Una notte da incubo e un patatrac in vista del voto di fiducia, con la possibilità che il governo traballi fino a cadere. E tutto ad opera del Nuovo Centrodestra. Tuona il senatore Carlo Giovanardi: “Il provvedimento così com’è non lo voterò mai, o lo cambiano o farò mancare la fiducia“. E come lui altri colleghi del partito, componente del gruppo Ap-Area popolare. Ma oltre al governo, la “Buona Scuola” al Senato rischia di fare un’altra vittima eccellente: il ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Il maxi-emendamento presentato martedì 23 giugno dai senatori Francesca Puglisi (Pd, responsabile scuola del partito) e Franco Conte (Ap), e su cui Renzi ha posto la fiducia, comprende infatti un comma che per la maggioranza rischia di essere deflagrante: “l’educazione di genere. Un tema che per l’elettorato conservatore è materia incandescente, soprattutto a a pochi giorni da un Family Day dove la star assoluta è stato il leader dei neocatecumenali Kiko Arguello (“Il femminicidio è colpa delle donne che non amano i mariti”) e il più gettonato  lo slogan “No al gender nella scuola, sì alla famiglia naturale”, che era l’alternativa moderata al più drastico e definitivo “Gender sterco del demonio”.

Già il 3 maggio l’A.Ge., Associazione italiana genitori, insieme ad altre 40 associazioni tutt’altro che progressiste (ProVita, Movimento per la Vita, Giuristi per la Vita) si era presentata al Quirinale per consegnare a Sergio Mattarella oltre 180mila firma a sostegno della petizione “sull’educazione affettiva e sessuale nelle scuole”. Ossia, contro quella parte della riforma Buona Scuola che prevede l’introduzione di insegnamenti sulla parità di genere” e la “prevenzione della violenza di genere” nelle classi di ogni ordine e grado: un modo, secondo i firmatari, per introdurre di soppiatto tra i banchi di scuola quella che chiamano “teoria del gender“, un’ideologia “che nega la differenza fra i sessi e la riduce a un fenomeno culturale”.

Che c’entra Alfano con il “genderismo”? Apparentemente nulla. A introdurre “l’insegnamento di genere” nel dibattito alla commissione Cultura di Montecitorio era stata Giovanna Martelli, deputata Pd e soprattutto consigliera per le Pari Opportunità di Matteo Renzi, autrice di un emendamento per arricchire i Pof, i piani di offerta formativa delle scuole, con una materia nuova e ben precisa: “L’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori” contro femminicidio, omofobia, transfobia. Roba indispensabile per un Paese dove ogni due giorni una donna viene assassinata dal marito o dal partner; ma per le associazioni ultra-cattoliche l’articolo 12 della riforma Buona Scuola è stato come un drappo rosso agitato davanti al toro e lo hanno ampiamente dimostrato durante il Family day.

E adesso? Al Senato, la riforma della scuola non è riuscita ad essere né discussa, né modificata, né approvata in commissione Cultura perché alla maggioranza mancavano i numeri per farla passare. Su 15 senatori di maggioranza, ce n’erano ben tre (il premio Nobel Carlo Rubbia più due ribelli del Pd, Walter Tocci e Corradino Mineo) che si erano dichiarati indisponibili a votare a favore della figura del cosiddetto “preside sceriffo”. Per evitare al governo di finire sotto su un punto considerato chiave da Matteo Renzi e da Maria Elena Boschi (la cui madre, Stefania Agresti, è preside a San Giovanni Valdarno) martedì pomeriggio la commissione è stata annullata e il parere (obbligatorio) è saltato.

In Aula la Buona Scuola è arrivata solo grazie a quella che i critici più feroci definiscono una forzatura della prassi e del regolamento di Palazzo Madama su cui il presidente Pietro Grasso avrebbe dato personalmente il via libera: non solo la riforma è approdata al voto senza il parere della commissione competente, ma la fiducia viene posta proprio sul maxi-emendamento che in pratica sostituisce l’intero testo uscito dalla Camera. Firmato dai due relatori in commissione, il maxi-emendamento riprende i punti fondamentali votati a Montecitorio, compresi quelli su cui, in realtà, tutti si aspettavano (o speravano) modifiche alla camomilla da parte di Palazzo Madama. Educazione di genere compresa.

Ed ecco il rischio patatrac. La fiducia che Renzi ha posto sul maxi-emendamento, rendendolo non modificabile, mette brutalmente Alfano e l’Ncd davanti a una sorta di aut aut suicida: o tiene in piedi il governo votando un emendamento che all’articolo 2 “assicura l’attuazione dei princìpi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119” (quella contro femminicidio, stalking, violenza domestica…) e mettendosi contro un bel pezzo del suo stesso elettorato, oppure non vota la fiducia e allora addio: Renzi, Alfano e il governo tutto se ne vanno a casa.

Cosa è meglio per Angelino? Cosa è peggio per il suo partitino? Quali speranze hanno, l’uno e l’altro, di sopravvivere a un’elezione non prevista, non cercata e non voluta da nessuno? E Renzi, ecco: cosa significherebbe per Renzi il naufragio della Buona Scuola, cioè il primo, clamoroso fallimento di quella politica muscolare che lo ha caratterizzato finora? Tutte domande che tra palazzo Chigi e palazzo Madama in molti si sono posti durante la notte, cercando freneticamente una via d’uscita all’impasse. La seduta al Senato è finita alle 23.53 con un nulla di fatto. E ora si ricomincia con una riunione tra Ncd e il governo per cercare di fare il miracolo. Che per Giovanardi può essere uno solo: “Cambiare il testo, assolutamente“, dice. Ma bisognerà vedere se il presidente Grasso accetterà di riformulare un testo sul quale il governo ha già posto la fiducia. “Per noi non ci sono alternative”, dice Giovanardi: “O si toglie quella norma oppure Renzi non avrà la fiducia”.

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