Matteo Renzi dice di avere una carta segreta da giocare nel caso le risposte europee per condividere l’emergenza immigrazione continuino a essere insufficienti. E lo scontro diplomatico con la Francia sui migranti bloccati al confine di Ventimiglia non lascia presagire niente di buono.
Per fortuna c’è il famoso piano B che il presidente del consiglio minaccia senza però rivelarne i contenuti. Così, se il progetto di Jean-Claude Juncker per la ripartizione dei profughi fosse rigettato al prossimo Consiglio europeo, Roma ha già pronta la contromossa. Quale? Sui giornali è un florilegio di ipotesi: dagli accordi separati con Francia e Germania per l’accoglienza, all’iniziativa per modificare il famigerato regolamento di Dublino, quello che inchioda i migranti a fare richiesta d’asilo nel primo paese di arrivo. Fino alle misure più muscolari: sospendere il pagamento delle quote italiane all’Ue, come scrive Repubblica.
Eppure il piano B è già stato utilizzato, e con successo, da un illustre predecessore di Renzi a Palazzo Chigi: Silvio Berlusconi che anche lui nel 2011 si trovò a gestire un’emergenza immigrazione sull’orlo di trasformarsi in un problema di ordine pubblico. Come in questi giorni a Ventimiglia dove, con la chiusura delle frontiere da parte di Parigi, la situazione sta sprofondando nel caos con sempre più migranti accalcati al confine con la Francia.
Nel 2011 l’Italia si trovò da sola a dover affrontare l’esodo dei tunisini in fuga dal proprio paese in seguito alla rivolta contro Zine El-Abidine Ben Ali. Esattamente come oggi, una volta approdati in Italia i migranti riuscivano a scappare dalle strutture d’accoglienza dirigendosi verso nord nel tentativo di espatriare Oltralpe. Così in poche settimane la città ligure di frontiera si trasformò in campo profughi a cielo aperto perché, anche in quell’occasione, l’Eliseo optò per la linea dura bloccando il valico di Menton.
A quel punto il governo italiano, superate le divisioni con gli alleati della Lega Nord, optò per la mossa del cavallo lasciando con un palmo di naso i francesi: un permesso di soggiorno temporaneo. Con il decreto del presidente del Consiglio dell’8 aprile 2011 si consentiva ai “cittadini nordafricani giunti in Italia fra il primo gennaio ed il 5 aprile”, qualora volessero andare in un altro paese, di richiedere “entro il 16 aprile” il lasciapassare. Quel documento, si legge nel Dpcm, autorizza gli interessati, “titolari di un documento di viaggio, la libera circolazione nei Paesi Ue, conformemente alle previsioni dell’Accordo di Schengen e della normativa comunitaria”.
Inutili le proteste francesi che nonostante avessero provato a porre una serie di paletti puntualmente aggirati dall’Italia si trovarono costretti ad aprire le loro frontiere. Così dal 17 aprile il confine di Menton cominciò a essere attraversato regolarmente dagli stessi tunisini che fino al giorno prima la polizia d’Oltralpe rispediva a Ventimiglia.
Stupisce oggi che nessuno si ricordi di quel “capolavoro diplomatico”, come venne subito ribattezzato dai giornali vicini al centrodestra. Né l’ex premier Berlusconi né tantomeno l’allora titolare degli Interni Roberto Maroni che oggi sostiene come l’unico piano B praticabile siano “i campi profughi in Libia e lo stop alle partenze”.
Quando il governatore lombardo rivendica che nel 2011 da ministro “si è sbattuto” per fare fronte ai 40mila arrivi ricorda solo una parte della storia e cioè gli accordi presi con alcuni paesi africani per i rimpatri. Non una parola sui permessi temporanei che l’ex Caimano lo costrinse a digerire. C’è da capirlo: se i lasciapassare agli stranieri erano indigesti per la Lega del 2011 guidata allora da Umberto Bossi, rischiano di essere veleno puro per il leghismo lepenista di Matteo Salvini che Bobo rincorre nel tentativo di non scomparire politicamente. Tant’e che il leader del Carroccio ha subito preso le parti della Francia: “Fa bene a tutelare i propri interessi”.
