il tassista ti dice subito: “Non c’è paragone con la Fiera del mobile”. Però ammette che “una sera d’estate ho promesso a mia moglie di portarla. Ho solo paura per le zanzare”. Quanto al resto della città, non c’è quasi rapporto fra Milano e il suo evento mondiale, salvo due infelici costruzioni di vetro e metallo che, in Piazza Cordusio, oscurano la vista bellissima del Castello Sforzesco per segnalare il terminale della Metro. Niente manifesti, niente striscioni, niente trovate urbane per celebrare l’indimenticabile e costosissimo semestre storico (“Milano, capitale del mondo”) come si fa per le mostre importanti a Palazzo Reale. Non un cartellone alla Stazione centrale.
Quanto alle strade che vanno a Roserio e agli altri tre quartieri della banlieue milanese occupati dalla Esposizione mondiale toccata all’Italia, i segnali sono pochi, piccoli, poco visibili, come in una non facile caccia al tesoro. Ma prima o poi arrivi e sbarchi nella esposizione del mondo, secondo l’Italia dell’epoca in cui stiamo vivendo. Ti appare (almeno entrando da Roserio) modesta, scombinata, onesta (ti dice subito che non ha autorità e non pretende di averne), piena di banchetti o piccoli locali “pro loco” che mettono in vista scogli, spiagge e mare, e di paninerie con il nome di intraprendenti ditte private, che non sono né una città, né regione né un prodotto né l’Italia né il mondo.
L’Expo mondiale ostenta qua e là un nazionalismo bonario e improvvisato (cavatappi e macchinette del caffè con il marchio “orgoglio italiano”, una mucca tricolore), e mostra un edificio in legno “per accoglienza Vip” (credevo che “Vip” ormai si dicesse per scherzo solo a Dagospia) che sembra un motel, con il balconcino tutto intorno, e una farmacia. E quasi subito sei di fronte a Palazzo Italia, probabilmente il più brutto nella storia dell’architettura, con un chiaro invito ai disabili a tenersi lontani perché dentro (dove non migliora) è tutto scale.
E certo, ci sono gli ascensori, ma con vista su niente. Però “brutto” non è il vero problema. Nonostante le spiegazioni sulle “radici, le ossa, la pelle e la presunta natura organica” della struttura, l’edificio Palazzo Italia una cosa confessa subito: non venite qui. Inutile venire. Qui non c’è traccia o memoria di alcuna civiltà del passato. E non c’è alcun tentativo di intravedere il futuro. Fate finta che sia la sede di una ditta in difficoltà che non sa decidere sul “chi siamo e cosa vogliamo”. Palazzo Italia fronteggia un povero “albero della vita” che non può essere e non sarà mai simbolo o memoria di niente. Per fortuna è circondato da un fiume di allegria. Infatti, in una cosa questa impresa, non finita e senza alcun criterio di orientamento e di guida, è riuscita: attrarre e divertire bambini e studenti fin quasi all’età del diploma.
Un mare di ragazzi di tutte le scuole possibili, e un buon umore a cui persino i teenager partecipano (impresa quasi impossibile) la constati e te la ricordi. Primo, a causa delle seggioline a trottola disegnate e distribuite da un genio fra il brutto palazzo e il povero albero. Secondo, perché l’Expo ha tanti difetti e tanti vuoti, ma non suggerisce autorità o potere o comando, e in questo senso è accogliente. E, terzo, per la trovata di far scorrere acqua (laghetto, fiume, torrente) dappertutto, creando un senso di isola che, in sé, porta pace. E così non ti sta sui nervi questo ingombrante pasticcio che non sa che cosa fare di se stesso e del suo scopo nella vera vita. Lo guardi, lo visiti, lo ispezioni, lo tocchi, e sai già che non resterà nelle emozioni e nel ricordo di nessuno, perché l’Expo italiana 2015 è come quelle persone che non riusciresti, se necessario, a descrivere alla polizia. Non ha una missione, non ha un senso, non ha una faccia. Qua e là incontri cose che sembrano spostate da un altro evento, a cura di una buona agenzia turistica.
