“Uber Pop va sospeso”: il tribunale di Milano è categorico, e respingendo l’istanza presentata dal colosso americano del ride-sharing di fatto lo costringe a disattivare la versione più “easy” della sua applicazione, quella che consente di prenotare una macchina privata per farsi accompagnare dove si vuole pagando con carta di credito, il tutto tramite uno smartphone. Il verdetto è arrivato a due settimane dalla sentenza, emessa sempre dal tribunale di Milano, con cui il giudice Claudio Marangoni aveva accolto il ricorso presentato dai tassisti, imponendo il blocco del servizio e tacciandolo di concorrenza sleale: una mossa contro cui la multinazionale californiana aveva fatto ricorso, sperando che entro i 15 giorni disposti per rendere effettiva la sentenza arrivasse un aiuto dall’Autorità per i Trasporti.
Aiuto che a tutti gli effetti è arrivato lo scorso 4 giugno, con il parere positivo dell’Authority, che però a poco è servito nella pratica: “Le decisioni dei giudici sono importanti, e Uber non ha intenzione di opporsi a esse”, ha fatto sapere l’azienda in una nota inviata ai clienti, annunciando uno stop del servizio sino al 2 luglio e commentando a caldo la decisione del tribunale, che oltre a confermare il blocco ha anche stabilito una penale di 20mila euro per ogni giorno in cui Uber Pop fosse rimasto eventualmente attivo.
“La settimana scorsa l’Autorità per la Regolamentazione dei Trasporti si è espressa, dando ufficialmente il benvenuto ai nuovi modelli che possono migliorare concretamente la mobilità cittadina come il ridesharing”, fa sapere Uber Italia, spiegando che “questo parere è stato sostenuto da tantissimi cittadini, tra cui politici e personalità influenti. Insomma, è nato un movimento che vuole spingere affinché una regolamentazione nuova che prenda in considerazione i nuovi modi di spostarsi e di vivere la città sia stilata al più presto”.
E in effetti è proprio nelle ultime due settimane che il servizio ha raggiunto il picco, non soltanto per quanto riguarda le persone che hanno deciso di scaricare l’app sul proprio smartphone e di utilizzarla, ma anche per chi ha deciso di inviare il curriculum all’azienda per diventare autista, sfidando di fatto la legge: recentemente, l’azienda aveva fatto sapere che sarebbero oltre un migliaio le richieste che arrivano ogni settimana da Milano, Genova e Torino, le uniche tre città dove sino a oggi accolto il servizio, e nei giorni scorsi i social network sono stati invasi dai cinguettii di chi proclamava a gran voce che #IoStoConUber.
È proprio sui social che la società di Travis Kalanick e Garrett Camp sta combattendo la sua battaglia: oltre a invitare i clienti a cinguettare e retwittare che “l’Autorità dei Trasporti al #ridesharing. Oggi è #lavoltabuona per costruire #lamobilitàdelfuturo” (nell’immagine sopra, la schermata del sito di Uber), ha chiamato in causa anche il premier Matteo Renzi, sperando in una presa di posizione decisa da parte di quel governo cui continua a chiedere una normativa, a livello nazionale, in grado di regolamentare “una mobilità di qualità ed affidabile per chi non trova soddisfazione nelle soluzioni tradizionali”.
Al momento dalle istituzioni tutto tace, mentre tassisti e organizzazioni sindacali festeggiano quella che è a tutti gli effetti un’ennesima vittoria. La guerra però non è ancora persa, e Uber si prepara a tornare in tribunale, appoggiato anche dalle associazioni dei consumatori che protestano per lo stop forzato, il prossimo 2 luglio, quando verrà discusso il nuovo ricorso. Con il supporto dei tanti sostenitori del servizio, che alla burocrazia contrappongono l’ironia: “I cavalli fanno causa agli autobus per concorrenza sleale. Io sto con Uber”.