La vittoria dell’Italia sulle resistenze dell’allora capo dell’Eliseo Nicolas Sarkozy fu resa possibile anche grazie alla sponda di quell’Unione europea che oggi Renzi prova a intimorire con il suo piano B. Un ruolo di primo piano fu quello dell’ex commissario per gli Affari esteri Ue Cecilia Malmström che arrivò a adombrare l’impiego della Direttiva 2001 sulla protezione temporanea degli sfollati: regolamento, ancora mai applicato, che obbliga gli stati a cooperare trasferendo l’obbligo della protezione ai rifugiati al secondo paese membro.
Oggi però sulla poltrona di Lady Pesc siede l’italianissima Federica Mogherini, le cui ultime dichiarazioni pubbliche sull’argomento risalgono a maggio e sono del tenore di “ogni stato deve fare la sua parte”.
Cronaca
Migranti, il mistero del piano B di Renzi contro l’Ue: l’unico a farlo (con successo) fu Berlusconi nel 2011
Per disinnescare l'emergenza profughi a Ventimiglia, l'ex premier concesse ai tunisini in fuga dopo la caduta di Ben Ali un permesso di soggiorno temporaneo con cui transitare in area Schengen. Inutili le proteste della Francia che dovette riaprire i confini
Matteo Renzi dice di avere una carta segreta da giocare nel caso le risposte europee per condividere l’emergenza immigrazione continuino a essere insufficienti. E lo scontro diplomatico con la Francia sui migranti bloccati al confine di Ventimiglia non lascia presagire niente di buono.
Per fortuna c’è il famoso piano B che il presidente del consiglio minaccia senza però rivelarne i contenuti. Così, se il progetto di Jean-Claude Juncker per la ripartizione dei profughi fosse rigettato al prossimo Consiglio europeo, Roma ha già pronta la contromossa. Quale? Sui giornali è un florilegio di ipotesi: dagli accordi separati con Francia e Germania per l’accoglienza, all’iniziativa per modificare il famigerato regolamento di Dublino, quello che inchioda i migranti a fare richiesta d’asilo nel primo paese di arrivo. Fino alle misure più muscolari: sospendere il pagamento delle quote italiane all’Ue, come scrive Repubblica.
Eppure il piano B è già stato utilizzato, e con successo, da un illustre predecessore di Renzi a Palazzo Chigi: Silvio Berlusconi che anche lui nel 2011 si trovò a gestire un’emergenza immigrazione sull’orlo di trasformarsi in un problema di ordine pubblico. Come in questi giorni a Ventimiglia dove, con la chiusura delle frontiere da parte di Parigi, la situazione sta sprofondando nel caos con sempre più migranti accalcati al confine con la Francia.
Nel 2011 l’Italia si trovò da sola a dover affrontare l’esodo dei tunisini in fuga dal proprio paese in seguito alla rivolta contro Zine El-Abidine Ben Ali. Esattamente come oggi, una volta approdati in Italia i migranti riuscivano a scappare dalle strutture d’accoglienza dirigendosi verso nord nel tentativo di espatriare Oltralpe. Così in poche settimane la città ligure di frontiera si trasformò in campo profughi a cielo aperto perché, anche in quell’occasione, l’Eliseo optò per la linea dura bloccando il valico di Menton.
A quel punto il governo italiano, superate le divisioni con gli alleati della Lega Nord, optò per la mossa del cavallo lasciando con un palmo di naso i francesi: un permesso di soggiorno temporaneo. Con il decreto del presidente del Consiglio dell’8 aprile 2011 si consentiva ai “cittadini nordafricani giunti in Italia fra il primo gennaio ed il 5 aprile”, qualora volessero andare in un altro paese, di richiedere “entro il 16 aprile” il lasciapassare. Quel documento, si legge nel Dpcm, autorizza gli interessati, “titolari di un documento di viaggio, la libera circolazione nei Paesi Ue, conformemente alle previsioni dell’Accordo di Schengen e della normativa comunitaria”.
Inutili le proteste francesi che nonostante avessero provato a porre una serie di paletti puntualmente aggirati dall’Italia si trovarono costretti ad aprire le loro frontiere. Così dal 17 aprile il confine di Menton cominciò a essere attraversato regolarmente dagli stessi tunisini che fino al giorno prima la polizia d’Oltralpe rispediva a Ventimiglia.