Ci sono cose belle, come il giardino verticale di Israele, come il “Padiglione zero” (“nutrire il pianeta”) di Vaticano e Svizzera, come il bosco dell’Austria, con la brezza umida che percepisci fra i tronchi, come la rete (i bambini possono salire e camminare) sopra le coltivazioni del Brasile, tipo esibizione da circo. Come “fabbrica del cioccolato”, copiata da un film (ma qui c’è il profumo).
Ti accorgi subito dopo l’ingresso, mentre incontri gigantesche sagome di bottiglie di Coca Cola, ispirate o copiate (pur con un forte dislivello fra arte e pubblicità) dalle sculture in legno di Ceroli, che vi sono edifici non finiti e vuoti, uno dove ferve il lavoro ancora al livello dell’impasto del cemento – uno, finito e chiuso, non verniciato, con la scritta Fca (probabilmente la ex Fiat, ora americana, con la scritta “allestimento in corso”).
Ci hanno detto, con parole diverse usate come se fossero sinonimi, che entrando qui dentro saremmo stati guidati al problema del cibo, della produzione del cibo, del nutrimento del pianeta, della conservazione dell’acqua, della protezione degli umani. E allora rimani a camminare per ore fra “cardo” e “decumano”, i due grandi percorsi protetti da vele ben disegnate, e un po’ ti imbatti in gradevoli padiglioni di tanti Paesi che si occupano, a volte con buone trovate, solo di se stessi. E un po’ in disinvolta iniziativa privata nel settore alimentare.
E allora ti domandi (pensando a quel che è costato, alla corsa finale, all’onore dell’Italia, salvato per fortuna da Renzi): qual è il discorso? Il cibo non è mai una metafora. O c’è o non c’è. Che cosa volete qui: produrre, vendere, consumare, condividere? Con chi?
il Fatto Quotidiano, 24 maggio 2015
TRUMP POWER
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La lista dei “15 papabili” che circola in Vaticano dopo l’audio di Bergoglio: 5 italiani, pochi conservatori, il peso della Chiesa europea, i pro e anti Trump – i nomi
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Musk: “Se spengo Starlink fronte ucraino crollerebbe”. Veto Usa sulle petroliere russe. La diretta
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "Il nostro governo ha scelto di realizzare i termovalorizzatori con risorse pubbliche, stanziando 800 milioni di euro attraverso il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc). Questo per evitare che il costo di ammortamento potesse ricadere sui cittadini attraverso tariffe esorbitanti. Noi vogliamo evitare questo errore e garantire un sistema sostenibile dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Non solo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia il Presidente della Regione siciliana Renato Schifani. "I termovalorizzatori rappresentano una grande opportunità anche per il nostro sistema energetico- dice -In un periodo storico in cui i costi dell’energia sono sempre più elevati e la transizione ecologica è una priorità globale, trasformare i rifiuti in energia significa rendere la Sicilia più autonoma, ridurre la dipendenza da fonti fossili e creare un sistema. Il nostro cronoprogramma: entro questo marzo/aprile bando per progettazione; entro settembre 2026 inizio lavori (durata diciotto mesi). La Sicilia non può più permettersi di rimanere prigioniera dell’emergenza, della precarietà, dell’inerzia. È il momento di agire con coraggio e senso del dovere".
"Chi si oppone abbia almeno l’onestà di dire chiaramente perché e di assumersi la responsabilità di condannare questa terra al degrado e all’inefficienza- dice Schifani - Non possiamo accettare che il futuro della Sicilia venga bloccato da interessi di parte, da vecchie logiche a volte ambigue. Non possiamo più tollerare un sistema che penalizza i cittadini, le imprese e l’ambiente. La nostra Regione merita di voltare pagina. Merita un futuro fatto di pulizia, decoro e sostenibilità. Noi andremo avanti, con determinazione e con la convinzione che questa sia l’unica strada possibile. Anche se in salita. In tutti i sensi. Perché la Sicilia merita di più".
