Strabismi ispettivi, commissariamenti sospetti, favoritismi, carriere fulminee e salti della quaglia dal pubblico al privato, cioè dal controllore al controllato. In questi ultimi anni la Banca d’Italia non si è fatta mancare niente, minando alla radice con i fatti e i comportamenti il patrimonio di autorevolezza, di competenza e di credibilità che l’ha caratterizzata fin dalla fondazione. Di esempi grandi e piccoli – peraltro costati miliardi di euro ai risparmiatori, ai correntisti e allo Stato – ve ne sono a decine: basti pensare al caso MontePaschi, a quello della sanmarinese Delta, a Carige, a Banca delle Marche, all’irresistibile ascesa di Gianpiero Fiorani e della sua Popolare di Lodi e, dopo di lui, a quella di Vincenzo Consoli e Veneto Banca, per arrivare all’inamovibile Gianni Zonin, ancora sulla tolda di comando della “sua” Popolare di Vicenza a tessere i fili di alleanze e della trasformazione in spa, mentre la barca è a rischio affondamento.

Per ognuno di questi campioni del sistema bancario che, del tutto indisturbati, hanno fatto il bello e il cattivo tempo producendo i disastri che conosciamo, vi sono tanti altri gruppi dirigenti di banche medie e piccole, sane se non prospere, che sono stati azzerati da un giorno con l’altro senza motivo apparente se non quello di favorire qualcun altro. E’ il caso della piccola Bene Banca i cui soldi sono inspiegabilmente finiti in un conto della Popolare Vicenza ad opera del commissario nominato dalla Banca d’Italia. E’ il caso della ben più grande e ambita Banca Popolare di Spoleto che si intreccia invece con la vicenda MontePaschi e con un’Opa di Coop Centro Italia di cui Bankitalia era a conoscenza ben tre anni prima che venisse effettivamente lanciata. Alla fine l’Opa non ebbe successo e i commissari nominati da Bankitalia svendettero la Popolare di Spoleto al Banco Desio con danni gravissimi per il territorio e per gli azionisti. Proprio all’inizio di quest’anno il Consiglio di Stato ha sentenziato che la Banca d’Italia non avrebbe dovuto proporre il commissariamento della Spoleto e che i controlli sulla capacità patrimoniale dell’istituto sono stati condotti con leggerezza.

I fatti, con la loro forza, iniziano a emergere dalla palude e iniziano a mostrare non episodi singoli, ma lo spaccato di un sistema che in nome di una malintesa autonomia e discrezionalità esercita l’arbitrio del potere favorendo gli amici e annichilendo i nemici. Un sistema autoreferenziale che si basa sulla cooptazione, sull’omertà e sulla spartizione di ricche prebende che va avanti da decenni e che proprio per questo non è in grado di autoriformarsi. A nulla è servito l’autodafé dell’ultimo governatore “a vita” Antonio Fazio costretto alle dimissioni per lo scandalo Fiorani: da allora l’incarico di governatore è divenuto a tempo (6 anni), ma nessuno degli uomini e delle donne vicini a Fazio (in Banca d’Italia dal 1966, vicedirettore generale dal 1982, governatore dal 1993 al 2005) ha patito conseguenze. Ci sono state anzi vistose promozioni come quella di Anna Maria Tarantola da Casalpusterlengo, legatissima a Fiorani e per anni a capo della filiale di Brescia. Nel 2006 viene promossa a funzionario generale della Banca d’Italia e nel 2009 assume la carica di vicedirettore generale. In predicato addirittura per la nomina a governatore, nel 2012 viene catapultata da Mario Monti alla presidenza della Rai.

Anche quella di Anna Maria Tarantola è una carriera di lungo corso all’interno di Bankitalia e da dirigente, soprattutto a Brescia, si è attorniata di uomini di sua fiducia della cui carriera ha poi continuato a occuparsi anche dopo, quando si trovava a Roma ai gradini gerarchici più alti. E proprio Brescia – una delle piazze finanziarie più importanti e “sensibili” d’Italia – ha rappresentato in questi anni uno spaccato perfetto del “sistema Bankitalia”. Un sistema che – è bene chiarire subito – è stato oggetto di denunce, di decine di interrogazioni parlamentari, di articoli, di inchieste e che ad oggi non è stato minimamente scalfito. Vicende sulle quali si vorrebbe mettere la sordina: le denunce paiono cadute nel vuoto, le interrogazioni sono rimaste tutte senza risposta. Del resto i protagonisti sono potenti, a partire proprio dalla Banca d’Italia.