Stupisce oggi che nessuno si ricordi di quel “capolavoro diplomatico”, come venne subito ribattezzato dai giornali vicini al centrodestra. Né l’ex premier Berlusconi né tantomeno l’allora titolare degli Interni Roberto Maroni che oggi sostiene come l’unico piano B praticabile siano “i campi profughi in Libia e lo stop alle partenze”.
Quando il governatore lombardo rivendica che nel 2011 da ministro “si è sbattuto” per fare fronte ai 40mila arrivi ricorda solo una parte della storia e cioè gli accordi presi con alcuni paesi africani per i rimpatri. Non una parola sui permessi temporanei che l’ex Caimano lo costrinse a digerire. C’è da capirlo: se i lasciapassare agli stranieri erano indigesti per la Lega del 2011 guidata allora da Umberto Bossi, rischiano di essere veleno puro per il leghismo lepenista di Matteo Salvini che Bobo rincorre nel tentativo di non scomparire politicamente. Tant’e che il leader del Carroccio ha subito preso le parti della Francia: “Fa bene a tutelare i propri interessi”.
La vittoria dell’Italia sulle resistenze dell’allora capo dell’Eliseo Nicolas Sarkozy fu resa possibile anche grazie alla sponda di quell’Unione europea che oggi Renzi prova a intimorire con il suo piano B. Un ruolo di primo piano fu quello dell’ex commissario per gli Affari esteri Ue Cecilia Malmström che arrivò a adombrare l’impiego della Direttiva 2001 sulla protezione temporanea degli sfollati: regolamento, ancora mai applicato, che obbliga gli stati a cooperare trasferendo l’obbligo della protezione ai rifugiati al secondo paese membro.
Oggi però sulla poltrona di Lady Pesc siede l’italianissima Federica Mogherini, le cui ultime dichiarazioni pubbliche sull’argomento risalgono a maggio e sono del tenore di “ogni stato deve fare la sua parte”.
Lady Etruria
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Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - "Affronterò il processo con la massima serenità e con la consapevolezza di poter dimostrare la correttezza del mio operato, avendo sempre agito nel pieno rispetto del regolamento previsto dall’Assemblea Regionale Siciliana. Non ho mai, nella mia vita, sottratto un solo centesimo in modo indebito e confido che nel corso del giudizio emergerà la verità, restituendo chiarezza e trasparenza alla mia posizione. Resto fiducioso nella giustizia e determinato a far valere le mie ragioni con il rispetto e la serietà che ho sempre riservato alle istituzioni". Così Gianfranco Miccichè, rinviato a giudizio per l'uso dell'auto blu, commenta il processo che partirà a luglio. "Sono però amareggiato da quanto la stampa riporta sul fatto che, secondo il pm avrei arraffato quanto più possibile- dice - Nella mia vita non ho mai arraffato alcun che e su questo pretendo rispetto da parte di tutti".
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - L'ex Presidente dell'Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè è stato rinviato a giudizio con l'accuaa di peculato e concorso in truffa aggravata il. La prima udienza del processo si terrà il 7 luglio davanti alla terza sezione del tribunale di Palermo. Secondo l'accusa il politico, ex viceministro dell'Economia, avrebbe usato l'auto blu in dotazione, in quanto ex Presidente dell'Ars, per fini personali. In particolare avrebbe usato, non per fini istituzionali, l’Audi della Regione, per una trentina di volte, tra marzo e novembre del 2023, anche per fare visite mediche, e persino per andare dal veterinario con il gatto. Avrebbe fatto salire sull'auto anche componenti della sua segreteria e familiari.