Palermo,9 mar. (Adnkronos) - "Perché, dopo vent’anni di dibattiti e promesse mancate, ancora oggi qualcuno si oppone alla realizzazione di impianti di termovalorizzazione? L’esperienza europea dimostra che questi impianti sono una soluzione efficiente e sicura per chiudere il ciclo dei rifiuti, trasformando ciò che non può essere riciclato in energia pulita. Eppure, in Sicilia si è continuato a rinviare, mentre le discariche si riempiono e i cittadini pagano bollette sempre più alte per smaltire i rifiuti altrove. È davvero un problema di tutela ambientale? No, perché i moderni termovalorizzatori sono progettati per garantire emissioni praticamente nulle, rispettando i più severi standard europei". Così il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, in un intervento sul Giornale di Sicilia. "Parlare di inquinamento è oggi fuori luogo: in molte città del Nord Italia, in Europa e nel mondo, questi impianti convivono con i centri abitati senza alcun impatto sulla qualità dell’aria", dice.
"Forse si vuole difendere il business delle discariche? È un dubbio legittimo. Il sistema attuale, infatti, ha spesso alimentato interessi economici poco trasparenti, in alcuni casi perfino legati alla criminalità organizzata. E di questo ho parlato in occasione della mia audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie", conclude Schifani.
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "La Sicilia, purtroppo, vive da decenni un’emergenza che sembra diventata strutturale. Il mio governo ha individuato fin dalla campagna elettorale questo come un obiettivo primario, consapevole che la gestione dei rifiuti non è solo un problema ambientale, ma anche sociale ed economico. Abbiamo ereditato una situazione di stallo, con un sistema fondato su discariche ormai al collasso, senza un’efficace pianificazione e con una raccolta differenziata ancora insufficiente. E soprattutto, mancava uno strumento fondamentale: il Piano rifiuti, indispensabile per poter programmare e realizzare qualsiasi intervento strutturale. Lo abbiamo speditamente adottato nel novembre scorso, dopo un grande lavoro di squadra che ha coinvolto vari organi istituzionali preposti al ramo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia, il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani,.
"Sapevamo che sarebbe stato un percorso difficile, sia dal punto di vista normativo che politico- prosegue - E a volte avvertiamo una condizione di solitudine, nel dover difendere un’idea di sviluppo che dovrebbe essere patrimonio comune, ma che invece incontra resistenze incomprensibili e a volte ambigue. Non cori da stadio, ma silenzi a volte trasversali e imbarazzanti".
"Non è un caso che il tema dei termovalorizzatori in Sicilia sia presente nel dibattito pubblico da oltre vent’anni, senza mai trovare una concreta soluzione- aggiunge Schifani - In tutto questo tempo, mentre in altre regioni italiane e in Europa si realizzavano impianti di ultima generazione per trasformare i rifiuti in energia, in Sicilia si continuava a rinviare, accumulando ritardi su ritardi e lasciando che il problema si aggravasse. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: città invase dai rifiuti, discariche sature, costi di smaltimento sempre più elevati e una dipendenza dall’estero per l’invio della spazzatura che pesa sulle tasche dei cittadini siciliani per oltre cento milioni all'anno". "Ciò che trovo più preoccupante è la rassegnazione diffusa tra i siciliani. Dopo decenni di annunci e promesse mancate, molti ormai non credono più che il cambiamento sia possibile. Ma io dico che questa volta è diverso. Questa volta il governo regionale ha fatto una scelta chiara e irreversibile: realizzare gli impianti e dare finalmente alla Sicilia una gestione moderna ed efficiente dei rifiuti. E per questo obiettivo dedico due pomeriggi al mese per monitorare di persona il percorso, spesso complesso ma che ci sforziamo di velocizzare. Per non parlare dei numerosi ricorsi presentati contro il mio piano per bloccare il tutto. A questi ci opporremo con fermezza e competenza".
