E’ salita a quota undici la cifra record dei candidati alle primarie repubblicane in lizza per la nomination alle presidenziali Usa 2016. L’ultima candidatura in ordine cronologico è stata quella di Jeb Bush, ex governatore della Florida , 62 enne, figlio e fratello rispettivamente del 41° e del 43° presidente degli Stati Uniti, e che rappresenta la continuazione di una delle dinastie più potenti della politica a stelle e strisce.

Il più giovane dei fratelli Bush ha ufficializzato la propria discesa in campo alle primarie da una delle più grandi università americane, il Dade College di Miami, dopo aver svelato il logo della sua campagna, composto esclusivamente da tre grandi lettere rosse su sfondo bianco che compongono il suo nome: Jeb! La mancanza di un chiaro riferimento all’autorevole cognome è stata subito notata. Questa scelta è stata intrapresa probabilmente per rimarcare la sua presa di distanza dalle scelte inerenti la politica estera effettuate dalla precedente amministrazione repubblicana del fratello George W., particolarmente interventista e a sostegno delle lobby delle aziende produttrici di armi.

A conferma di ciò, qualche settimana fa, ad una domanda fattagli nel corso di una trasmissione televisiva riguardo alla guerra in Iraq del 2003, Jeb ha risposto inizialmente di essere d’accordo ma poi, condizionato anche dai sondaggi (condotti dalla Nbc e dal Wall Street Journal) che vogliono il 66% degli americani contrari all’intervento militare, ha detto di non essere convinto che – quella bellica in territorio iracheno – fosse la giusta decisione per il bene del popolo americano.

L’ex governatore della Florida, reduce da una missione in Europa (si è recato in Germania, Polonia ed Estonia), s’impegna a “offrire alternative credibili” all’attuale governo democratico. “La candidatura ufficiale – ha anticipato Jeb Bush in un’intervista rilasciata in Estonia – mi permetterà di dimostrare di avere la leadership necessaria per diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti”.  “Al contrario di altri candidati che finora sono stati ad ascoltare e a imparare, io offrirò delle strade alternative e sarò molto più concreto sulle politiche che credo bisognerà portare avanti per il Paese», ha spiegato Bush irridendo Hillary Clinton che ha trascorso i primi mesi a girare il Paese per “ascoltare”.

Altro elemento importante che discosta il texano dai tradizionali valori del Grand Old Party, e che l’ha visto soggetto di molteplici critiche da parte dell’ala più conservatrice del partito, è la questione dei migranti ispanoamericani. Le sue posizioni in favore di un pacchetto di leggi complessivo, che possa riformare i meccanismi di concessione della cittadinanza americana agli ispanici residenti, derivano dal fatto che all’interno della sua stessa famiglia ha un esempio tangibile dei tanti viaggi della speranza e della disperazione compiuti da milioni di messicani. Infatti, il padre di sua moglie ColumbaJose Maria Garnica Rodriguez, aveva lasciato il villaggio del Messico per recarsi, prima senza documenti e poi con un permesso come lavoratore stagionale, a lavorare in Texas.

La corsa al voto degli ispanoamericani è appena cominciata e potrebbe non essere appannaggio solo dello schieramento democratico. Attirare le simpatie degli ispanici sarà fondamentale per vincere alle prossime elezioni presidenziali.

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