Mercoledì prossimo sarà presentato a Milano (Palazzo Reale, ore 20:30, ingresso libero) lo ‘Studio di fattibilità per la riapertura dei Navigli milanesi’. Questo studio (che fa seguito alla pre-fattibilità resa pubblica attraverso il sito web del Comune di Milano) è frutto del lavoro di un gruppo multi-disciplinare e multi-ateneo, nato in modo spontaneo e disinteressato. Esso propone alla città e al suo sindaco come onorare il risultato del referendum consultivo dal 2011 che poneva la domanda: “Volete voi che il Comune di Milano provveda alla risistemazione della Darsena quale porto della città e area ecologica e proceda gradualmente alla riattivazione idraulica e paesaggistica del sistema dei Navigli milanesi sulla base di uno specifico percorso progettuale di fattibilità?”
Risposero ‘sì’ ben 489.727 cittadini, il 49% dei milanesi e il 94% dei votanti: percentuali da sogno rispetto alle maggioranze risicate uscite dalle recenti elezioni regionali.
Può un’idea in apparenza utopica trasformarsi in realtà? La risposta è ancora ‘sì’ e, in occasione di questa presentazione, la conosceremo nei dettagli non soltanto urbanistici e architettonici, ma anche idrologici, idrogeologici, idraulici, viabilistici ed economici.
Aveva ragione chi scriveva tempo fa sul Corriere della Sera che bonificare, prosciugare e coprire i fiumi e i canali navigabili fu un’irresistibile moto della modernità. A cavallo degli anni Trenta coprirono i Navigli a Milano, il Bisagno a Genova e il Castro ad Arezzo; e una moltitudine di rogge, torrenti e fiumi che furono sepolti in tutta la penisola e in varie parti d’Europa, dove i becchini fluviali furono un po’ meno assatanati e un po’ più avveduti di Genovesi e Milanesi, che hanno pagato e pagheranno ancora un duro prezzo a Bisagno e Seveso sempre più spesso ribelli. È il prezzo della modernità, spesso esibita da regimi non proprio democratici.
Le città che hanno deviato i fiumi (Ivrea, Istanbul, Arezzo, Valencia, …) si sono votate ai disastri naturali. A Valencia nessuno dubita che, in caso di piena catastrofica, il Rio Guadalaviar riprenderebbe il suo corso cittadino attraverso i meravigliosi giardini di Tùria, se il deviatore, chiamato Plan Sur, non ce la facesse. Nel 1957, furono quasi 4 mila metri cubi al secondo: cento volte le piene che mettono in crisi il Seveso a Milano.
Cancellare l’acqua a Milano, con assidua e zelante meticolosità, è stato un impegno costante del ‘900, il secolo della modernità. La modernità ha inghiottito Seveso e Olona, risparmiando il Lambro, ma rettificandolo in un tracciato imbarazzante; una stretta cintura di castità che troppo spesso si mostra del tutto insufficiente. La modernità aveva depresso la falda milanese a tal punto da ingolosire la speculazione sotterranea, salvo accorgersi che, con la morte dell’industria, la falda sta risalendo alla sua profondità naturale, poco apprezzata da tunnel, metropolitane e interrati. Sbarazzarsi dei Navigli (un simbolo del romanticismo che i futuristi odiavano) per snellire il moderno traffico di Milano, città lontana da grandi fiumi ma sorta sulla linea d’acqua delle risorgive, ha cancellato una forte identità e, nello stesso tempo, disprezzato il contributo di Leonardo l’idraulico e di molte generazioni d’ingegneri e architetti, prima e dopo di lui.
Negare i risultati referendari è un’abitudine radicata in questo paese. I milanesi vogliono, a grande maggioranza, che si «proceda gradualmente alla riattivazione idraulica e paesaggistica del sistema dei Navigli milanesi». Ora non è più un’utopia, ma una decisione politica da prendere in modo consapevole. Per questo un navibus che possa percorrere tutta la cerchia dei Navigli non è più un sogno. Un nastro continuo di pubblico trasporto, lento ma veloce, se confrontato con la velocità cittadina di un moderno Suv.
La modernità è moderna perché si evolve a passo con i tempi; e modernità è oggi chiudere il cerchio, non solo riaprendo quanto fu sepolto, ma anche creando una connessione in grado di ripristinare la medioevale continuità della rete idraulica di acque ad alta qualità in una città che, fin dall’epoca romana, ha migliorato di generazione in generazione questa rete per poi fermarsi malamente a riflettere e pentirsi per tutto il ‘900.