Carcere a vita con l’accusa di spionaggio per aver commesso “crimini contro il governo” della Turchia e per la “diffusione di informazioni riguardanti la sicurezza nazionale”. Dopo la promessa del presidente Recep Tayyip Erdoğan di fargliela “pagare cara”, è questa la pena che un pm turco ha chiesto per Can Dündar, direttore di Cumhuriyet, quotidiano d’opposizione al governo di Ankara, reo di aver pubblicato video e foto che documenterebbero la fornitura di armi ai ribelli siriani da parte del Mit, l’intelligence turca. Secondo Hurriyet online, a chiedere la condanna all’ergastolo sarebbe stato uno dei legali del presidente tramite una denuncia penale. Scoop da ergastolo per il giornalista che, con la sua inchiesta, ha messo in difficoltà il leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) in vista delle elezioni politiche del 7 giugno e ha inaugurato l’ultimo episodio dello scontro tra il presidente e gli organi di stampa che, oggi, vede coinvolti anche il New York Times, la Bbc e la Cnn.

Camion carichi di armi e munizioni. Erdoğan: “Solo aiuti umanitari”
Erdoğan ha sempre respinto l’accusa di essere uno dei finanziatori e fornitori di armi dei gruppi che combattono il regime di Bashar al-Assad. Quando è circolata la notizia di carichi di armi e sostanze necessarie alla costruzione di ordigni chimici diretti in Siria e gestiti dall’intelligence turca, il leader dell’Akp ha negato che la Turchia avesse qualsiasi tipo di rapporto con gli oppositori al regime di Damasco: “In Siria spediamo solo aiuti umanitari”, ha dichiarato. Parole smentite adl quotidiano d’opposizione, che ha pubblicato le immagini, risalenti a gennaio 2014 (Erdoğan era ancora primo ministro) di una perquisizione da parte di militari turchi che, assieme a medicinali e altro materiale per l’assistenza di profughi e vittime della guerra, hanno scovato armi e munizioni per fucili e mortai. Una scoperta che riporta d’attualità le accuse indirizzate al governo di Ankara e all’Arabia Saudita che parlano dell’esistenza di un’alleanza anti-Assad finanziata con i soldi e le armi di Riyad che arriverebbero in Siria proprio grazie all’appoggio dell’esecutivo turco.

Voci che potrebbero mettere in crisi il partito di Erdoğan che, il 7 giugno, punta a riconfermare la leadership nel Paese alle elezioni politiche. I sondaggi lo danno ancora favorito ma con consensi tra il 39% e il 44%, in netto calo rispetto al 52% ottenuto alle presidenziali del 2014. Se le opposizioni dovessero guadagnare terreno, l’Akp potrebbe essere costretto a cercare alleanze interne al Parlamento che metterebbero a rischio l’attuale posizione dominante nel panorama politico turco.

La scoperta da parte degli uomini della gendarmeria è costata ai militari il trasferimento e, successivamente, un’incriminazione per spionaggio. La motivazione sta nel fatto che, sostiene Erdoğan, gli agenti non hanno il compito di controllare i mezzi del Mit e, quindi, quelli che si sono presi la briga di farlo farebbero parte dello “Stato parallelo” presente all’interno delle istituzioni per screditare il leader dell’Akp e che fa capo all’ex alleato e adesso rivale Fethullah Gülen.

Fuat Avni: “Almeno 200 persone saranno arrestate”
La vendetta del “Sultano” turco non si limiterebbe, però, al solo Dündar. Secondo la “gola profoda” Fuat Avni, profilo Twitter anonimo che si dice vicino al Presidente turco e che già in più di un’occasione ha anticipato le sue decisioni in fatto di arresti o perquisizioni, Erdoğan starebbe pensando ad arresti di massa che coinvolgerebbero anche giornalisti, giudici, medici legali e membri della Sicurezza. “Le notizie riguardanti la fornitura di armi” ai ribelli, si legge sul profilo Twitter, “preoccupano profondamente Erdoğan”, insieme alla possibilità di un governo di coalizione. Per questo, continua, ha in mente quella che sarà probabilmente l’ultima serie di arresti, che il premier Ahmet Davutoğlu starebbe cercando di scongiurare per non rischiare un crollo alle elezioni, perché “Erdoğan questa volta è sicuro che sarà processato”.

Ancora i giornali nel mirino: questa volta tocca anche a Nyt, Bbc e Cnn
Quello previsto da Fuat Avni sarebbe solo l’ultimo atto di forza del leader dell’Akp da quando ha iniziato la sua personale lotta contro quello che ha definito “lo Stato parallelo”: una serie di licenziamenti e arresti di massa tra i media, il corpo di polizia e quello giudiziario che avevano l’obiettivo di “ripulire” le istituzioni dagli oppositori politici. In attesa di processo, ad esempio, c’è Baris Ince, direttore del quotidiano di opposizione BirGun, accusato di diffamazione dal presidente turco per una serie di articoli scritti dopo l’esplosione della Tangentopoli turca, nel dicembre 2013, nei quali definiva Erdoğan un “ladro”. In carcere con l’accusa di cospirare contro il “Sultano” finirono, a dicembre 2014, anche 24 giornalisti del quotidiano Today’s Zaman e della tv Samanyolu, dopo retate della polizia all’interno delle redazioni dei giornali turchi d’opposizione. Il leader turco ha infine puntato il dito anche contro la stampa occidentale, in special modo il New York Times, che, insieme a Bbc e Cnn, risponderebbe al volere di una “mente superiore” e tenterebbe di “indebolire la Turchia, come fecero con il sultano Abdulhamit nel 1896, dividerla e disintegrarla e poi dominarla. Ma non ci riusciranno. Noi non glielo permetteremo”.

Twitter: @GianniRosini

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