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Iraq, Isis chiude la diga di Ramadi. Al Arabiya: “Si rischia tragedia umanitaria”

I miliziani hanno chiuso le condotte dell'impianto sull'Eufrate, limitando l’afflusso di acqua in alcune località a est della città. Per il quotidiano al Hayat, gli jihadisti intendono attaccare Khaldiye e Habbaniya dopo aver costretto gli abitanti e le forze locali ad arrendersi perché senza più acqua potabile. Secondo il generale iracheno Aziz Khalaf al-Tarmouz, la mossa potrebbe spingere la popolazione di quelle zone a un esodo di massa
Iraq, Isis chiude la diga di Ramadi. Al Arabiya: “Si rischia tragedia umanitaria”
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E’ allarme umanitario nella regione di Anbar confinante con la capitale Baghdad dopo che miliziani dello Stato islamico hanno chiuso le condotte della diga di Ramadi sull’Eufrate, limitando l’afflusso di acqua in alcune località a est della città. Lo riferisce la tv panaraba al Arabiya.

Il governatore di Anbar, Sabah Karhut, ha confermato il drastico abbassamento del livello dell’Eufrate nei pressi di Habbaniya e Khaldiya, centri minori sulla strada per Baghdad e assediati dall’Isis. “Si rischia la tragedia umanitaria“, ha detto, citato dalla tv, Rafea Fahdawi, leader di una tribù locale in lotta contro l’Isis. Come riferisce oggi il quotidiano al Hayat, gli jihadisti intendono attaccare Khaldiya e Habbaniya dopo aver costretto gli abitanti e le forze locali ad arrendersi perché senza più acqua potabile.

I miliziani, che hanno preso il controllo di Ramadi e della sua diga sul fiume Eufrate lo scorso 17 maggio, hanno interrotto la fornitura di acqua alle zone controllate dalle forze di sicurezza irachene, a est della città. L’annuncio è arrivato martedì dal generale iracheno Aziz Khalaf al-Tarmouz all’agenzia turca Anadolu. Secondo il militare, la mossa potrebbe spingere la popolazione di quelle zone a un esodo di massa.

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L’Iraq alza la voce, la coalizione anti-Isis dà la sua approvazione al piano di “riconquista” di Baghdad e parla di “impegno rilanciato”. Ma per Laurent Fabius, padrone di casa di questa riunione dei ministri degli Esteri, quella contro lo stato islamico, “sarà una lotta di lunga durata“.

Ventiquattro ministri (per l’Italia Paolo Gentiloni) e rappresentanti di istituzioni internazionali si sono riuniti martedì al Quai d’Orsay in un momento particolarmente difficile per la coalizione, a pochi giorni dalla caduta di Palmira in Siria e di Ramadi in Iraq. Il primo ministro iracheno, Haidar al Abadi, copresidente del vertice, non si è lasciato sfuggire l’occasione del diffuso senso di sfiducia nell’efficacia dei bombardamenti aerei alleati ed ha scaricato sulle spalle della coalizione arabo-occidentale la responsabilità della catena di insuccessi contro i jihadisti.

A 10 mesi dal lancio della strategia degli alleati anti-Daesh, la strada appare in salita, con gli alleati che chiedono a Baghdad di accelerare la sua politica “inclusiva” – come ha spiegato Gentiloni – e l’Iraq che ha presentato, con successo, il suo piano di “riconquista”, promosso da Antony Blinken, il vice di John Kerry, segretario di stato assente causa una frattura alla gamba ma collegato via telefono con Fabius. “Dopo alcune cose che non sono andate bene a Ramadi e Palmira – ha spiegato il ministro Paolo Gentiloni – oggi c’è un rilancio dell’impegno della coalizione, l’impegno del governo di Baghdad alla riconquista di Ramadi e l’impegno a una politica inclusiva da parte del governo iracheno sia nei confronti della comunità sunnita sia nei confronti dei curdi”.

Questo lavoro di riunificazione in Iraq “è in corso”, ha assicurato al Abadi, con “5.000 combattenti sunniti mobilitati nella lotta contro l’Isis nella provincia a maggioranza sunnita di Anbar per riconquistare Ramadi”. Il premier iracheno ha puntato il dito contro la coalizione guidata dagli Usa: “è una sconfitta della comunità internazionale – ha dichiarato – l’appoggio aereo non è sufficiente, non c’è abbastanza sorveglianza. Daesch è mobile e si sposta a piccolissimi gruppi”. Peggio che mai armi e munizioni: “Non ne abbiamo avute molte – ha lamentato al Abadi – dobbiamo contare su noi stessi. Sul sostegno all’Iraq si fanno tante parole, ma pochi fatti“.

Un capitolo al quale l’Italia ha consacrato particolare attenzione, è stato quello della protezione dei beni culturali e artistici a rischio: “L’Italia, con il ministero degli Esteri e il ministero della Cultura – ha detto il ministro – lavora con l’Unesco e con il governo iracheno per una mappatura dei siti archeologici e dei beni culturali, in particolare, nelle zone controllate dall’Isis. Questo ci serve sia per avere un monitoraggio per individuare eventuali sottrazioni e distruzioni, sia nel lavoro più generale che l’Italia sta facendo contro il finanziamento dell’Isis, perché una delle cinque o sei più importanti fonti dell’Isis è il contrabbando di opere d’arte e di beni archeologici”.

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