Dalla filiale di Brescia dipendono grandi gruppi come Ubi Banca, e istituti di piccole e medie dimensioni come Mantovabanca, una florida banca di credito cooperativo che nel maggio del 2010 viene improvvisamente commissariata. Un’operazione letta da molti come un favore alla vicina Banca del Garda che all’epoca non navigava in buone acque ma che era (ed è tuttora) presieduta da Alessandro Azzi, presidente di Federcasse (la federazione delle casse rurali), ex vicepresidente dell’Abi e molto vicino ad Anna Maria Tarantola. Insomma, un banchiere locale ma potente. Mantovabanca alla fine non verrà “sposata” alla Banca del Garda, ma Aldo Emilio Gramano, l’ispettore della Banca d’Italia che ha proposto il commissariamento di Mantovabanca, per una singolare coincidenza verrà assunto proprio da Azzi in Federlombarda.

Inutile dire che il commissariamento non è stato indolore per le imprese locali e per le famiglie, mentre sui criteri di scelta dei commissari da parte della Banca d’Italia pare che la reputazione non sia tenuta in gran conto. O forse sì. Ma torniamo a Brescia e alla vigilanza: a capo dell’ufficio in quegli anni c’è Maurizio Cannistraro, uno dei fedelissimi di Anna Maria Tarantola. E proprio Cannistraro si distingue nel coltivare rapporti impropri con i vigilati, tra cui la Banca di credito cooperativo di Pompiano, in Franciacorta, per conto della quale ha svolto una vera e propria attività di consulenza. O meglio, per conto dei vertici dell’istituto, accusati di condotte molto gravi. Cannistraro ha infatti ricevuto in bozza, revisionato e corretto le lettere difensive del presidente della Banca di Pompiano e del presidente del collegio sindacale, contribuendo a rafforzare le loro tesi. Una violazione bella e buona, per di più provata, del segreto e dei doveri di ufficio, cui si accompagna il sospetto che l’attività ispettiva svolta dall’ufficio fosse “pilotata” dallo stesso Cannistraro, inviando gruppi ispettivi “morbidi” alle banche ritenute amiche, tanto che nella stessa ispezione inviata nel 2007 alla Banca di Pompiano nulla era emerso. Per capire come funziona il meccanismo basti pensare che la diaria per un ispettore ammonta a 300 euro al giorno più spese di viaggio che si sommano al normale stipendio: un ottimo affare che consente anche redditizi salti della quaglia, come abbiamo visto nel caso dell’ispettore Gramano e di decine di altri, a patto di non rompere le uova nel paniere. O di romperle sì, ma ai nemici del capo.

Un modus operandi, questo, che manda a farsi benedire ogni parvenza di terzietà e che impone di selezionare, possibilmente cooptandole, persone di assoluta fedeltà. E anche qui ritroviamo Cannistraro, uomo di fiducia di Anna Maria Tarantola, che riceve sulla propria email privata dal presidente della commissione (Salvatore Rossi, ora direttore generale) le tracce d’esame di un concorso interno della Banca d’Italia. Non un “aiutino” a Cannistraro che di quella stessa commissione faceva parte da “consulente”, quanto piuttosto una modalità opaca e impropria di comunicazione che lascia campo libero ai favoritismi e alle cordate nei concorsi interni.

A questo punto ci si potrebbe chiedere che ne è stato di Maurizio Cannistraro, tanto più in seguito alle denunce del suo operato a Brescia. La risposta è semplice: da capo della vigilanzia bresciana è stato promosso a direttore della filiale di Bolzano con congruo aumento di stipendio, diarie e indennità varie e di lì, in capo a un paio di anni, è stato ulteriormente promosso alla ben più importante filiale di Venezia. Promuveatur et amoveatur? Manco per niente: si tratta di promozioni vere con responsabilità vere e di questo passo chissà su quale alta poltrona ritroveremo il bravo Cannistraro tra qualche anno. L’unico dubbio è se sarà pubblica o privata.

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