Il suo ex autista, Maurizio Messina, che ha scelto il rito abbreviato, è stato invece condannato dal giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta a un anno e mezzo di carcere per truffa, più sei mesi con l'accusa di avere sottratto la somma che gli era stata sequestrata durante le indagini.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - La Corte di Assise di Appello di Milano ha assolto, ribaltando la sentenza a sette anni inflitta in primo grado, Salvatore Pace per il concorso nell'omicidio di Umberto Mormile, l'educatore del carcere di Opera ammazzato l'11 aprile 1990. Il delitto fu rivendicato dalla Falange Armata, organizzazione terroristica sulla quale gravitavano mafiosi, 'ndranghetista e componenti dei servizi segreti deviati. Mormile, 34 anni, venne assassinato a Carpiano, nel Milanese, mentre andava al lavoro, quando due individui in sella a una moto esplosero contro di lui sei colpi di pistola. Secondo l'accusa, Pace, 69 anni, diventato collaboratore di giustizia, si sarebbe messo a disposizione dei mandanti dell'omicidio. "Attendo di leggere le motivazioni" è il commento dell'avvocato Fabio Rapici, legale di alcuni dei familiari della vittima.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - La Difesa europea non salva il Pd. Anzi, lo spacca. A Strasburgo, al momento del voto sul piano ReArmEu, gli europarlamentari dem si sono divisi: 10 favorevoli e 11 astenuti. Non un banale testa a testa, che già sarebbe una notizia, ma una spaccatura politica. La prima, almeno così evidente, nella gestione di Elly Schlein. I riformisti dem, infatti, si sono tutti schierati per il sì. Mentre sino all'ultimo istante il capo delegazione Nicola Zingaretti ha lavorato per portare il gruppo sull'astensione in modo da disinnescare ogni tentazione a votare no. Ma la frattura non si è ricomposta.
Dopo il voto, la segretaria dem ha tenuto il punto, confermando le "molte critiche" avanzate su ReArmEu: "Quel piano va cambiato" e per farlo "continueremo a impegnarci ogni giorno", ha detto tra le altre cose. Ma l'onda del voto sulla Difesa Ue è arrivata fino al Nazareno, aprendo una discussione interna al partito in cui è riemersa anche la parola 'magica' Congresso. La foto di Strasburgo, del resto, è netta. Per il sì si sono schierati Stefano Bonaccini (il presidente del partito), Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli, Raffaele Topo.
Tra gli astenuti Zingaretti, Lucia Annunziata, Brando Benifei, Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Dario Nardella, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Alessandro Zan. Dalle tabelle dell'aula emerge tra l'altro che nel gruppo S&D gli unici ad astenersi sono stati gli italiani più un bulgaro, un irlandese e uno sloveno. Per non farsi mancare nulla, c'è stato anche il 'giallo' Annunziata, inizialmente conteggiata tra i sì e poi conteggiata come astenuta.
(Adnkronos) - Mentre a Strasburgo i più maliziosi hanno enfatizzato non solo la presenza di Nardella tra gli astenuti, ma soprattutto quella di Strada e Tarquinio: apertamente contrari al Piano Ue, alla vigilia erano dati certi tra i no. "C'è stato l'aiutino per non far vincere il sì", ha valutato un eurodeputato dem. Lo stesso Tarquinio, del resto, a Un giorno da pecora ha ammesso: "Se avessi votato no sarebbe mancato quel po' di più che ha consentito alla delegazione Pd di avere la maggioranza pro Elly Schlein".
"E' stata sconfitta la linea dell'astensione? E' stato sconfitto il no, perché si partiva dal no", è stata la valutazione di Lia Quartapelle. La deputata dem è stata tra quelli che hanno subito chiesto l'apertura di un confronto interno. "Dobbiamo dimostrarci all'altezza. Il Pd, un grande partito, deve argomentare dove vuole stare con una discussione che sino ad oggi non c'è stata", ha spiegato. Sulla stessa linea Piero Fassino e anche Marianna Madia: "Abbiamo la necessità di discutere e capire. Non possiamo fare tutto questo stando zitti o con un mezzo voto. Congresso o Direzione? Va bene tutto, basta che ci sia una discussione", ha detto la deputata.
Ai riformisti ha risposto Laura Boldrini: "Mi sarei aspettata che il gruppo del Pd al Parlamento europeo votasse compatto sull'astensione, che è la strada trovata dalla segretaria Schlein. Non è il momento di alimentare divisioni". Ma anche nell'area di maggioranza interna non è mancata la chiamata al confronto: "E' giusto che ci sia una discussione seria. E' una responsabilità che abbiamo tutti ed è interesse della segretaria, che io sostengo, che questa discussione si faccia nelle forme e con la rapidità necessarie", ha detto Gianni Cuperlo. Mentre è stato Andrea Orlando a chiedere un Congresso tematico: "Potrebbe essere utile anche per portare la discussione fuori dal solo gruppo dirigente" e per "chiarirsi le idee".