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - I vigili del fuoco del Comando provinciale di Palermo resteranno per tutta la notte tra via Quintino Sella e via Gaetano Daita per tenere sotto controllo l'edificio in cui ieri mattina si è propagato un vasto incendio che ha distrutto l'appartamento all'ultimo piano dell'ex sottosegretario alla Salute, Adelfio Elio Cardinale, e della moglie, l'ex magistrato Annamaria Palma. I due sono riusciti a mettersi in salvo, tutti i residenti sono stati evacuati, un uomo di 80 anni è rimasto intossicato. "Le fiamme sono state circoscritte e non si propagano più. Sono in corso adesso le operazioni di bonifica che consistono nello smassamento della parte combusta e nello spegnimento dei focolai residui. Per tutta la notte sul posto sarà effettuato un servizio di vigilanza antincendio", ha spiegato in serata all'Adnkronos Agatino Carrolo, direttore regionale dei vigili del fuoco della Sicilia, da ieri mattina sul luogo del rogo.
"Abbiamo dovuto tagliare il tetto con le motoseghe. I miei uomini hanno lavorato a 25 metri su un piano inclinato di 30 gradi e abbiamo lavorato con la dovuta cautela. Tagliato il tetto si impedisce alle fiamme di propagarsi. Quindi rimangono da effettuare le operazioni di bonifica, di rimozione del materiale combusto e laddove ci sono dei focolai residui spegnerli. Oltre a questo si prevede di effettuare un'operazione di vigilanza antincendio ceh consiste in un presidio fisico a vigilare lo stato dei luoghi fino a quando non ci sarà più bisogno", ha detto.
E ha aggiunto: "Ci siamo trovati ad operare ad un altezza di 25 metri dal piano di calpestio. Dobbiamo spegnere un incendio importante di un tetto di circa 400 mq di falde e le fiamme sono particolarmente insidiose perché questa combustione è caratterizzata dal cosiddetto fuoco covante ossia una combustione in condizione di sotto ossigenazione che corre nello spazio di ventilazione del tetto. Quindi in superficie non si vede nulla ma ad un certo punto le fiamme affiorano dove è possibile".
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Non c’è molto da dire, se non che mi vergogno e che mi dispiace molto. Il Pd è germogliato dalle tradizioni più alte e più nobili della storia politica del Paese. Ha nel suo dna l’europeismo. Ed è di tutta evidenza che non può essere questo il nostro posizionamento". Lo scrive sui social Pina Picierno rispondendo alle proteste sui social per il post del Pd sulla questione del piano di Difesa Ue in cui si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Matteo Salvini.
"Mi vergogno, infatti. E sono allibita", aggiunge la vice presidente del Parlamento europeo.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Ma vi siete bevuti il cervello Elly Schlein? Vi mettete a scimiottare Salvini. I riformisti sono vivi? Hanno qualcosa da dire? Paolo Gentiloni, Lorenzo Guerini certificate la vostra esistenza in vita al netto di Pina Picierno e Filippo Sensi". Lo scrive sui social Carlo Calenda, rilanciando un post del Partito democratico sulla questione del piano di Difesa Ue in cui tra l'altro si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Salvini.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "In Italia si aggira un tizio - si chiama Andrea Stroppa - che rappresenta gli interessi miliardari e le intrusioni pericolose di Elon Musk. Dopo avere espresso avvertimenti vagamente minatori e interferito sull’attività di governo, questo Stroppa ha insultato due giornalisti, Fabrizio Roncone e la moglie Federica Serra, con il metodo tipico dell’intimidazione". Lo dice il senatore del Pd Walter Verini.
"Esprimiamo solidarietà ai due giornalisti. E ci chiediamo anche cosa aspetti Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio di questo Paese, a far sentire la sua voce contro queste ingerenze, questi attacchi, questi tentativi di intimidazione a giornalisti e giornali”, aggiunge il capogruppo Pd in Antimafia.