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "Morte naturale per infarto". Sono questi i primi risultati dell'autopsia per Carmine Gallo, l'ex super poliziotto protagonista della lotta contro la criminalità organizzata a Milano e ai domiciliari dallo scorso ottobre per l'inchiesta Equalize sui presunti dossier illeciti, morto domenica nella sua abitazione a Garbagnate Milanese. Si tratta dei primi riscontri dei medici legali, poi "arriveranno i tossicologici" chiesti in via precauzionale per escludere qualsiasi altra causa.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - "Il libro di Follini rappresenta la foto di un mondo rovesciato rispetto al presente, un’America rovesciata, ieri prevaleva il senso della misura e il ragionamento, oggi prevale il populismo”. Lo ha detto il deputato del Pd Stefano Graziano presentando in conferenza stampa a Montecitorio il libro di Marco Follini 'Beneficio d’inventario'.
"Centrale è la parte che racconta della vita politica all’epoca del padre di Marco Follini, Vittorio, e dei leader politici del tempo da Francesco Cossiga, ad Aldo Moro, passando per Marco Pannella. Non tutti avevano la stessa idea politica ma erano tutti uniti nella forza di voler difendere la democrazia, una democrazia ottenuta con lotte, sangue, catastrofi e quindi seppur lontani politicamente, erano uniti dal dialogo. Una differenza abissale con l’Italia di oggi pericolosamente in mano ai sovranisti, dove tutto è concepito fuorché il dialogo. Forse questo abisso non è solo italiano ma sta prevalendo in tutto l’Occidente e la cosa è abbastanza preoccupante”, ha aggiunto Graziano.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "La manovra repentina, improvvisa e del tutto imprevedibile, frutto certamente di una decisione di decimi di secondo attuata dal conducente del motoveicolo TMax non ha consentito al conducente del veicolo Giulietta di poter attuare alcuna manovra difensiva efficace". E' quanto sostiene la consulenza cinematica disposta dalla Procura di Milano e affidata all'ingegnere Domenico Romaniello. La relazione attribuisce la responsabilità dell'incidente a Fares Bouzidi, già indagato per omicidio stradale, l’amico di Ramy Elgaml che guidava lo scooter. Quando lo scooter da via Ripamonti svolta a sinistra verso via Quaranta, "con una deviazione improvvisa", per il consulente Fares imprime "una correzione di rotta verso destra", in direzione del marciapiede, e il carabiniere alla guida "non poteva certamente prevedere tale pericolosissima manovra e nulla ha potuto fare per evitare tale contatto, in ragione della impossibilità di poter attuare sia una correzione di rotta, sia una frenata efficace nello spazio a disposizione".
Non solo: il militare alla guida "non avrebbe altresì potuto neanche sterzare verso destra per la presenza del pedone (il testimone che riprende la scena con il cellulare) che per il conducente dell’autovettura è stato chiaramente percepito con la vista periferica" spiega l'ingegnere che ha realizzato la consulenza ricostruendo le condizioni di visibilità e velocità dell'inseguimento avvenuto la notte del 24 novembre scorso. Quella che mette in atto il carabiniere ora indagato per omicidio stradale (per lui si va verso la richiesta di archiviazione) è "una manovra difensiva obbligata": se lo scooter guidato da Fares avrebbe mantenuto la traiettoria 'naturale' chi guidava la Giulietta "non avrebbe sostanzialmente avuto problemi a mantenere il proprio veicolo iscritto nella curva da percorrere per la svolta a sinistra".
Quando Fares imposta la curva verso via Quaranta il T Max viaggia a una velocità di quasi 55 chilometri l'ora, quando il motociclo finisce la sua corsa contro il palo semaforico l'urto avviene a circa 33 chilometri orari. Per il consulente incaricato dalla procura la macchina che insegue, per evitare l'urto, "avrebbe dovuto disporre di uno spazio complessivo per l’arresto di circa 24 metri", mentre "il conducente aveva a disposizione circa 12 metri soltanto prima di giungere all’urto contro il palo semaforico".